martedì 28 aprile 2015

Fonte: ALtalex
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Terrazza copre l’intero fabbricato? Tutti i condomini concorrono alle spese

Cassazione civile , sez. III, sentenza 25.08.2014 n° 18164 (Enrica Maria Crimi

 
Le terrazze a livello, attribuite in uso esclusivo, sono disciplinate al pari del lastrico solare, dall’art. 1126 c.c.
Spetta a tutti i condomini concorrere al pagamento delle spese necessarie per la riparazione o la ricostruzione delle terrazze a livello, avendo esse la funzione di copertura del fabbricato.
Il criterio dell’utilitas infatti prevale su quello della proprietà.
Lo ha affermato la Suprema Corte, nella sentenza 25 agosto 2014, n. 18164 specificando che per stabilire la ripartizione delle spese delle terrazze a livello con funzioni di copertura non si fa riferimento al diritto di proprietà delle terrazze medesime, ma al principio “in base al quale i condomini sono tenuti a contribuire alle spese in ragione dell’utilitas che la cosa da riparare o da ricostruire è destinata a dare ai singoli appartamenti sottostanti.”
Nel caso di specie, il condomino F. V. proprietario di un appartamento agiva in giudizio a causa dei danni da infiltrazioni d’acqua provenienti dal soprastante terrazzo di proprietà esclusiva dell’altro condomino A. N., convenuto in giudizio. Chiedeva il risarcimento dei danni prodotti nell’immobile di sua proprietà, oltrechè l’esecuzione delle opere idonee ad evitare il ripetersi di infiltrazioni dannose.
Il convenuto chiedeva il rigetto della domanda attorea, e, in via subordinata, che l’attore venisse condannato a partecipare al risarcimento dei danni ed alle spese per i lavori da eseguire ai sensi dell’art. 1126 c.c.
Il Tribunale di Napoli condannava il convenuto al pagamento del risarcimento dei danni e all’esecuzione delle opere necessarie ad evitare infiltrazioni future ed alle spese di lite.
La Corte d’appello ribaltava la sentenza sulla base di quanto disposto dall’art. 1126 c.c., stabilendo che il costo delle riparazioni spettava per due terzi al signor F. e per un terzo al signor A.
Ricorreva per Cassazione il signor F affidandosi a tre motivi, tutti ritenuti infondati.
La Suprema Corte stabiliva che l’obbligo di provvedere alla riparazione e alla costruzione spetta a tutti i condomini, in concorso con il proprietario superficiario o con il titolare del diritto di uso esclusivo, sulla base del fatto che le terrazze dell’edificio svolgono la funzione di copertura del fabbricato anche se appartengono in proprietà superficiaria o sono attribuite in uso esclusivo ad uno dei condomini.
Aggiungeva, richiamando giurisprudenza precedente, che dei “danni cagionati all’appartamento sottostante per le infiltrazioni d’acqua provenienti dal lastrico, deteriorato per difetto di manutenzione, rispondono tutti gli obbligati, inadempienti alla funzione di conservazione, secondo le proporzioni stabilite dal citato art. 1126 c.c. (Cass. n. 3672/1997)”. A nulla rileva che tali infiltrazioni siano state causate da difetti collegati alle caratteristiche costruttive. Neppure è stato accolto il tentativo del signor F di far passare il terrazzo come prolungamento all’esterno dell’alloggio posto sullo stesso piano, per convincere la Suprema Corte che la funzione di copertura non fosse principale ma sussidiaria.
Ma la Cassazione risponde confermando il rigetto del ricorso sulla base della seguente motivazione: l’obbligo dei condomini di concorrere alle spese delle terrazze a livello trova fondamento non già nel diritto di proprietà, ma nel principio in base al quale i condomini sono tenuti a contribuire alle spese in ragione dell’utilitas che la cosa da riparare o da ricostruire è destinata a dare ai singoli appartamenti sottostanti.
Altalex, 22 settembre 2014. Nota di Enrica Maria Crimi)


SUPREMA CORTE DI CASSAZIONE
SEZIONE III CIVILE
Sentenza 27 maggio - 25 agosto 2014, n. 18164
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE TERZA CIVILE
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. AMATUCCI Alfonso - Presidente -
Dott. SPIRITO Angelo - Consigliere -
Dott. D'AMICO Paolo - rel. Consigliere -
Dott. CARLUCCIO Giuseppa - Consigliere -
Dott. ROSSETTI Marco - Consigliere -
ha pronunciato la seguente:
sentenza
sul ricorso 22001-2008 proposto da:
F.V., considerato domiciliato ex lege in ROMA, presso la CANCELLERIA DELLA CORTE DI CASSAZIONE, rappresentato e difeso dagli avvocati PARLATO GUIDO, DI CATALDO GIOVANNI, IERVOLINO ANGELO ANTONIO giusta procura a margine del ricorso;
- ricorrente -
contro
A.N., elettivamente domiciliato in ROMA, VIA CIPRO 77, presso lo studio dell'avvocato RUSSILLO GERARDO, rappresentato e difeso dall'avvocato RUSSILLO FELICETTO giusta procura a margine del ricorso;
- controricorrente -
avverso la sentenza n. 582/2008 della CORTE D'APPELLO di NAPOLI, depositata il 14/02/2008 R.G.N. 717/2005;
udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 27/05/2014 dal Consigliere Dott. PAOLO D'AMICO;
udito l'Avvocato GERARDO RUSSILLO;
udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. SERVELLO Gianfranco che ha concluso per il rigetto del ricorso.
Svolgimento del processo
1.- Con atto notificato nel novembre 2001 F.V. convenne in giudizio A.N., deducendo di essere proprietario di un appartamento, sito al piano terra del fabbricato facente parte del Condominio (OMISSIS), e di subire da molto tempo danni da infiltrazioni d'acqua provenienti dal soprastante terrazzo a livello, di pertinenza e di proprietà esclusiva del convenuto.
L'attore chiese la condanna dell' A. al risarcimento dei danni prodotti nell'immobile di sua proprietà, quantificati in L. 14.125.000, nonchè all'esecuzione delle opere idonee ad evitare il ripetersi di infiltrazioni dannose.
Si costituì in giudizio il convenuto che contestò la domanda attrice, chiedendone il rigetto. Lo stesso eccepì in via preliminare la propria carenza di legittimazione passiva e, in via subordinata, chiese che anche l'attore fosse condannato a partecipare al risarcimento dei danni ed alle spese per i lavori da eseguire ai sensi dell'art. 1226 c.c..
Il Tribunale di Napoli, con sentenza del 28/4-13/5/2004, dichiarò il convenuto responsabile dei danni e lo condannò al pagamento della somma di Euro 9.145,89, oltre interessi dalla domanda, a titolo di risarcimento dei danni, nonchè all'esecuzione delle opere necessarie ad evitare infiltrazioni future ed alle spese di lite.
2.- La Corte d'appello di Napoli, decidendo sul gravame dell' A., ha ritenuto che, avendo il terrazzo di proprietà esclusiva dell'appellante funzione di copertura dell'appartamento del F., il costo delle riparazioni dovesse essere ripartito a norma dell'art. 1126 c.c. e dovesse dunque far carico per 1/3 sull' A. e per 2/3 sul F. (ad eccezione della fornitura e messa in opera delle piastrelle del terrazzo).
Ha dunque condannato A.N. al pagamento, in favore di F.V., della somma di Euro 872,07, oltre rivalutazione e interessi (escludendo i non provati danni alle cose).
3.- Ricorre per cassazione F.V., affidandosi a tre motivi.
Resiste con controricorso A.N., che ha anche depositato memoria.
Motivi della decisione
1.- Con il primo motivo il ricorrente denuncia "violazione e falsa applicazione dell'art. 1126 c.c. - omessa e/o insufficiente e/o contraddittoria motivazione circa un fatto controverso decisivo per il giudizio (art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 3 e 5)".
La Corte d'appello di Napoli - assume - ha erroneamente ritenuto che il terrazzo a livello, di proprietà di A., fungesse anche da copertura dell'appartamento sottostante, trattandosi invece di prolungamento all'esterno dell'alloggio posto sullo stesso piano, con funzione meramente sussidiaria di copertura dei piani sottostanti.
Ne conseguirebbe che l'obbligazione risarcitoria per i danni da infiltrazioni nei terrazzi a livello di proprietà esclusiva potrebbe ravvisarsi solo in caso di responsabilità aquiliana, essendo per contro inapplicabili le disposizioni in materia di ripartizione delle spese dettate per il condominio degli edifici.
2.- Con il secondo motivo si denuncia "violazione e falsa applicazione del disposto degli artt. 1123 e 1126 c.c. in relazione all'art. 2051 c.c. - omessa e/o insufficiente e/o contraddittoria motivazione circa un fatto controverso decisivo per il giudizio (art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 3 e 5)".
Ad avviso del ricorrente l'obbligo di provvedere all'eliminazione delle cause del danno ed al risarcimento dello stesso non si fonda tanto sull'art. 1126 c.c., bensì sull'art. 2051 c.c.. La negligente omissione, da parte del proprietario del terrazzo, dell'esecuzione di opere atte ad eliminare una fonte di danni dovuta non a vetustà o a difetto di manutenzione, bensì a vizi originari delle opere realizzate, costituirebbe una condotta illegittima, imputabile solo al medesimo proprietario. Derivando la necessità delle riparazioni del terrazzo dalla cattiva esecuzione delle opere e dalla mancanza di manutenzione e quindi da colpa dell' A., la responsabilità avrebbe dovuto far carico solo sull' A., in quanto utente esclusivo del terrazzo.
3.- Con il terzo motivo si denuncia "violazione e falsa applicazione degli artt. 61 e 115 c.p.c. in relazione all'art. 116 c.p.c. - omessa e/o insufficiente e/o contraddittoria motivazione circa un fatto controverso decisivo per il giudizio (art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 3 e 5)".
Ritiene il ricorrente che in mancanza di specifica impugnazione della parte controinteressata ed in presenza di rilievi precisi e circostanziati, fatti anche propri dal consulente tecnico d'ufficio, la consulenza tecnica di parte, nella specie giurata, ben può assurgere a mezzo di prova.
4.- I tre motivi, che per la stretta connessione che li connota vanno congiuntamente esaminati, sono infondati.
Secondo la giurisprudenza di questa Corte, infatti, poichè il lastrico solare dell'edificio svolge la funzione di copertura del fabbricato anche se appartiene in proprietà superficiaria o se è attribuito in uso esclusivo ad uno dei condomini, all'obbligo di provvedere alla sua riparazione o alla sua ricostruzione sono tenuti tutti i condomini, in concorso con il proprietario superficiario o con il titolare del diritto di uso esclusivo.
Ne consegue che dei danni cagionati all'appartamento sottostante per le infiltrazioni d'acqua provenienti dal lastrico, deteriorato per difetto di manutenzione, rispondono tutti gli obbligati, inadempienti alla funzione di conservazione, secondo le proporzioni stabilite dal citato art. 1126 c.c. (Cass., 29 aprile 1997, n. 3672). Nè, ai fini della ripartizione delle spese fra i condomini, rileva che le infiltrazioni possano essere state provocate da difetti in ipotesi ricollegabili alle caratteristiche costruttive.
L'obbligo dei condomini cui il lastrico solare serve di copertura di concorrere in dette spese trova infatti fondamento non già nel diritto di proprietà del lastrico medesimo, ma nel principio in base al quale i condomini sono tenuti a contribuire alle spese in ragione dell'utilitas che la cosa da riparare o ricostruire è destinata a dare ai singoli appartamenti sottostanti.
Nel caso in esame la Corte d'appello di Napoli ha applicato correttamente detti principi.
Infondate sono le censure anche nell'aspetto afferente ai danni verificatisi nell'appartamento del F., avendo l'impugnata sentenza correttamente omesso di conferire valenza probatoria alla relazione di perizia stragiudiziale prodotta che, per quanto "giurata", comunque costituisce un atto di parte, anche in ordine ai fatti che il consulente asserisce di aver direttamente accertato.
E' principio consolidato che la valutazione delle prove investe il merito e non è deducibile in sede di legittimità, in presenza di una congrua e logica motivazione, quale sussiste nel caso in esame.
5.- In conclusione, il ricorso deve essere rigettato.
Le spese del giudizio di legittimità possono compensarsi in relazione alle particolarità del caso ed alla difformità tra le decisioni di merito.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso e compensa le spese del giudizio di cassazione.
Così deciso in Roma, il 27 maggio 2014.
Depositato in Cancelleria il 25 agosto 2014.

martedì 21 aprile 2015

 

Giudice di Pace Pozzuoli. 10 giugno 2009 al n. 1613

 “In tema di responsabilità da sinistri derivanti dalla circolazione stradale, la ricostruzione delle mPozzuoli e depositata in originale il giorno 10 giugno 2009 al n. 1613odalità del fatto generatore del danno, la valutazione della condotta dei singoli soggetti che vi sono coinvolti, l'accertamento e la graduazione della colpa, l'esistenza o l'esclusione del rapporto di causalità tra i comportamenti dei singoli soggetti e l'evento dannoso, l’ubicazione dei danni e la loro entità, integrano altrettanti giudizi di merito che spettano solo al Giudice investito del giudizio instaurato dal danneggiato nei confronti del danneggiante e/o della sua Compagnia di assicurazione o nei confronti della propria Compagnia di assicurazione nell’azione diretta di cui all’art. 149 del D.L.vo n.209/05 e devono essere provati in giudizio;- la fase stragiudiziale intercorsa tra il danneggiato e la propria assicurazione non può entrare nel giudizio di merito come prova del fatto dedotto in giudizio ma, solo sotto il limitato profilo della proponibilità/improponibilità della domanda”.                   




                                                            REPUBBLICA ITALIANA
   

                                                      IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

L’avv. Italo BRUNO,Giudice di Pace del Mandamento di Pozzuoli,ha pronunciato la seguente S E N T E N Z A
nella causa iscritta al n.3848/08 R.G. - Affari Contenziosi Civili - avente ad oggetto:Risarcimento danni da circolazione stradale.T R A(…) Pasquale, nato a (…) il (…) e res.te in (…) alla Via (…) n.(…) – c.f. (…);                                                                                                        
                                                                                                  ATTORE

(…) Rosario, nato a (…) il (…) e res.te in (…) alla Via (…) n.(…) – c.f. (…);                                         

                                                                                                   ATTORE

- elett.te dom.ti in (…) alla Via (…) n.(…) presso lo studio dell’avv. Fabio(…) che li rapp.ta e difende giusta mandati a margine dell’atto di citazione;                   
E(…) Francesco, nato a (…) il (…) e res.te in (…) alla Via (…) n.(…) – c.f. (…);                  

                                                                                        CONVENUTO-CONTUMACE

NONCHÉS.p.A. (ZETA), in persona del legale rapp.te pro-tempore, dom.ta in (…) alla Via (…) n.(…) - elett.te dom.ta in (…) alla Via (…) n.(…) presso lo studio dell’avv. Giampaolo (…) che la rapp.ta e difende giusta mandato in calce alla copia notificata dell’atto di citazione;              

                                                                                               CONVENUTA

CONCLUSIONI Per gli attori: dichiarare l’esclusiva responsabilità di (…) Francesco in ordine al sinistro per cui è causa e, per l’effetto condannare la Spa (Zeta), in persona del legale rapp.te pro-tempore, al pagamento in suo favore della somma di € 991,36, quale differenza tra l’importo della perizia tecnica e quello inviato dalla Società (Zeta) e trattenuto in acconto, oltre interessi e rivalutazione, nonché spese, diritti ed onorari di giudizio da liquidarsi in favore del procuratore anticipatario.Per la convenuta: rigettare la domanda in quanto inammissibile, improponibile, improcedibile, infondata in fatto ed in diritto e non provata; vittoria di spese, diritti ed onorari di giudizio.

                                                       SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

(…) Pasquale e (…) Rosario, con atti di citazione ritualmente notificati il 5-21/4/08 a (…) Francesco ed alla S.p.A. (ZETA), convenivano innanzi a questo Giudice i predetti soggetti affinché - previa declaratoria dell’esclusiva responsabilità del convenuto (…) Francesco nella produzione del sinistro avvenuto il 27/12/07 in Quarto (NA) alla Via Campana, in occasione del quale l’auto Ford Fiesta tg.(…) di sua proprietà, veniva investita dall’auto Hyundai Getz tg.(…) di proprietà del convenuto ed assicurata con la Spa (Ipslon) - fosse dichiarata l’esclusiva responsabilità di (…) Francesco e condannata la Spa (Zeta), in persona del legale rapp.te pro-tempore, al risarcimento dei danni.
A tal fine nel detto atto introduttivo premettevano:- che in dipendenza dell’investimento subito, la sua auto riportava danni per le cui riparazioni è stata preventivata la spesa di € 2.091,36, come da relazione tecnica prodotta;- che il suo veicolo era assicurato per RCA presso la Spa (Zeta) che, ritualmente invitata a risarcire i danni, ex art. 149 del D.L.vo 209/05, con racc.ta a.r. n…. ricevuta l’1/2/08 (inviata anche per conoscenza alla Spa (Ipslon) con racc.ta a.r. n…. ricevuta il 31/1/08), in data 28/3/08 inviava la somma di € 1.100,00 che, veniva trattenuta in acconto del maggior danno.
Instauratosi il procedimento, risultato contumace il convenuto (…) Francesco, si costituiva la Spa Zeta) che, preliminarmente eccepiva l’improponibilità della domanda e, nel merito la contestava sia nell’an che nel quantum debeatur. Esperito inutilmente il tentativo di conciliazione, veniva articolata, ammessa ed espletata prova per testi.Sulle rassegnate conclusioni, all’udienza del 18/5/09, la causa veniva assegnata a sentenza.

                                                         MOTIVI DELLA DECISIONE

Preliminarmente va dichiarata la contumacia del convenuto (…) Francesco regolarmente citato e non costituitosi e dichiarata la sua carenza di "legitimatio ad causam" passiva, ai sensi dell’art. 149 del D.L.vo 209/05.La procedura di risarcimento diretto di cui si sono avvalsi gli attori (art. 149 del D.L.vo 209/05), opera unicamente in caso di sinistro tra due veicoli a motore identificati ed assicurati per la responsabilità civile obbligatoria; riguarda solo i danni al veicolo nonché i danni alle cose trasportate di proprietà dell’assicurato o del conducente e, nel caso di lesioni, si applica solo al danno alle persone subito dal conducente non responsabile, posto che questo danno rientri tra lesioni di lieve entità di cui all’articolo 139.
Detta procedura, costituisce un’alternativa alla disciplina “ordinaria” di cui all’art. 144 CdA. Infatti, la Corte Costituzionale, con ordinanza n. 205 del 13 giugno 2008, ha dichiarato inammissibili le questioni di legittimità costituzionale degli articoli 141 e 149 del CdA sollevate dai GdP di Pavullo e Montepulciano. Essa Corte non ha ritenuto infondate le questioni sollevate ma, si è limitata a dettare il criterio dell’interpretazione costituzionalmente orientata delle norme, alla quale il giudice di merito si deve attenere. Secondo la Corte, le norme di cui agli articoli 141 e 149 del CdA vanno interpretate nel senso che, esse si limitano a rafforzare la posizione del danneggiato, considerato soggetto debole, legittimandolo ad agire direttamente nei confronti della propria compagnia di assicurazione, senza peraltro togliergli la possibilità di fare valere i diritti derivanti dal rapporto obbligatorio nato dalla responsabilità civile dell'autore del fatto dannoso”.
La Corte ha, difatti, suggerito l’interpretazione costituzionalmente orientata in riferimento all’impugnazione delle norme fatte dai giudici remittenti nella parte in cui “escluderebbero che il trasportato o danneggiato possono agire nei confronti del vero responsabile del danno, così come previsto dal sistema degli artt.1917, 2043 e 2054 del codice civile”. E’, quindi, del tutto evidente che, ogni altra interpretazione della normativa di cui agli articoli 141 e 149 del CdA, nel senso che tali norme, anziché limitarsi ad aggiungere nuove e semplificate azioni al danneggiato, lo avrebbero privato della generale azione diretta prevista in sede comunitaria come livello di tutela minimale, non ha incontrato il favore della Corte.
Tale autorevole interpretazione non fa che confermare l’orientamento sinora maggioritario della giurisprudenza di merito, che proprio nel senso di quell’interpretazione costituzionalmente orientata della normativa del D.L.vo 209 del 2005 va ritenendo che, nel sistema del Codice delle assicurazioni, al danneggiato non sia stata affatto tolta la generale azione diretta ex 144 ma, siano state in realtà aggiunte le due speciali azioni ex 141 e 149 ultimo comma.Pertanto, alla luce dell’ordinanza della Corte Costituzionale, una volta esperita infruttuosamente la procedura stragiudiziale nei confronti della propria compagnia di assicurazione (art. 149) e di quella del vettore (art. 141) - in caso di comunicazione dei motivi che impediscono il risarcimento diretto, ovvero nel caso di mancata comunicazione di offerta o di diniego di offerta entro i termini previsti dall’articolo 148, o di mancato accordo, il danneggiato PUO’ proporre l’azione giudiziale di cui all’articolo 145, comma 2, NEI SOLI confronti della propria compagnia di assicurazione o di quella del vettore.
Infatti, in applicazione della norma di cui all’art. 12, comma 1, delle Disposizioni sulla legge in generale del c.c. che dispone: nell’applicare la legge non si può ad essa attribuire altro senso che quello fatto palese del significato proprio delle parole secondo la connessione di esse, e dalla intenzione del legislatore, l’interpretazione letterale della norma di cui agli articoli 141 e 149 esclude la legittimazione passiva del responsabile civile rispetto alla pretesa creditoria del danneggiato nei confronti della propria compagnia di assicurazione e di quella del vettore.
Il significato letterale del verbo PUO’ di cui all’art. 149, si deve interpretare nel senso che il danneggiato non è obbligato a proporre l’azione giudiziaria nei confronti della propria compagnia d’assicurazione ma, può, in alternativa, (con un’interpretazione costituzionalmente orientata) scegliere, ex articolo 144, di evocare in giudizio la compagnia del responsabile civile e quest’ultimo quale litisconsorte necessario.In assenza di espresse modifiche, non appare dubitabile che il danneggiato ha la facoltà di agire in giudizio nei soli confronti del danneggiante (avendolo, però, preventivamente messo in mora) o congiuntamente con la sua compagnia d’assicurazione, ai sensi degli articoli 2043 e 2054 c.c. Una volta intrapreso il percorso risarcitorio di cui agli articoli 149 e 141 citando in giudizio la propria compagnia di assicurazione o quella del vettore, non si può estendere l’azione al responsabile civile perché gli articoli citati non lo prevedono.
La presenza del responsabile civile nel giudizio diretto e nel giudizio nei confronti della Compagnia di assicurazione del terzo trasportato, lungi dal semplificare, avrebbe l’effetto di complicare l’iter processuale. Si pensi, ad esempio, all’ipotesi in cui il convenuto spieghi domanda riconvenzionale, oppure chieda la chiamata in garanzia del proprio assicuratore, oppure chieda la sua estromissione dal giudizio per carenza di legittimazione passiva e la condanna alle spese di giudizio, in forza, proprio, dell’art. 149 che, si ripete, lo esclude.
La legittimazione passiva del responsabile civile all’interno dell’azione diretta e dell’azione del terzo trasportato, contro l’intenzione del legislatore, vanificherebbe la finalità della norma ed anzi, porterebbe a procrastinare la durata dei processi e, ciò, in contrasto con l’esigenza di garantire la celerità e concentrazione del giudizio prevista dall’articolo 111 della Costituzione.Nel giudizio intrapreso nei soli confronti della compagnia di assicurazione del danneggiato, il Giudice dovrà solo verificare:- che il sinistro si sia verificato tra due veicoli a motore, identificati ed assicurati per la responsabilità civile obbligatoria;- che il danneggiato non sia responsabile in tutto o in parte del sinistro, ai sensi dell’articolo 12 comma 1 del DPR 18/07/06 n.254 di attuazione dell’articolo 150 del codice delle assicurazioni e della tabella di cui all’allegato A - (cosa che avrebbe dovuto fare la compagnia di assicurazione del danneggiato in forza dell’obbligo di legge che le attribuisce il potere/dovere di sostituirsi alla compagnia del danneggiante e, quindi, una volta ricevuta la richiesta di risarcimento avrebbe dovuto darne immediata comunicazione all’impresa del responsabile civile affinché quest’ultima verificasse, con il suo assicurato, le modalità di accadimento del sinistro). Se dalle opportune verifiche  si fosse riscontrato una qualsiasi corresponsabilità, la compagnia di assicurazione del presunto danneggiato avrebbe dovuto darne a questi comunicazione il quale, avrebbe potuto azionare l’azione di cui all’articolo 144 e non più l’azione diretta in quanto questa sarebbe stata inammissibile e/o improcedibile).- Qualora il sinistro non rientri in alcune delle ipotesi previste dalla tabella, l’accertamento della responsabilità è compiuto con riferimento alla fattispecie concreta, nel rispetto dei principi generali nei termini di responsabilità derivante dalla circolazione del veicolo (articolo 12 comma 2 DPR 254/06).
Superata così, la presunzione di corresponsabilità ex articolo 2054, comma 2 c.c. e, valutata l’effettiva entità dei danni, al Giudice non rimarrà altro che condannare la convenuta compagnia di assicurazione al pagamento in favore del danneggiato della somma ritenuta equa, oltre al rimborso delle spese di giudizio, ex articolo 91 c.p.c.
Nel giudizio intrapreso dal terzo trasportato nei soli confronti della compagnia di assicurazioni del veicolo sul quale era a bordo al momento del sinistro, il Giudice dovrà solo verificare:- la proponibilità della domanda;- la legittimazione passiva della Compagnia di assicurazione;- il nesso di causalità del danno lamentato con la qualità di trasportato;- l’entità del danno.    
Per quanto sopra esposto, la domanda deve ritenersi ammissibile e proponibile essendo stata preceduta da rituale richiesta di risarcimento danni, ex artt. 145 e 148 D.L.vo 209/05 ed è trascorso lo spatium deliberandi. 
L’istruttoria della causa non è stata completata perché gli attori hanno rinunciato all’escussione del teste indicato ed, emendando la domanda in corso di causa, ne hanno chiesto l’accoglimento sul presupposto che nessun onere probatorio incombe sugli attori per quanto concerne la dimostrazione dei fatti di causa, in quanto la propria compagnia di assicurazione non ha mai contestato l’an, anzi, ha inviato la somma di € 1.100,00 riconoscendo, così, la mancanza di qualsiasi responsabilità in capo agli attori.Tale assunto non è condivisibile per le ragioni che seguono:a) l’invio di una somma da parte della Compagnia di assicurazione nella fase stragiudiziale, non dimostra, di per se, la fondatezza della pretesa degli attori;b) in tema di responsabilità da sinistri derivanti dalla circolazione stradale, la ricostruzione delle modalità del fatto generatore del danno, la valutazione della condotta dei singoli soggetti che vi sono coinvolti, l'accertamento e la graduazione della colpa, l'esistenza o l'esclusione del rapporto di causalità tra i comportamenti dei singoli soggetti e l'evento dannoso, l’ubicazione dei danni e la loro entità, integrano altrettanti giudizi di merito che spettano solo al Giudice investito del giudizio instaurato dal danneggiato nei confronti del danneggiante e/o della sua Compagnia di assicurazione o nei confronti della propria Compagnia di assicurazione nell’azione diretta di cui all’art. 149 del D.L.vo n.209/05, come nel caso di specie, e devono essere provati in giudizio;c) la fase stragiudiziale intercorsa tra il danneggiato e la propria assicurazione non può entrare nel giudizio di merito come prova del fatto dedotto in giudizio ma, solo sotto il limitato profilo della proponibilità/improponibilità della domanda.Il principio sancito dall’art. 2697 del Cod. Civ. è un principio cardine del nostro ordinamento: chi vuol far valere un diritto in giudizio deve provare i fatti che ne costituiscono il fondamento.
D’altro canto, l’onere imposto al danneggiato dall’art. 149 del D.L.vo n.209/05 nell’azione giudiziaria consiste nel:- provare che il sinistro si sia verificato tra due veicoli a motore, identificati ed assicurati per la responsabilità civile obbligatoria;- provare che egli non sia responsabile in tutto o in parte del sinistro.Ciò rilevato, gli attori, nella fattispecie, allo scrutinio di questo giudice, non hanno provato quanto imposto dall’art. 149 citato e, pertanto, la domanda dev’essere rigettata.
Si osserva, intatti, che il pagamento di qualsiasi importo a titolo risarcitorio, in via stragiudiziale, da parte di una determinata compagnia assicuratrice, lungi dal costituire riconoscimento della fondatezza della tesi attorea, può essere interpretato, come afferma consolidata giurisprudenza sia di legittimità che di merito, quale mero indirizzo di politica economico-aziendale, sicché l’invio di una determinata indennità all’attore non potrà mai avere carattere latamente “confessorio” e, quindi, far ritenere superflua la fase istruttoria.In definitiva, l’attore ha sempre l’onere di provare il fondamento delle proprie istanze.La peculiarità della questione trattata induce il giudicante a compensare tra le parti le spese del procedimento.La sentenza è esecutiva ex lege.

                                                                       P.Q.M.
Il Giudice di Pace del Mandamento di Pozzuoli, definitivamente pronunciando sulla domanda proposta da (…) Pasquale e (…) Rosario nei confronti di(…) Francesco e della S.p.A. (ZETA), in persona del legale rapp.te pro-tempore, disattesa ogni altra istanza ed eccezione, così provvede:
1) dichiara la carenza di "legitimatio ad causam" passiva  di (…) Francesco;
2) rigetta la domanda;
3) compensa tra le parti le spese del procedimento;
4) sentenza esecutiva ex lege.Così decisa in Pozzuoli e depositata in originale il giorno 10 giugno 2009 al n. 1613 del mod. 16.                                                                                              

                                         
                                IL GIUDICE DI PACE
                                                                                             
                                 (Avv. Italo BRUNO)  

mercoledì 8 aprile 2015

Tribunale Bari 

Sezione 2 Civile, Sentenza del 20 luglio 2009, n. 2443




 E' fondata l'opposizione all'esecuzione che sia proposta ai sensi dell'art. 615 c.p.c. avverso l'atto di precetto con cui l'opposto intimi il pagamento delle somme dovutegli a titolo di assegno di mantenimento, qualora l'opponente intenda contestarne gli importi rivendicati. Secondo il consolidato orientamento della giurisprudenza, infatti, deve proporsi nelle forme dell'opposizione all'esecuzione e non invece agli atti esecutivi, l'opposizione con cui il debitore esecutato miri a contestare la somma di cui gli venga intimato il pagamento. Ne deriva che l'azione proposta al fine di contestare il diritto del creditore di procedere all'esecuzione forzata per l'importo intimato in precetto, deve ritenersi legittimamente esercitata ai sensi dell'art. 615 c.p.c.



REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
TRIBUNALE DI BARI
SECONDA SEZIONE CIVILE
Il Giudice Unico Luigi Agostinacchio ha pronunciato la seguente:
SENTENZA
nella causa civile iscritta nel registro generale affari contenziosi sotto il numero d'ordine 13355 dell'anno 2007,
Tra
Lo.Ra., elettivamente domiciliato in Bari alla via (omissis), presso e nello studio dell'avv. Na., nonché rappresentato e difeso dall'avv. Ma.Ma., in virtù di mandato a margine dell'atto di citazione.
- Opponente -
Contro
Te.Su., elettivamente domiciliata in Bari alla via (omissis), presso e nello studio dell'avv. Gi.Ro., dal quale è rappresentata e difesa, in virtù di mandato a margine della comparsa di costituzione e risposta
- Opposta -
All'udienza del 14/5/2009, la causa è passata in decisione sulle conclusioni dei procuratori delle parti, precisate come da fogli allegati.
FATTO
Con atto di citazione notificato il 5/12/2007 Lo.Ra. spiegava opposizione all'esecuzione, deducendo l'errata quantificazione delle somme indicate nell'atto di precetto del 7/2/2007, a mezzo del quale Te.Su. gli aveva intimato il pagamento di quanto dovuto a titolo di assegno di mantenimento e relativo al periodo dicembre 2003 - ottobre 2006, oltre alle spese inerenti due precedenti atti di precetto divenuti inefficaci, per l'importo complessivo di Euro 3.493,09.
Tutto ciò premesso, chiedeva accertarsi l'errata quantificazione della sorte capitale, nonché l'erronea ed illegittima quantificazione di competenze legali ed onorari indicate in precetto e per l'effetto dichiararsi la nullità e/o l'annullamento dell'atto di precetto e del conseguente atto di pignoramento immobiliare; il tutto con vittoria di spese e competenze di causa, ivi comprese quelle relative al giudizio n. 5107/2007, da distrarsi in favore del procuratore antistatario.
Con comparsa di costituzione del 7/2/2008 si costituiva Te.Su. deducendo l'inammissibilità dell'opposizione per decorso del termine di decadenza di cui all'art. 617 c.p.c.; nel merito concludeva per il rigetto dell'opposizione, manifestamente infondato, con vittoria delle spese di lite, da distrarsi in favore del procuratore antistatario.
Instaurato il contraddittorio, la causa era riservata per la decisione all'udienza del 14/5/2009 con la concessione dei termini per il deposito di comparse conclusionali e memorie di replica.
DIRITTO
Occorre preliminarmente esaminare l'eccezione di inammissibilità dell'opposizione spiegata dalla difesa dell'opposta, atteso il carattere potenzialmente assorbente della questione.
L'eccezione deve essere disattesa in quanto per giurisprudenza costante costituisce opposizione all'esecuzione - e non agli atti esecutivi - quella proposta dal debitore esecutato il quale sostenga che è superiore a quella da lui dovuta la somma di cui gli viene intimato il pagamento, investendo essa il diritto dell'istante di procedere ad esecuzione forzata, sia pure limitatamente ai predetti importi(cfr. Cass. n. 5489/1984).
Ne consegue che la presente opposizione, spiegata ai sensi dell'art. 615 c.p.c. al fine di accertare l'inesistenza del diritto del creditore di chiedere anche la parte di somma in contestazione, deve ritenersi ammissibile.
Quanto al merito, l'opposizione è parzialmente fondata e deve essere accolta per quanto di ragione.
Il Lo., pur riconoscendo di essere debitore di somme nei confronti del proprio coniuge, contesta sotto un duplice profilo il conteggio degli importi come quantificati nel precetto del 7/2/2007.
Occorre premettere che a seguito del ricorso proposto dalla Te. ai sensi dell'art. 156, sesto comma, c.c., il Trib. Bari ha ordinato all'I.N.P.S. "di versare direttamente alla ricorrente la somma di Euro 76,45 mensili, dovuta a titolo di mantenimento dal proprio assicurato, Lo.Ra., detraendola dalla pensione corrisposta in favore di quest'ultimo" (cfr. ordinanza del 11/4/2006 in atti).
Il provvedimento in parola è stato quindi notificato all'ente previdenziale in data 10/5/2006; tuttavia, soltanto a far data dal dicembre 2006 e dopo una formale messa in mora, questo ha prestato ottemperanza all'ordine di pagamento diretto in favore della Te. la quale ha sottoscritto i singoli cedolini pensione per ricevuta (cfr. documentazione in atti).
Si ritiene in giurisprudenza che l'effetto dell'ordine rivolto al terzo consista nel trasferimento della titolarità attiva dell'obbligazione, alla stregua di una cessione del credito attuata ope iudicis, senza necessità del consenso del debitore ceduto (arg. ex Cass. n. 2837/1980).
Discende da tale impostazione - alla quale si ritiene di aderire - che soggetto obbligato ad erogare la prestazione alimentare dovuta al coniuge beneficiario sia il terzo - debitore ceduto.
Nel caso di specie, tale obbligo è sorto per effetto della pronunzia giurisdizionale del 11/4/2006; successivamente il legale della Te., riscontrato il perdurante inadempimento dell'I.N.P.S., ha provveduto a metterlo in mora, intimandogli l'immediata corresponsione delle somme detratte dalla pensione del Lo. e spettanti in virtù del citato provvedimento alla creditrice opposta.
Deve pertanto ritenersi che sotto questo aspetto l'opposizione del Lo. sia fondata, atteso che egli non era tenuto al pagamento diretto in favore della moglie delle mensilità relative al periodo agosto - ottobre 2006, per le quali deve viceversa ritenersi obbligato l'ente previdenziale.
L'opponente si duole inoltre di un'errata quantificazione delle competenze legali, conseguenti all'intimazione di una somma maggiore di quella realmente dovuta.
Anche tale doglianza merita accoglimento, atteso che il coefficiente di applicazione dei diritti e degli onorari spettanti al procuratore e portati nel precetto è quello della sorte capitale precettata che rappresenta, secondo la tariffa, il credito per cui si procede ai sensi dell'art. 17 c.p.c. (cfr. Cass. 12270/2002).
Tale somma nel caso di specie è pari ad Euro 2.400,00 (= 75,00 x 32 mensilità, in luogo di 35); ne consegue che la finca di riferimento per calcolare gli onorari giudiziali e i diritti di avvocato è quella da Euro 1.600,00 ad Euro 2.600,00 e non quella superiore cui ha fatto riferimento il legale della Te. nell'atto di precetto.
Rimane da esaminare l'ultimo motivo di opposizione con il quale il Lo. contesta la legittimità dell'inclusione nel precetto opposto delle spese relative a due precedenti atti di precetto, divenuti inefficaci; in particolare, il primo atto di precetto notificato il 3/6/2006 ha condotto ad un pignoramento negativo, mentre il secondo notificato al Lo. in data 2/11/2006, è divenuto inefficace per decorso del termine di cui all'art. 481 c.p.c.
Anche tale doglianza è fondata.
Con riferimento al precetto seguito da un pignoramento mobiliare negativo, la Suprema Corte, chiamata ad occuparsi di una fattispecie analoga, con sentenza n. 20836 del 2006 (puntualmente richiamata dalla difesa del Lo.) ha precisato che "l'articolo 95 c.p.c., nel porre a carico del debitore esecutato le spese sostenute dal creditore procedente e da quelli intervenuti che partecipano utilmente alla distribuzione, presuppone che il processo esecutivo sia iniziato con il pignoramento eseguito dall'ufficiale giudiziario. Pertanto detta disposizione non può trovare applicazione in caso di pignoramento negativo e di mancato inizio dell'espropriazione forzata, con la conseguenza che, divenuto inefficace il precetto per decorso del termine di novanta giorni, le spese di esso restano a carico dell'intimante, in forza del combinato disposto dell'art. 310 e dell'art. 632 u.c., secondo il quale le spese del processo estinto restano a carico delle parti che le hanno anticipate".
Con riferimento invece alle spese sostenute dalla Te. per l'intimazione del 2/11/2006, la Corte di legittimità ha chiarito che "la sopravvenuta inefficacia, del precetto non seguito dall'inizio dell'esecuzione nel termine di novanta giorni dalla sua notifica non comporta, se l'inerzia è dovuta al succedersi delle vicende di causa (nella specie, opposizione al precetto e provvedimento giudiziario di sospensione della esecuzione, poi, revocato), la perdita del diritto della parte al rimborso delle relative spese e competenze" (Cass. n. 12288/1995); argomentando a contrario deve ritenersi che ove invece la perdita di efficacia sia dipesa da mera inerzia del creditore, come nel caso di specie, questi dovrà sopportare i relativi costi.
Occorre pertanto rideterminare il credito a base del precetto opposto, depurandolo delle voci non dovute.
L'opposizione non può essere accolta nella parte in cui il Lo. chiede dichiararsi la nullità dell'atto di precetto e del conseguente pignoramento.
Infatti, come reiteratamente affermato dalla Suprema Corte "la circostanza che la parte istante indichi nel precetto una somma superiore a quella dovuta dal debitore non da luogo ad una irregolarità dell'atto, ma ad un eccesso nell'esercizio del diritto a procedere ad esecuzione forzata.
L'accoglimento di tale opposizione produce il formarsi di un giudicato sul punto che la somma in contestazione non è dovuta, ma ciò non incide sulla idoneità del concreto precetto con cui è stata domandata a fungere, sia pure per il minore ammontare, come presupposto dell'espropriazione ancora da iniziare o tuttavia iniziata" (Cass. n. 2123/1998 richiamata dalla difesa della creditrice opposta).
In conclusione, l'accertata errata quantificazione delle somme indicate nel precetto opposto comporta una rideterminazione delle stesse, senza tuttavia che possa farsene ulteriormente discendere una declaratoria di integrale nullità dell'atto di precetto e del conseguente pignoramento immobiliare, che dunque rimane in piedi nei limiti del minore importo accertato.
Quanto alle spese del giudizio, in considerazione dell'accoglimento solo parziale dell'opposizione sussistono giusti motivi per compensare nella misura della metà le spese del giudizio, con condanna della convenuta soccombente al pagamento del residuo, nella misura liquidata in dispositivo.
P.Q.M.
Il Giudice, definitivamente pronunziando sull'opposizione all'esecuzione proposta con atto di citazione notificato il 5/12/2007 da Lo.Ra. nei confronti di Te.Su., così provvede:
1. accoglie l'opposizione nei limiti di cui in motivazione e per l'effetto dichiara che Te.Su. ha diritto di procedere ad esecuzione forzata in danno dell'opponente nei limiti del minor credito, così determinato: a) Euro 2.400,00 per sorte capitale, oltre rivalutazione monetaria; b) spese e competenze legali calcolate secondo i valori indicati dalla tariffa forense nella finca compresa fra Euro 1.600,00 ad Euro 2.600,00; c) interessi legali sino al soddisfo, così riducendosi il credito di cui all'atto di precetto opposto;
2. compensa per metà le spese del giudizio tra le parti, liquidando il tutto in complessivi Euro 1.240,50 (Euro 90,50 per spese; Euro 500,00 per diritti; Euro 650, 00 per onorari) e condannando la convenuta al pagamento del residuo di Euro 620,25; oltre spese generali ex art. 14 tariffe forensi, CAP e IVA come e se per legge dovuti.
Così deciso in Bari il 16 luglio 2009.
Depositata in Cancelleria il 20 luglio 2009.

venerdì 3 aprile 2015


CASSAZIONE CIVILE, SEZ. VI, 13 GIGUNO 2014, N. 13556

Le spese della chiamata in causa del terzo se la domanda principale non accolta.
 
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"...attesa la lata accezione con cui il termine “soccombenza” è assunto nell’art. 91 c.p.c. - il rimborso delle spese processuali sostenute dal terzo chiamato in garanzia dal convenuto deve essere posto a carico dell’attore, ove la chiamata in causa si sia resa necessaria in relazione alle tesi sostenute dall’attore stesso e queste siano risultate infondate, a nulla rilevando che l’attore non abbia proposto nei confronti del terzo alcuna domanda, mentre il rimborso rimane a carico della parte che abbia chiamato o abbia fatto chiamare in causa, il terzo qualora l’iniziativa del chiamante si riveli palesemente arbitraria (cfr. Cass. n. 12301 del 2005)."

"CONSIDERATO IN FATTO
Nel giudizio di primo grado, svolto dinanzi al Tribunale di Lecce, su opposizione proposta da c.d. (e proseguita dai suoi eredi, C.A.M., Ca.Da. e Si.) avverso decreto ingiuntivo n. 216/99 ottenuto dagli Avv.ti P.A. e R.G. per L. 12.669.968 per prestazioni professionali stragiudiziali, il Giudice adito, nella resistenza degli opposti, con sentenza n. 2350 del 2008, accoglieva l’opposizione e per l’effetto revocava il d.i. (rigettata la riconvenzionale dell’opponente).
Avverso la menzionata sentenza proponevano gravame il P. ed il R., cui resistevano gli eredi del c. ( C.A. M., Ca.Da. e Si.) e la Corte di appello di Lecce, con sentenza n. 701/2011 (depositata il 7 settembre 2011), in accoglimento dell’appello, riformava la sentenza del giudice di primo grado e per l’effetto rigettava l’opposizione a decreto ingiuntivo proposta.
Con ricorso notificato il 13 gennaio 2012 e depositato il 31 gennaio 2012, la C. ed i CA. hanno impugnato per cassazione la richiamata sentenza della Corte di appello di Lecce (non notificata), prospettando un unico complessivo motivo, con il quale hanno denunciato violazione o falsa applicazione di norme di diritto e vizio di motivazione in ordine al conferimento dell’incarico per la proposizione di ricorso in materia di lavoro, oltre ad essere inutile la partecipazione della SARA Assicurazioni nel giudizio, con conseguente condanna alle spese anche di detta parte, non avendo il CA. insistito in appello per la domanda risarcitoria da responsabilità professionale.
Si sono costituiti nel giudizio di legittimità con controricorso sia i professionisti, P. e R., sia l’Assicurazione.
Il consigliere relatore, nominato a norma dell’art. 377 c.p.c., ha depositato la relazione di cui all’art. 380 bis c.p.c. proponendo la reiezione del ricorso.
Parte ricorrente ha depositato memoria illustrativa.
RITENUTO IN DIRITTO
Vanno condivise e ribadite le argomentazioni e le conclusioni di cui alla relazione ex art. 380 bis c.p.c. che di seguito si riporta: “Con l’unica censura i ricorrenti denunciano che, con violazione di legge e vizio di motivazione, la corte territoriale non dia conto del conferimento da parte del c. di mandato ad introdurre ricorso in materia di lavoro agli ingiungenti, i quali con il loro comportamento avevano compromesso il riconoscimento delle spettanze dello stesso, sebbene ammettano che una prestazione professionale stragiudiziale ci sia effettivamente stata. In particolare affermano che non poteva tenersi conto della sentenza pronunciata nel giudizio instaurato fra il c. ed il rag. G., che aveva avuto l’incarico di redigere il conteggio relativo alle differenze retributive dovute allo stesso c., trattandosi di sentenza con effetto di giudicato esclusivamente fra le parti del giudizio.
Le censure proseguono denunciando come non dovute le spese alla SARA Assicurazioni che ha continuato a prendere parte al giudizio, nonostante gli eredi del c. non avessero più insistito nella domanda risarcitoria.
Le enunciate critiche sono infondate.
I ricorrenti - esposte le censure come sopra illustrate - nella sostanza lamentano la valutazione delle risultanze probatorie effettuata dal giudice di merito e ciè è evidente soprattutto allorchè, con la denuncia di incongrua motivazione, sovrappongono la loro interpretazione del rapporto dedotto in giudizio.
La corte territoriale, nell’esaminare le rispettive posizioni delle parti, non ha omesso di considerare che proprio dalle deposizioni dei testi, in particolare dalle dichiarazioni del rag. G., è emerso che nel predisporre i conteggi il ragioniere, incaricato dal R., ha collaborato con il c., per cui non essendo ancora andata a buon fine una conciliazione transattiva della lite, il P. ritenne opportuno predisporre un ricorso da depositare avanti al giudice del lavoro, compito rientrante nell’originario mandato conferito, pacifico che poi l’assistito non abbia sottoscritto la procura a margine dello stesso ricorso.
Le contestazioni fra le parti erano nate, dunque, in relazione agli importi pretesi e non già quanto alla esecuzione dell’incarico professionale prestato, per cui ha operato le corrette valutazioni giuridiche sulla base dei fatti desumibili dalle stesse prospettazioni essenziali dell’opponente, concludendo che l’attività svolta corrispondeva all’attività pattuita dalle parti, tipica della professione forense. In proposito la corte ha dato rilievo al fatto che fossero intervenute due consulenze contabili, quella del rag. M. si prodotta dal c. e quella del rag. G. predisposta su incarico degli appellati e che solo quest’ultima potesse ritenersi congrua, l’unica ad avere avuto un avallo giurisdizionale.
D’altro canto a tale ultima attività corrispondeva anche la sentenza del Giudice di pace di Lecce n. 472 del 2000. Tali essendo le linee essenziali dall’impianto argomentativo della sentenza, si osserva che i ricorrenti, con le censure mosse, non ne hanno fondatamente inficiato la validità, perché le denunciate carenze probatorie non possono comunque modificare l’essenza preponderante dell’attività stragiudiziale espletata, in termini di studio nell’interesse del c. dell’attività lavorativa dallo stesso prestata in termini di ricalcolo delle differenze retributive, tenendo conto dall’effettivo inizio del rapporto, degli scatti di anzianità via via maturati, del lavoro straordinario con le relative maggiorazioni, oltre a rivalutazione ed interessi per un periodo di lavoro durato circa trenta anni, come riconosciuto sostanzialmente dagli stessi ricorrenti nel formulare le censure, da valutarsi alla luce degli elementi di giudizio sopra indicati. Senza poi sottacere che le doglianze svolte sono del tutto generiche.
Non possono sottovalutarsi, in questa prospettiva, le carenze probatorie indicate dalla corte territoriale con particolare rilievo agli elementi di giudizio invocati dal c. per accertare il reale valore degli emulamenti dovuti dal datore di lavoro, circostanza in ordine alla quale l’opponente non prodotto alcuna prova per suffragarne il contenuto, Né aveva richiesto una indagine peritale in tal senso, atteso che - come rilevato dalla corte di merito - l’affermazione è contraddetta dal tenore della documentazione di cui sopra si è detto, oltre che dalle deposizioni testimoniali prese in considerazione (testi L., legale dell’Agenzia D.F., G., C. - cognato del c.) che appaiono univoche e significative dell’effettiva portata dell’incarico assolto.
Passando all’esame del secondo profilo di censura del mezzo, osserva il collegio che è principio costantemente riaffermato da questa Corte (v., per tutte, Cass. S.U. 21 dicembre 1997, n. 13045) che la deduzione di un vizio di motivazione della sentenza impugnata con ricorso per cassazione conferisce al giudice di legittimità non il potere di riesaminare il merito della intera vicenda processuale sottoposta al suo vaglio, bensì la sola facoltà di controllo, sotto il profilo della correttezza giuridica e della coerenza logico- formale, delle argomentazioni svolte dal giudice del merito, al quale spetta, in via esclusiva, il compito di individuare le fonti del proprio convincimento, di assumere e valutare le prove, di controllarne la attendibilità e la concludenza, di scegliere, tra le complessive risultanze del processo, quelle ritenute maggiormente idonee a dimostrare la veridicità dei fatti ad esse sottesi, dando, cosi, liberamente prevalenza all’uno o all’altro dei mezzi di prova acquisiti (salvo i casi tassativamente previsti dalla legge). Ne consegue che il preteso vizio di motivazione, sotto il profilo della omissione, insufficienza, contraddittorietà della medesima, può legittimamente dirsi sussistente solo quando, nel ragionamento del giudice di merito, sia rinvenibile traccia evidente del mancato (o insufficiente) esame di punti decisivi della controversia, prospettato dalle parti o rilevabile di ufficio, ovvero quando esista insanabile contrasto tra le argomentazioni complessivamente adottate, tale da consentire l’identificazione del procedimento logico- giuridico posto a base della decisione.
Per quanto finora esposto la Corte distrettuale in modo logico, congruente con le risultanze acquisite e non contrastante con principi giuridici, ha riconosciuto che le risultanze medesime consentissero di ravvisare il completo assolvimento da parte di P. e di R. della prestazione professionale come descritta nel ricorso in monitorio.
Rispetto a tale lettura complessiva delle acquisizioni istruttorie, gli eredi del c. intendono riproporne altra, a loro dire più coerente e persuasiva, ma, come detto, il ricorso di legittimità non può servire a mettere in discussione il convincimento in fatto espresso dal giudice di appello, in quanto tale incensurabile, ma costituisce solo strumento di controllo della legittimità della base di quel fondamento.
Infine quanto alla doglianza per essere state riconosciute le spese del giudizio anche in favore della SARA Assicurazioni il cui intervento non era più utile, non avendo i ricorrenti proposto alcuna impugnazione avverso il rigetto della domanda risarcitoria, non può che osservarsi che la compagnia è stata evocata in giudizio dai propri assicurati a seguito della domanda formulata dallo stesso c..
Tanto posto, la giurisprudenza di legittimità è consolidata nel ritenere che - attesa la lata accezione con cui il termine “soccombenza” è assunto nell’art. 91 c.p.c. - il rimborso delle spese processuali sostenute dal terzo chiamato in garanzia dal convenuto deve essere posto a carico dell’attore, ove la chiamata in causa si sia resa necessaria in relazione alle tesi sostenute dall’attore stesso e queste siano risultate infondate, a nulla rilevando che l’attore non abbia proposto nei confronti del terzo alcuna domanda, mentre il rimborso rimane a carico della parte che abbia chiamato o abbia fatto chiamare in causa, il terzo qualora l’iniziativa del chiamante si riveli palesemente arbitraria (cfr. Cass. n. 12301 del 2005). Il motivo appare, dunque, integrai mante privo di pregio. In definitiva, si riconferma che sembrano emergere le condizioni per procedere nelle forme di cui all’art. 380 bis c.p.c., ritenendosi la manifesta infondatezza del ricorso in questione”.
Né le argomentazioni svolte dai ricorrenti nella memoria ex art. 380 bis c.p.c., comma 2, appaiono idonee ad evidenziare profili non esaminati nella relazione e ad indurre, quindi, a conclusioni differenti da quelle proposte nella relazione stessa.
In particolare, le critiche nuovamente svolte alla sentenza del giudice distrettuale con specifico riferimento all’adempimento del mandato conferito, è evidente che trattasi di accertamento di fatto, come tale rimesso all’insindacabile giudizio del giudice di merito.
Il ricorso va, quindi, rigettato.
Le spese del giudizio di cassazione seguono la soccombenza.
P.Q.M.
La Corte, rigetta il ricorso;
condanna parte ricorrente al pagamento delle spese del giudizio di Cassazione che liquida in Euro 2.000,00, di cui Euro 200,00 per esborsi, oltre a spese generali ed accessori come per legge.
Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della 6 - 2 Sezione Civile della Corte di Cassazione, il 4 marzo 2014.
Depositato in Cancelleria il 13 giugno 2014