venerdì 19 dicembre 2014

Corte di Cassazione sentenza 11 marzo - 3 aprile 2008, n°8549

La fattura, ove proveniente da un imprenditore esercente attività commerciale e relativa fornitura di merci o prestazioni di servizi (anche a cliente non esercente, a sua volta, la medesima attività), rappresenta idonea prova scritta del credito quale richiesta ex lege per l'emissione di un decreto ingiuntivo, sempre che ne risulti la regolarità amministrativa e fiscale.  
Svolgimento del processo 
 
Con citazione notificata il 7.11.1995, M. D. proponeva opposizione contro il decreto ingiuntivo del Pretore di Savona n. 234/1995, con cui le veniva ingiunto, quale titolare della ditta IC Import, di corrispondere l'importo di 9720 franchi svizzeri, sulla base di fatture prodotte. Il Tribunale di Savona rigettava l'opposizione. 
La M. proponeva appello. 
La corte di appello di Genova, con sentenza n. 17/2003, rigettava l'appello. Riteneva la corte territoriale che, pur non potendosi attribuire alla lettera datata 2.5.1991, dell'avv. Nasuti Greco, legale dell'opponente, natura di ricognizione di debito o natura confessoria, essa costituiva indizio della fondatezza della pretesa creditoria, dato il raccordo con la documentazione prodotta; che lo stesso legale nell'altra lettera del 12.11.1991 riconfermava l'ammissione del debito di Fs 9720, di cui alle fatture, limitandosi a sostenere che queste ultime erano prive di visto doganale. Avverso questa sentenza ha proposto ricorso per cassazione M. D., che ha anche presentato memoria. Non ha svolto attività difensiva l'intimata. 
Motivi della decisione 
l. Con il primo motivo di ricorso la ricorrente lamenta la violazione o errata applicazione delle norme di diritto (art. 2720 c.c., in relazione all'art. 360 n. 3 c.p.c). Ritiene la ricorrente che erratamente la sentenza impugnata ha riconosciuto natura ricognitiva di debito alle missive del suo difensore, con conseguente carattere confessorio, con ciò violando l'art. 2720 c.c.. 
2.1. Il motivo è infondato. La corte territoriale, infatti, contrariamente all'assunto della ricorrente, non ha ritenuto che le lettere del difensore dell'appellante avessero la natura di atti di ricognizione a norma dell'art. 2720 c.c. Essa si è limitata a ritenere che tali missive avessero solo il carattere di meri indizi, liberamente valutabili. Tale principio è corretto. Infatti è giurisprudenza pacifica che le dichiarazioni del difensore sfavorevoli al proprio assistito, anche se inserite in atti non qualificabili di parte (quali le lettere inviate alle controparte, anche prima dell'instaurazione del giudizio, nonché le memorie illustrative, le comparse conclusionali e di replica), possono essere utilizzate come elementi indiziari, valutabili ai sensi ed alle condizioni dell'art. 2729 c.c. (Cass. 15/05/1997, n. 4284; Cass. 29/09/2005, n. 19165). 2.2. Quanto alla censura secondo cui erratamente la sentenza impugnata avrebbe ritenuto provata la pretesa creditoria sulla base della missiva del 25.5.1991, essa è inammissibile, per mancato rispetto del principio di autosufficienza del ricorso. Qualora, con. il ricorso per Cassazione, venga dedotta l'omessa od insufficiente motivazione della sentenza impugnata per l'asserita errata valutazione di risultanze processuali (un documento, deposizioni testimoniali, dichiarazioni di parti, accertamenti del c.t., ecc.), è necessario, al fine di consentire al giudice di legittimità il controllo della decisività della risultanza non valutata o erroneamente valutata, che il ricorrente precisi - ove occorra, mediante integrale trascrizione della medesima nel ricorso la risultanza che egli asserisce erratamente valutata o insufficientemente valutata, dato che, per il principio di autosufficienza del ricorso per Cassazione, il controllo deve essere consentito alla corte di cassazione sulla base delle deduzioni contenute nell'atto, alle cui lacune non è possibile sopperire con indagini integrative (Cass. 23.3.2005, n. 6225; Cass. 23.1.2004, n. 1170). Nella fattispecie non risulta trascritto nel ricorso il contenuto di tale lettera del difensore dell'opponente. 3. Con il secondo motivo di ricorso la ricorrente lamenta la violazione dell'art. 634 c.p.c, nonché l'omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione della sentenza, in quanto il decreto ingiuntivo , attenendo a somministrazioni di merci, non poteva essere emesso che sulla base di estratti autentici delle scritture contabili. 4. Il motivo è infondato. Il decreto ingiuntivo in questione è, infatti, stato emesso sulla base di fatture commerciali. La fattura, ove proveniente da un imprenditore esercente attività commerciale e relativa fornitura di merci o prestazioni di servizi (anche a cliente non esercente, a sua volta, la medesima attività), rappresenta idonea prova scritta del credito quale richiesta ex lege per l'emissione di un decreto ingiuntivo, sempre che ne risulti la regolarità amministrativa e fiscale. Deve escludersi, peraltro, che la stessa fattura possa rappresentare nel giudizio di merito - e anche in quello di opposizione al decreto ingiuntivo ottenuto in base a essa - prova idonea in ordine così alla certezza, alla liquidità e alla esigibilità del credito dichiaratovi, come ai fini della dimostrazione del fondamento della pretesa. La fattura, infatti, si inquadra tra gli atti giuridici a contenuto partecipativo, consistendo nella dichiarazione indirizzata all'altra parte di fatti concernenti un rapporto già costituito, per cui quando tale rapporto sia contestato tra le parti, la fattura, ancorché annotata nei libri obbligatori, proprio per la sua formazione a opera della stessa parte che intende avvalersene, non può assurgere a prova del contratto, ma, al più, può rappresentare un mero indizio della stipulazione di esso e dell'esecuzione della prestazione, mentre nessun valore, neppure indiziario, le si può riconoscere in ordine alla rispondenza della prestazione stessa a quella pattuita, come agli altri elementi costitutivi del contratto (Cass. 4/03/2003, n. 3188; Cass. 08/06/2004, n. 10830). Nella fattispecie, quindi, ben poteva essere emesso il decreto ingiuntivo sulla base delle predette fatture commerciali. 5. Il ricorso va pertanto rigettato. Nulla per le spese del giudizio di Cassazione, non avendo svolto attività difensiva la parte intimata.  
P.Q.M. Rigetta il ricorso. Nulla per le spese del giudizio di Cassazione.

lunedì 24 novembre 2014

CORTE DI CASSAZIONE, SEZIONE III, SENTENZA 26 FEBBRAIO 2014, N. 4548. IN TEMA DI ASSICURAZIONE, ALLA NORMA GENERALE DETTATA, IN TEMA DI PRESCRIZIONE, DALL’ART. 2935 C.C. (SECONDO LA QUALE LA PRESCRIZIONE STESSA COMINCIA A DECORRERE DAL GIORNO IN CUI IL DIRITTO PUÒ ESSERE FATTO VALERE)

Suprema Corte di Cassazione

sezione III

sentenza  26 febbraio 2014, n. 4548

Svolgimento del processo
Con atto di citazione notificato nel 1995, P.I.R. , premesso che il 19 ottobre 1993, mentre percorreva alla guida di un motociclo la strada da (omissis), era venuto in collisione con un cavallo fuoriuscito dall’azienda di S.M. e, a causa della conseguente caduta, aveva riportato lesioni personali, conveniva in giudizio, innanzi al Tribunale di Cagliari, il S. chiedendone la condanna al risarcimento dei danni.
Il convenuto si costituiva e contestava la domanda, deducendo che la responsabilità del fatto doveva essere ascritta alla condotta di guida dell’attore, che procedeva ad eccessiva velocità, e chiedeva ed otteneva di chiamare in causa la Cattolica di Assicurazioni Società coop. a r.l. che si costituiva in giudizio, eccependo che il rischio non era coperto dalla polizza e che, in ogni caso, il diritto era ormai prescritto.
Il Tribunale adito, con sentenza del 15 giugno 2004, accertava la responsabilità concorrente dell’attore e del convenuto nella collisione, nella misura del 70% a carico del S. e del restante 30% a carico del P. , condannava il convenuto al pagamento, in favore dell’attore, della somma di Euro 42.078,50 a titolo di risarcimento dei danni subiti e rigettava la domanda di garanzia proposta nei confronti della chiamata in causa.
Avverso tale decisione il S. proponeva appello, cui resistevano gli appellati che interponevano, a loro volta, appelli incidentali, di cui quello della società assicuratrice era condizionato all’accoglimento della domanda di garanzia proposta nei suoi confronti dall’appellante principale.
La Corte di appello di Cagliari, con sentenza del 13 settembre 2007, rigettava sia l’appello principale che quello incidentale proposto dal P. .
Avverso la sentenza della Corte di merito il S. ha proposto ricorso per cassazione sulla base di due motivi.
Ha resistito con controricorso la Cattolica di Assicurazione soc. coop. a r.l..
P.I.R. non ha svolto attività difensiva in questa sede.
Motivi della decisione
1. Al ricorso in esame si applica il disposto di cui all’art. 366 bis c.p.c. – inserito nel codice di rito dall’art. 6 del d.lgs. 2 febbraio 2006, n. 40 ed abrogato dall’art. 47, comma 1, lett. d) della legge 18 giugno 2009, n. 69 – in considerazione della data di pubblicazione della sentenza impugnata (13 settembre 2007).
2. Con il primo motivo é denunciata omessa, insufficiente o contraddittoria motivazione circa un punto decisivo della controversia (art. 360, primo comma, c.p.c.).
Assume il ricorrente che la Corte di merito ha confermato la sentenza di primo grado ritenendo che l’appellante avesse assunto che il decorso del termine di prescrizione fosse stato interrotto dall’invito, rivolto dalla compagnia assicuratrice all’appellato, di sottoporsi ad una visita medica ed inviato il 2 maggio 1994, nonché dalle successive richieste di risarcimento dei danni dal P. inviate in data 10 giugno 1994, 5 luglio 1994 e 13 gennaio 1995. Ad avviso del S. , su tale presupposto e rilevato che, ai sensi dell’art. 2952, quarto comma, c.c., la prescrizione annuale del diritto dell’assicurato ad essere tenuto indenne dall’assicuratore decorre soltanto dal momento in cui il danneggiato abbia rivolto le sue richieste all’assicurato, la Corte di appello ha ritenuto che, ai fini dell’interruzione della prescrizione, fossero irrilevanti sia le comunicazioni inviate dalla compagnia al danneggiato che le richieste da quest’ultimo formulate all’assicuratore prima della proposizione della domanda di risarcimento dei danni avanzata nei confronti dell’assicurato con l’atto di citazione notificato il 21 marzo 1995 e, quindi, ha ritenuto già compiuta la prescrizione allorché in data 26 febbraio 1997 era stato notificato l’atto di citazione per chiamata in causa alla compagnia di assicurazione.
Secondo il ricorrente la motivazione adottata sul punto dai Giudici del secondo grado sarebbe in parte omessa ed in parte inidonea a giustificare la decisione, avendo egli esposto nell’atto di appello che il suo diritto nei confronti dell’assicuratore non poteva ritenersi prescritto non perché fosse stata interrotta la prescrizione ma perché era stato rinviato l’inizio della decorrenza della stessa, stante l’effetto sospensivo della comunicazione all’assicuratore della richiesta risarcitoria del danneggiato.
Rappresenta il S. che, proprio per dimostrare che l’assicuratore aveva ricevuto la predetta comunicazione in data anteriore al 2 maggio 1994 e comunque prima della proposizione della domanda del danneggiato nei confronti del danneggiale, aveva prodotto la raccomandata del 2 maggio 1994 con cui la predetta società aveva inviato a presentarsi a visita medica il P. nonché le successive raccomandate inviate da questi all’assicurazione, raccomandate che la Corte, omettendo di motivare o non adeguatamente motivando, aveva ritenuto, invece, prodotte per provare l’interruzione della prescrizione che non era stata neppure allegata.
2.1. Il motivo all’esame è inammissibile, non essendo assistito da un distinto momento di sintesi (c.d. quesito di fatto) che metta in luce il fatto controverso ovvero le contraddizioni e le deficienze della motivazione della sentenza impugnata, nel contesto della specifica fattispecie dedotta in giudizio, secondo le prescrizioni di cui all’art. 366 bis c.p.c., nella lettura datane dal “diritto vivente” (v., explurimis, Cass., sez. un., 1 ottobre 2007, n. 20603; Cass., ord., 18 luglio 2007, n. 16002; Cass. 19 maggio 2011, n. 11019; Cass. 27 ottobre 2011, n. 22453 e Cass. 18 novembre 2011, n. 24255).
3. Con il secondo motivo, corredato di quesito di diritto, si denuncia “violazione o falsa applicazione delle norme disciplinanti la sospensione della prescrizione (in relazione all’art. 2052 [2952], comma 4) e dell’art. 2052 [2952], commi 3 e 4 codice civile, ai sensi dell’art. 360, comma 1, n. 3 codice di procedura civile”.
Assume il ricorrente che l’art. 2952 (per evidente lapsus calami indicato nella rubrica come art. 2052 e nell’illustrazione del motivo sia come art. 2052 che come art. 2054 e correttamente nel quesito di diritto formulato), quarto comma, c.c. prevede che la comunicazione all’assicuratore della richiesta del terzo danneggiato o dell’azione da questo proposta sospende il corso della prescrizione finché il credito del danneggiato non sia divenuto liquido ed esigibile oppure il diritto del terzo danneggiato non sia prescritto e che, secondo la giurisprudenza di legittimità, tale effetto sospensivo si verifica anche se la comunicazione della richiesta risarcitoria provenga dallo stesso danneggiato ovvero da un terzo; evidenzia altresì il S. che detta comunicazione non è soggetta a formalità, che nel caso in cui l’assicuratore riconosca esplicitamente di essere stato informato mediante una comunicazione all’uopo idonea o tale circostanza venga altrimenti provata il corso della prescrizione rimane sospeso dal giorno della comunicazione e che qualora sia stata comunicata la richiesta stragiudiziale del danneggiato non è necessario che venga comunicata anche la domanda giudiziale.
Precisato che la sospensione della prescrizione ha come effetto – a seconda che le relative cause giustificative siano presenti al momento in cui la prescrizione dovrebbe iniziare a decorrere ovvero durante il suo corso – di rinviare l’inizio della decorrenza ovvero di sospenderla, sostiene il ricorrente che la comunicazione all’assicuratore in data anteriore alla proposizione della domanda giudiziale nei suoi confronti avrebbe impedito che la prescrizione del suo diritto verso l’assicuratore iniziasse a decorrere.
3.1. Il motivo è fondato.
3.2. Ed invero in tema di assicurazione, alla norma generale dettata, in tema di prescrizione, dall’art. 2935 c.c. (secondo la quale la prescrizione stessa comincia a decorrere dal giorno in cui il diritto può essere fatto valere), viene apportata deroga dalla norma di cui all’art. 2952, quarto comma, c.c., la quale, regolando in ogni suo aspetto il rapporto tra assicurato e assicuratore, detta, altresì, la disciplina speciale della sospensione del termine di prescrizione sino alla definitiva liquidità ed esigibilità del credito del terzo danneggiato; tale sospensione si verifica non già con la denuncia del sinistro, bensì con la comunicazione, efficace anche se proveniente dallo stesso danneggiato o da un terzo, all’assicuratore, della richiesta di risarcimento proposta dal danneggiato (Cass. 22 agosto 2007, n. 17834; Cass. 2 agosto 2001, n. 10598; Cass. 10 agosto 2000, n. 10595; Cass. 17 maggio 1997, n. 4426).
Nella specie risulta che la compagnia assicuratrice ha avuto comunicazione della richiesta del danneggiato ben prima della domanda giudiziale, avendo detta società invitato il P. a sottoporsi a visita medica con nota inviata in data 2 maggio 1994 ed avendo il danneggiato inviato direttamente alla stessa richieste di risarcimento danno in data 10 giugno 1994, 5 luglio 1994 e 13 gennaio 1995; pertanto il corso della prescrizione é stato sospeso – anzi, più precisamente nella specie, per quanto sopra evidenziato, neppure é iniziato a decorrere, in virtù dei predetti atti — fino alla definitiva liquidità ed esigibilità del credito del terzo danneggiato, con la precisazione che, ove la determinazione quantitativa del credito avvenga giudizialmente, tale sospensione si protrae sino a che la sentenza sia passata in giudicato (Cass. 30 gennaio 2006, n. 1872; Cass. 23 novembre 2000, n. 15149).
Va peraltro evidenziato che neppure ha rilevanza il modo di proposizione della controeccezione relativa alla sospensione, essendo la stessa rilevabile d’ufficio a fronte dell’eccezione di parte relativa alla prescrizione; si osserva al riguardo che l’esistenza di una causa di sospensione della prescrizione, ancorché non dedotta nelle fasi di merito, non integrando un’eccezione in senso stretto è rilevabile d’ufficio anche in sede di legittimità, sempre che – però – le relative circostanze siano risultanti dagli atti già ritualmente acquisiti nel precedente corso del processo (v. Cass. 15 ottobre 2009, n. 21929 e Cass. 28 febbraio 2012, n. 3042, in motivazione).
4. Il ricorso deve essere, pertanto, accolto.
La sentenza impugnata é cassata in relazione alla censura accolta.
La causa è rinviata alla Corte di appello di Cagliari, in diversa composizione, che si uniformerà al suddetto principio di diritto.
5. Il Giudice del rinvio provvederà anche sulle spese del giudizio di cassazione.
P.Q.M.
La Corte accoglie il secondo motivo di ricorso; cassa la sentenza impugnata in relazione alla censura accolta e rinvia la causa alla Corte di appello di Cagliari, in diversa composizione, che provvederà anche sulle spese del presente giudizio di legittimità.

lunedì 8 settembre 2014

Art. 141 CdA e inapplicabilità al terzo trasportato

REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Giudice di Pace di Ottaviano, avvocato Anna Esposito, ha pronunciato la seguente
SENTENZA
nella causa civile iscritta al numero 1483/11 del Ruolo Generale degli affari contenziosi avente a oggetto:
risarcimento danni derivante dalla circolazione di veicoli, vertente
TRA
AAA Aaa, nato a <…> il <…>, C.F.: <…> e CCC Sss, nata a <…> il <…>, C.F.: <…>, in qualità di genitori esercenti la potestà genitoriale sul loro figlio minore AAA Vvv, nato a <…> il <…>, residenti in <…>, al Corso <…>, nello stesso comune elettivamente domiciliati, alla Via Aaa, nello studio dell'avvocato Fff Aaa, C.F.: <…>, che li difende e li rappresenta in virtù di procura a margine dell'atto di citazione in giudizio;
ATTORI
E
Aaa Rrr, C.F.: <…>, residente in <…>, alla Via <…>, 72;
CONVENUTA CONTUMACE
NONCHE' LA
UGF Assicurazioni S.p.A., in persona del suo legale rappresentante pro tempore, P. I.V.A.:02705901201, elettivamente domiciliata in Pomigliano D'Arco, alla Via Principe di Piemonte,60, nello studio dell'avvocato Ccc PPP, C.F. : <…>, che la difende e la rappresenta in virtù di procura a margine della comparsa di costituzione e risposta;
CONVENUTA
E, ALTRESI', LA
Generali Assicurazioni S.p.A., quale impresa designata alla gestione dei sinistri posti a carico del Fondo di Garanzia per le Vittime della Strada, C.F. :00079760328, in persona della sua Procuratrice Speciale Generali Business Soiutions S.p.A., C.F.:07833760015, difesa e rappresentata dagli avvocati Lll Ggg, C.F. <…>, in virtù di procura generale alle liti per Notaio Dott. <…> di Milano del <…> rep. n. <…> e Aaa AAA, C.F.: <…>, in virtù di procura generale alle liti per Notaio Dott. <…> di Milano del <…>, rep. n. <…>, elettivamente domiciliata in <…>, alla Via <…>, presso <…>; CONVENUTA
CONCLUSIONI
All’ udienza dell'8 novembre 2013, le parti concludevano come da relativo verbale.
RAGIONI DI FATTO E DI DIRITTO DELLA DECISIONE
Preliminarmente rileva osservare che non si è proceduto alla redazione dello svolgimento del processo, in puntuale applicazione della norma dettata dall'articolo 132, c.p.c., come novellato dall'articolo 45, comma 17, della legge numero 69 del 18 giugno 2009, entrata in vigore il 4 luglio 2009, con applicazione immediata anche ai giudizi pendenti in primo grado, ai sensi dell' articolo 58, 2° comma, della citata legge.
Passando a esaminare le ragioni di diritto della decisione rileva osservare che va dichiarata la contumacia dell'Aaa Rrr, ritualmente citata e non costituitasi in giudizio.
Ancora in via preliminare rileva osservare che nel caso di sinistro provocato da veicolo non identificato è, a parere di questo giudice, inapplicabile la disciplina di cui all'articolo 141 del decreto legislativo n. 209 del 7 settembre 2005, c.d. codice delle assicurazioni private.
Invero, alla luce del dato letterale e del costante riferimento alla necessaria compresenza di due enti assicuratori, l'articolo 141, ai fini della sua applicabilità, pur in assenza di precise indicazioni al riguardo, presuppone che il sinistro si sia verificato almeno tra due veicoli regolarmente assicurati per la r.c.a.. La necessità di tale requisito, oltre che dal tenore letterale della norma, è avvalorata dalla possibilità per la compagnia di assicurazione che liquida il danno di agire in rivalsa nei confronti dell'impresa di assicurazione del responsabile civile, nonché della previsione che l'impresa di assicurazione di quest'ultimo può intervenire nel giudizio e può estromettere l'impresa di assicurazione del vettore, riconoscendo la responsabilità del proprio assicurato ( comma 3 del citato articolo 141).
Alla stregua dei superiori rilievi deve ritenersi che l'articolo 141 del citato decreto legislativo n. 209 del 2005 non si applica alle ipotesi di sinistri verificatisi senza il coinvolgimento di altri veicoli diversi da quello del vettore ( nel caso di uscita di strada del veicolo del vettore per errore di guida del suo conducente), né alle ipotesi di sinistri verificatisi tra un veicolo assicurato e un veicolo non assicurato o non identificato. In queste ipotesi il terzo trasportato potrà esperire l'azione ordinaria nei confronti del responsabile civile ovvero nei confronti del Fondo di Garanzia per le Vittime della Strada nel caso in cui il sinistro sia stato cagionato da veicolo o natante non identificato ( siccome nel caso di specie, n.d.r. ) o non coperto da assicurazione, ex articolo 283 del citato decreto legislativo.
Orbene, nella fattispecie de qua gli attori, nella loro chiarita qualità, hanno agito in via principale ai sensi del citato articolo 141 nei confronti della S.p.A. UGF Assicurazioni, assuntrice del rischio derivante dalla circolazione del motociclo Honda, targato DH20052, a bordo del quale era trasportato il loro figlio minore e in via subordinata, nel caso di ritenuta inapplicabilità della citata disciplina, nei confronti della S.p.A. Generali Assicurazioni, in qualità di impresa designata alla gestione dei sinistri posti a carico del Fondo di Garanzia per le Vittime della Strada, essendo stato, il sinistro per cui è causa, cagionato da veicolo non identificato.
Questo giudice, si ripete, ritiene inapplicabile alla fattispecie in rassegna la normativa dettata dal citato articolo 141, conseguendone l'inammissibilità della domanda proposta dall'AAA e dalla CCC, nella loro chiarita qualità, nei confronti della S.p.A. UGF Assicurazioni, impresa di assicurazione del vettore. Occorre, pertanto, ai fini della delibazione della domanda fare riferimento alla normativa dettata dall'articolo 283 del suddetto decreto legislativo, subito avvertendosi che va dichiarata la proponibilità della domanda avendo, l'AAA Aaa e la CCC Sss, nella loro chiarita qualità, documentalmente provato di aver ottemperato all'onere previsto dalle disposizioni vigenti in subiecta materia, mediante lettera spedita, a mezzo del servizio postale in raccomandazione e con avviso di ricevimento alla CONSAP ed alla S.p.A. Generali Assicurazioni, nella sua detta qualità e di aver lasciato decorrere, per la instaurazione del presente giudizio, lo spatium deliberandi previsto dalla medesima normativa.
Destituita di fondamento è l'eccezione di improponibilità della domanda. Sul punto rileva osservare che trova applicazione la disciplina dettata dall'articolo 287 del decreto legislativo numero 209 del 7 settembre 2005, il quale al primo comma espressamente statuisce che nelle ipotesi previste dall'articolo 283, comma 1, lettere a) b) e d) - veicolo non identificato, veicolo - sprovvisto di copertura e veicolo circolante contro la volontà del proprietario - l'azione per il risarcimento dei danni causati dalla circolazione dei veicoli e dei natanti, per i quali vi è obbligo di assicurazione, può essere proposta solo dopo che siano decorsi sessanta giorni da quello in cui il danneggiato abbia chiesto il risarcimento del danno, a mezzo raccomandata, all'impresa designata ed alla CONSAP. Il citato articolo 287, in riforma dell'articolo 22 della Legge numero 990 del 1969, prevede l'obbligo di inoltrare la richiesta di risarcimento danni non solo all'impresa designata alla gestione dei sinistri posti a carico del Fondo di Garanzia Vittime della Strada, ma anche alla CONSAP (soggetto distinto dall'impresa designata) la quale pur non dovendo essere necessariamente convenuta in giudizio, può intervenire, ai sensi del 3°comma del citato articolo 287, anche in grado di appello.
La formulazione della disposizione dell'articolo 287, rispetto al vecchio testo dell'articolo 22 della Legge numero 990 del 1969, sostituendo alla congiunzione " o ", riportata dal citato articolo 22, la congiunzione" e "prevista dal citato articolo 287 del Decreto Legislativo numero 209 del 2005, in merito alla necessità di inoltrare la richiesta di risarcimento danni all'impresa - designata ed alla CONSAP, non lascia spazio a dubbi interpretativi.
Nel caso di specie in esame, l'AAA Aaa e la CCC Sss, nella loro chiarita qualità, hanno ottemperato alle disposizioni vigenti in subiecta materia. Infatti, dall'esame della documentazione prodotta si evince che l'AAA e la CCC hanno inviato la richiesta di risarcimento danni sia alla S.p.A. Generali Assicurazioni, nella detta qualità, che alla CONSAP,sconseguendone la proponibilità della domanda.
Parimenti infondata è l'eccezione di nullità dell'atto introduttivo del giudizio, formulata dalle S.p.A. convenute, atteso che l'atto introduttivo del giudizio contiene tutti i requisiti previsti dalla legge. Va, pertanto, disattesa l'eccezione de qua.
Sono da ritenere sussistenti la rispettiva legittimatio ad causam delle parti ( condizione dell'azione ), nonché la loro rispettiva titolarità del rapporto sostanziale dedotto in giudizio (questione di merito).
L'AAA e la CCC, nello loro chiarita qualità, hanno provato di essere legittimati attivi mediante la rituale produzione della documentazione medica e mediante la prova testimoniale.
Quanto, poi, alla legittimatio ad causam della S.p.A. Generali Assicurazioni, nella detta qualità, per ritenerla sussistente è sufficiente considerare che nella fattispecie de qua, dall'esame del dossier istruttorio, sorretto da prove adeguate e attendibili, emerge in modo inequivocabile che il sinistro stradale, nel quale è rimasto coinvolto il minore AAA Vvv è da ritenere in rapporto di causalità efficiente con la sola condotta di guida del conducente dell'autovettura non identificata, può, pertanto, ritenersi provata la legittimazione passiva della S.p.A. Generali Assicurazioni, che è l'impresa designata ex lege per la Regione Campania per la gestione dei sinistri posti a carico del Fondo di Garanzia per le Vittime della Strada, provocati da veicoli rimasti sconosciuti.
Rileva osservare, sul punto, che nel caso di sinistri provocati da veicoli non identificati, costituisce ius receptum nella giurisprudenza della Suprema Corte il principio, condiviso da questo giudice, secondo il quale l'intervento del Fondo di Garanzia per le Vittime della Strada non incide sulle regole generali in tema di onere della prova, per cui spetta al danneggiato di provare che il sinistro è stato causato da un veicolo non identificato (Cass. n. 10762 del 1992), che tale veicolo rientra tra quelli soggetti ad assicurazione obbligatoria ( Cass. n. 1905 del 1991 ), che i danni sono in rapporto causale con il sinistro, che il sinistro è attribuibile alla condotta dolosa o colposa del conducente del veicolo non identificato ( Cass. n. 10762 del 1992; Cass. n. 8467 del 1999), che la mancata identificazione è dovuta a impossibilità incolpevole, subito osservandosi che tale prova è stata ritenuta raggiunta quando il conducente colpevole non si sia fermato, o quando il danneggiato non era in condizioni psico-fisiche per identificare il veicolo, o nel caso in cui il danneggiante abbia denunciato alle competenti Autorità di Polizia le circostanze del fatto. Tale denuncia è stata ritenuta sufficiente ma certamente non necessaria in presenza di una domanda suffragata da prove concludenti e certe, come nel caso ora allo scrutinio di questo giudice.
La Suprema Corte di Cassazione ha puntualizzato, con la sentenza n. 18532 del 3 settembre2007, che «… l’omessa denuncia all'autorità non è idonea, in sé, ad escludere che il danno sia stato effettivamente causato da veicolo non identificato, così come l'intervenuta denuncia o querela contro ignoti non vale, da se stessa a dimostrare che tanto sia senz'altro accaduto. Entrambe la evenienze vanno invece apprezzate in relazione alle caratteristiche delle singole fattispecie, non suscettibili di tipizzazioni astratte.....a nessuna delle due (denuncia/omessa denuncia ) è peraltro consentito assegnare, salva la possibile valenza sintomatica dell'una o dell'altra in relazione alle caratteristiche del caso concreto, una sorta di efficacia probatoria automatica .... ». La Suprema Corte, con la citata sentenza, ha, altresì, affermato che il giudice deve accertare, in relazione alle caratteristiche del caso concreto, se la fattispecie concreta è riconducibile a quella del danno cagionato da veicolo non identificato nell'ambito della ragionevole valutazione complessiva delle risultanze processuali, indipendentemente dalla denuncia del fatto all'Autorità di Polizia.
Nel merito, la domanda proposta dall'AAA Aaa e dalla CCC Sss tendente al risarcimento dei danni che gli stessi assumono di aver sofferto, nella loro chiarita qualità, per le lesioni personali riportate dal loro figlio minore Vvv, in qualità di trasportato a bordo del motociclo Honda, targato XX00000, è fondata e va accolta per quanto di ragione.
Il testimone MMM Sss, indotto dagli attori ed escusso all'udienza del 16 luglio 2012, ha confermato la versione dei fatti prospettata dall'AAA Aaa e dalla CCC Sss, nella loro chiarita qualità, con l'atto introduttivo del giudizio, con dichiarazioni precise, puntuali e dettagliate.
Dalle risultanze istruttorie acquisite è emerso che verso la fine del mese di aprile dell'anno 2010 alle ore 10.30-11.00 circa, in Terzigno, un'autovettura Fiat Punto, di colore scuro, proveniente da Via Diaz, non si fermava al segnale di Stop, posto sulla sua direttiva di marcia e urtava il motociclo Honda, che proveniva dal Corso Einaudi con direzione Poggiomarino - Vesuvio, a bordo del quale era trasportato il minore Aaa Vvv che indossava il casco e che a seguito dell'urto, riportava lesioni. E', altresì, emerso che la menzionata autovettura Fiat Punto dopo l'impatto si allontanava velocemente.
L'istruttoria orale e documentale ha evidenziato che la responsabilità dell'evento dannoso per cui è causa è da ravvisare nella sola illecita, imprudente e negligente condotta di guida del conducente della suddetta autovettura, rimasta sconosciuta, che ha violato che ha violato l'obbligo di arrestarsi allo stop e concedere la precedenza ai veicoli in circolazione sul Corso Einaudi, strada preferita, ai sensi dell'articolo 145, 4 comma, c.d.s. (il quale statuisce che i conducenti devono dare la precedenza agli altri veicoli nelle intersezioni nelle quali sia così stabilito dall'autorità competente e la prescrizione sia resa nota con apposito segnale), nonchè le più elementari norme di comune prudenza e diligenza e, pertanto, va dichiarato esclusivo responsabile del sinistro de quo.
Al riguardo rileva osservare che a differenza dell'obbligo imposto al conducente che si immette nel flusso di circolazione di dare la precedenza alle autovetture in transito, o dell'obbligo di dare la precedenza in area di incrocio alle vetture provenienti da destra, quello derivante dal segnale di stop ha contenuto esteso all'arresto del veicolo, che ha un significato preciso: la verifica della transitabilità in relazione alla circolazione in atto.
Sul punto la Suprema Corte ha affermato il principio, condiviso da questo giudice, secondo il quale « il conducente di un veicolo, una volta fermatosi sulla linea di stop, prima di riprendere la marcia, ha l'obbligo di ispezionare la strada protetta, per assicurarsi che sia libera da veicoli che sopraggiungono e, se ve ne siano, deve accordare la precedenza a tutti i veicoli che vi circolano, provengano da destra o da sinistra. Invero, l'obbligo imposto ai conducenti di veicoli di arrestare la marcia e cedere la precedenza nei due sensi, quando vi sia un cartello di Stop in prossimità di un crocevia, ha carattere rigido, con la conseguenza che la fermata a detto segnale si deve effettuare almeno per un attimo quando l'area del crocevia è libera, mentre, se sopravvengono veicoli sulla strada che si sta per imboccare, si deve protrarre il tempo necessario a consentire a tutti i detti veicoli di passare con precedenza» (Cass. 3 maggio 2007, n. 10159).
Ne consegue, pertanto, la fondatezza della domanda per quanto di ragione.
In ordine al quantum debeatur, si deve ritenere accertato, alla stregua della consulenza medico legale di ufficio del dottore Lll CCC immune da vizi logici e tecnici e alle cui conclusioni, adeguatamente motivate, questo giudice ritiene di uniformarsi, che alle lesioni riportate dal minore AAA Vvv sono conseguiti postumi di carattere permanente valutati nella misura del 3,5%, un periodo di invalidità temporanea assoluta di giorni 2, un periodo di invalidità temporanea parziale di giorni 20 valutabile al 50 % e un periodo di invalidità temporanea parziale di giorni 15 valutabile al 25 %.
Al riguardo rileva osservare che la Suprema Corte ha affermato il principio secondo il quale il bene della salute costituisce, come tale, oggetto di autonomo diritto primario assoluto (articolo 32 della Costituzione), sicchè il risarcimento dovuto per la sua lesione non può essere limitato alle conseguenze che incidono soltanto sull'idoneità a produrre reddito, ma deve autonomamente comprendere il danno biologico, che, inteso come la menomazione dell'integrità psico - fisica della persona in sé e per sé considerata in quanto incidente sul valore uomo in tutta la sua dimensione, non si esaurisce nella sola attitudine a produrre ricchezza, ma si collega alla somma delle funzioni naturali riguardanti il soggetto nel suo ambiente di vita ed aventi rilevanza non solo economica ma anche biologica, sociale, culturale ed estetica.
Effettuando la concreta liquidazione della somma da riconoscere, a titolo di risarcimento, tenuto conto della natura delle lesioni riportate, del grado di invalidità residuato e attestato dal C.T.U. nella misura del 3,5 %, dell'età del danneggiato al momento del sinistro per cui è causa ( anni 17 ), facendo riferimento ai criteri indicati nella Legge numero 57 del 2001, trattandosi di lesioni micropermanenti e di sinistro avvenuto dopo l'entrata in vigore della citata legge, tenuto conto dell'aggiornamento delle somme D.M. 17 giugno 2011, pubblicato nella G.U. numero 147 del 27 giugno 2011), deve liquidarsi, a titolo di danno biologico da invalidità permanente, la somma di € 3.076,38.
Per quanto riguarda, poi, il danno biologico temporaneo, tenuto conto dei criteri applicati in campo nazionale ( che prevedono € 44,28 per ogni giorno di inabilità) va liquidata la somma di € 88,56 (€ 44,28 X 2 = € 88,56) per invalidità temporanea totale di giorni 2, la somma di € 442,80 (€ 22,14 X 20 = € 442,80) per invalidità temporanea parziale di giorni 20 valutabili al 50 % e la somma di € 166,05 (€ 11,07 X 15 = € 166,05) per invalidità temporanea parziale di giorni 15 valutabili al 25 %.
Nulla è dovuto per il danno morale, in quanto non allegato e non provato.
Sul punto rileva osservare che secondo l'orientamento della Suprema Corte di Cassazione, condiviso da questo giudice, la rilettura costituzionalmente orientata dell'articolo 2059 c.c., come norma deputata alla tutela risarcitoria del danno non patrimoniale inteso nella sua più ampia accezione, riporta il sistema della responsabilità aquiliana nell'ambito della bipolarità prevista dal vigente codice civile tra danno patrimoniale e danno non patrimoniale. Sotto tale aspetto, il risarcimento del danno patrimoniale da fatto illecito è connotato da atipicità, postulando l'ingiustizia del danno di cui all'articolo 2043 c.c. la lesione di qualsiasi interesse giuridicamente rilevante, mentre quello del danno non patrimoniale è connotato da tipicità, perché tale danno è risarcibile solo nei casi determinati dalla legge e nei casi in cui sia cagionato da un evento di danno consistente nella lesione di specifici diritti inviolabili della persona. Il danno non patrimoniale, identificandosi con il danno determinato dalla lesione di interessi inerenti la persona non connotati da rilevanza economica, costituisce categoria unitaria non suscettiva di suddivisione in sottocategorie. Il riferimento a determinati tipi di pregiudizio, in vario modo denominati ( danno morale, danno biologico, danno da perdita del rapporto parentale ) risponde ad esigenze descrittive, ma non implica il riconoscimento di distinte categorie di danno( Cass. S.S. U.U. 26972 dell'11 novembre 2008).
Ne consegue, pertanto, che nell'ambito della categoria generale del danno non patrimoniale, il danno morale non individua una autonoma categoria di danno ma, rientrando nel danno biologico, descrive, tra i vari possibili pregiudizi non patrimoniali, un tipo di pregiudizio costituito dalla sofferenza soggettiva cagionata dal reato in sé considerata. Sofferenza la cui intensità e durata nel tempo non assumono rilevanza ai fini della esistenza del danno, ma solo della quantificazione del risarcimento.
Alla luce dell'or citata sentenza a Sezioni Unite della Suprema Corte il danno morale, inteso come sofferenza morale determinata dal " non poter fare ", non è in re ipsa, ma è danno conseguenza e, come tale, deve essere allegato e provato, con la conseguenza che in mancanza di allegazione e di prova, siccome nel caso in esame, è esclusa la sua risarcibilità, dovendosi escludere la automatica liquidazione del danno de quo.
All'AAA Aaa e alla CCC Sss, nella loro detta qualità, deve essere liquidata la somma di € 188,15 per le spese mediche, di cui € 88,15 per le spese mediche documentate ed € 100,00 per le spese mediche non documentate, liquidate in via equitativa.
La somma complessiva da liquidare, a favore dell'AAA Aaa e della CCC Sss, nella loro detta qualità, è di € 3.961,94.
Ne consegue che la S.p.A. Generali Assicurazioni, nella sua chiarita qualità, va condannata al pagamento, in favore dell' AAA Aaa e della CCC Sss, in qualità di genitori esercenti la potestà genitoriale sul loro figlio minore AAA Vvv, della complessiva somma di € 3.961,94.
La suddetta somma è liquidata al valore attuale, e, pertanto, non è suscettibile di rivalutazione monetaria. Sulla detta somma sono dovuti gli interessi da lucro cessante nella misura del 2 %, calcolati, in applicazione del principio giurisprudenziale affermato dalle Sezioni Unite della Corte di Cassazione con la sentenza n. 1712 del 1995, non sull'importo liquidato all'attualità bensì sulla somma devalutata, in base agli indici ISTAT, al momento del fatto e rivalutata anno per anno a partire dalla data del sinistro fino alla data della pubblicazione della presente sentenza oltre agli interessi al tasso legale, da calcolare, sulla somma liquidata all' attualità, dalla data della pubblicazione della presente sentenza a quella della estinzione dell'obbligazione risarcitoria
Le spese processuali a favore dell'AAA e della CCC, nella loro detta qualità, seguono la soccombenza e vanno liquidate d'ufficio come da dispositivo, tenuto conto delle circostanze concrete e dei criteri generali indicati nel Decreto del Ministero della Giustizia n. 140 del 20 luglio 2012, pubblicato sulla G.U. n. 195 del 22 agosto 2012, in vigore dal 23 agosto 2012.
Le spese di C.T.U., come liquidate in corso di causa e poste provvisoriamente a carico degli attori, dovranno gravare in via definitiva a carico della S.p.A. Generali Assicurazioni, nella detta qualità.
La peculiarità della fattispecie, in uno alla concreta valutazione degli interessi contrapposti, tenuto conto della esistenza di contrasti interpretativi e del dibattito giurisprudenziale in materia, giustifica l'integrale compensazione delle spese tra la UGF Assicurazioni S.p.A. e l'AAA e la CCC, nella loro chiarita qualità.
P.Q.M.
Il Giudice di Pace di Ottaviano, avvocato Anna Esposito, definitivamente pronunciando sulla domanda proposta dall'AAA Aaa e dalla CCC Sss, in qualità di genitori esercenti la potestà genitoriale sul loro figlio minore AAA Vvv, nei confronti della UGF Assicurazioni S.p.A., in persona del suo legale rappresentante pro tempore, della S.p.A. Generali Assicurazioni, in persona dei suoi legali rappresentanti pro tempore, quale impresa designata alla gestione dei sinistri posti a carico del Fondo di Garanzia per le Vittime della Strada e dell'Aaa Rrr, ogni altra domanda ed eccezione disattese, così provvede:
1) dichiara la contumacia dell'AAA Rrr;
2 ) dichiara inammissibile la domanda proposta dall'AAA Aaa e dalla CCC Sss, in qualità di genitori esercenti la potestà genitoriale sul loro figlio minore AAA Vvv, nei confronti della UGF,Assicuraziom S.p.A.;
3 ) dichiara il conducente dell'autovettura rimasta sconosciuta esclusivo responsabile nella produzione dell'evento dannoso per cui è causa;
4) in parziale accoglimento della domanda condanna la S.p.A. Generali Assicurazioni, quale impresa designata alla gestione dei sinistri posti a carico del Fondo di Garanzia per le Vittime della Strada, in persona dei suoi legali rappresentanti pro tempore, al pagamento, in favore dell'AAA Aaa e della CCC Sss, in qualità di genitori esercenti la potestà genitoriale sul loro figlio minore AAA Vvv, della somma di € 3.961,94 al valore attuale, oltre agli interessi come calcolati nella motivazione;
5) condanna la S.p.A. Generali Assicurazioni, quale impresa designata alla gestione dei sinistri posti a carico del Fondo di Garanzia per le Vittime della Strada, in persona dei suoi legali rappresentanti pro tempore, al pagamento delle spese processuali che in base alle tariffe forensi liquida in complessivi € 2.050,00, di cui € 550,00 per spese (comprese quelle di C.T.U. ), € 1.500,00 per il compenso per la prestazione professionale forense, I.V.A. e C.P.A., con attribuzione, ex articolo 93 c.p.c., all'avvocato Fff Aaa;
5 ) compensa le spese di lite tra l'AAA e la CCC nella loro chiarità qualità e la UGF Assicurazioni S.p.A..
Così deciso in Ottaviano il 22 novembre 2013
Il Giudice di Pace
Avv. Anna Esposito

Cass. civ., sez. III, 13 gennaio 2009, n. 463



Se alla morte dell'ereditando sulla proprietà dell'immobile persiste un'ipoteca, siccome ciò consente al creditore ipotecario di assoggettare ad espropriazione forzata tale diritto, l'azione esecutiva già intrapresa nei suoi confronti e la successiva vendita non possono risultare impedite dai diritti attribuiti al coniuge superstite dall'art. 540 cod. civ., comma 2.
Gli spetterà, invece, all'esito del processo esecutivo, in corrispondenza del valore dei diritti rimasti estinti, l'eventuale residuo.  

. - La controversia è sorta nell'ambito di un'espropriazione forzata immobiliare, iniziata dalla Xxxxx  S.p.A. – Yyyyyyy contro M.G.. Il pignoramento era stato eseguito con atto notificato il 5.4.1995. 2. - R.G. vi ha proposto opposizione di terzo con ricorso al tribunale di San Remo depositato il 27.11.2001. Ha affermato che uno degli immobili assoggettati a pignoramento - un appartamento sito in (OMISSIS) - era stato da sempre casa coniugale sua e del debitore M.G. e che, venuto questo a morte il (OMISSIS), ai sensi e per gli effetti dell'art. 540 c.c., erano a lei riservati i diritti di abitazione sulla casa adibita a residenza familiare e di uso sui mobili che la corredavano. Il ricorso, oltre alla Xxxxx , è stato notificato a P. e M.S., eredi di M.G.. Si è costituita in giudizio la Xxxxx  ed ha chiesto di rigettare l'opposizione. Ha sostenuto che sull'immobile, a garanzia del credito per cui era stato eseguito il pignoramento, gravava un'ipoteca volontaria iscritta il 29.7.1993 e che pertanto il diritto di abitazione non le poteva essere opposto. Nel giudizio, svolgendo analoghe difese, è intervenuta la Xxxxx, che dal canto suo aveva sottoposto a pignoramento lo stesso immobile con atto di pignoramento notificato il 28.7.1995 e trascritto il 18.8.1995, per un credito garantito dalla medesima ipoteca volontaria. 3. - L'opposizione è stata rigettata con sentenza 22.10.2002. Ha osservato il tribunale che il diritto attribuito al coniuge dell'ereditando dall'art. 540 c.c., è soggetto nei suoi rapporti con l'ipoteca al regime previsto dall'art. 2812 c.c., sicchè non è opponibile al creditore ipotecario che abbia iscritto ipoteca sull'immobile adibito a casa coniugale prima che questo diritto sorga. A confutazione della tesi sostenuta dalla ricorrente - non essere questa norma applicabile al diritto d' abitazione previsto dall'art. 540 c.c., perchè esso avrebbe natura personale - si è considerato nella sentenza da un lato che la sua natura di diritto reale è riconosciuta dalla giurisprudenza, dall'altro che la tesi non giovava alla parte, perchè l'art. 619 c.p.c., legittima alla opposizione di terzo solo i titolari del diritto di proprietà o di altro diritto reale. 4. - La corte d'appello di Genova - con sentenza del 16.1.2004 - è tornata a rigettare l'opposizione. 4.1. - Ha bensì riconosciuto che la questione della natura personale o reale del diritto non valeva a condizionare la soluzione della questione della legittimazione ad agire in opposizione di terzo, che va riconosciuta anche ai titolari di diritti personali in quanto opponibili al terzo acquirente e nella misura in cui lo sono. 4.2. - Ha tuttavia portato a sostegno della decisione di rigetto, altre ragioni di diritto. 4.2.1. - La prima - svolta con richiamo alla sentenza 6 aprile 2000 n. 4329 di questa Corte - è stata che l'istituto del diritto di abitazione configurato dall'art. 540 c.c., si colloca nell'ambito della successione necessaria, ma non anche della successione legittima, che è quella in base alla quale l'eredità era stata devoluta nel caso in esame. 4.2.2. - La seconda è stata affidata all'argomento per cui non sarebbe giustificata "una dilatazione dell'operatività del diritto in esame al di fuori dell'ambito della distribuzione della massa ereditaria, con proiezione al di fuori di essa in potenziale pregiudizio dei terzi che abbiano acquisito diritti incidenti su beni specifici appartenenti alla massa medesima". 4.2.3. - La terza ha poggiato sulla combinazione di due argomenti: il carattere di realità del diritto di abitazione (a conforto del quale è stata richiamata la sentenza di questa Corte 27 febbraio 1998 n. 2159 - e la connessa disciplina degli effetti prenotativi della trascrizione del pignoramento immobiliare, rispetto agli atti di disposizione soggetti a trascrizione, ma trascritti dopo ed agli non soggetti a trascrizione, ma non risultanti da atti di data certa anteriore (artt. 2913, 2913 e 2919 c.c.). A completamento dei quali argomenti è stato osservato che, rispetto al diritto in questione - dovrebbe valere "il criterio dell'anteriorità o posteriorità della data certa del momento genetico del diritto rispetto al vincolo di inefficacia derivante dal pignoramento". Ed inoltre che argomento in contrario non si potrebbe trarre da quanto affermato da questa Corte con la sentenza 26 luglio 2002 n. 11096, che in tema di opponibilità del provvedimento giudiziale di assegnazione della casa familiare, pronunciato nei procedimenti di separazione personale e divorzio, non trascritto, ma per sè avente data certa, gli ha riconosciuto efficacia novennale contro il terzo acquirente. 4.3. - La corte d'appello si è soffermata su un'ultima questione che s'era già agitata in primo grado. Ha osservato che il giudice dell'esecuzione, che nella fase di introduzione dell'opposizione esecutiva sospende il processo esecutivo, ben può inserire nella sentenza con cui decide di tale opposizione un provvedimento di revoca della sospensione. 5. - R.G. ha chiesto la cassazione della sentenza. Ha resistito con controricorso la Xxxxx . Ha proposto anche ricorso incidentale condizionato il Banco popolare di Verona e Novara S.c.a.r.l.. R.G. ha depositato una memoria.   MOTIVI DELLA DECISIONE 1. - I ricorsi principale ed incidentale hanno dato luogo a separati procedimenti, che debbono essere riuniti perchè sono relativi ad impugnazioni proposte contro la stessa sentenza (art. 335 cod. proc. civ.). 2. - La cassazione della sentenza, con il ricorso principale, è chiesta in base a cinque motivi. I primi quattro riguardano il tema di fondo della causa, il sesto una questione attinente alla sospensione del processo di esecuzione in pendenza del giudizio di opposizione.   2.1. - Il primo è un motivo di violazione di norme di diritto (art. 360 cod. proc. civ., n. 3, in relazione all'art. 540 cod. civ., comma 2). Vi si sostiene la tesi, che i diritti di abitazione sulla casa adibita a residenza coniugale e di uso sui mobili che la corredano sono oggetto di una vocazione a titolo particolare, legata alla vocazione a titolo universale ad una quota di eredità, mediante i quali trova tutela un interesse di natura non patrimoniale del coniuge superstite, che non può risultare estinto da alcuna vicenda relativa alla persona dello stesso erede.   2.2. - Il secondo è ancora un motivo di violazione di norme di diritto (art. 360 cod. proc. civ., n. 3, in relazione all'art. 2913 cod. civ.). La tesi svolta a sostegno del motivo è la seguente. L'art. 2913 cod. civ., regola i rapporti tra il pignoramento e gli atti di disposizione dei beni su cui il pignoramento è caduto e sancisce che gli effetti di questi atti non sono opponibili al creditore pignorante ed agli intervenuti. La norma non può quindi trovare applicazione in relazione ad un effetto che è disposto dalle legge e non da un atto con cui chi è titolare dei diritti sul bene fatti oggetto di pignoramento ne dispone. Inoltre, se i diritti di cui si discute hanno natura personale e non reale, non possono risultare di pregiudizio rispetto al diritto reale salvaguardato dal pignoramento, perchè il coniuge superstite rimane estraneo alla sorte del diritto reale sottoposto ad esecuzione, esigendo soltanto di poter utilizzare il bene personalmente in considerazione del suo stato e di quello della famiglia. Il conflitto tra diritto del coniuge superstite a continuare a godere della casa destinata ad abitazione della famiglia e diritto dei creditori dell'originario debitore a soddisfarsi sul ricavato della vendita del bene si deve considerare risolto dalla legge a favore del coniuge superstite e del resto, poichè assicura solo la continuazione del godimento della casa già adibita a residenza familiare, non è incompatibile col trasferimento della proprietà a chi acquista nel processo esecutivo il relativo diritto.   2.3. - Il terzo motivo è prospettato come vizio di difetto di motivazione circa la affermata realità del diritto riconosciuto dalla legge al coniuge superstite. Vi si sostiene che nè la realità del diritto riconosciuto al coniuge superstite dall'art. 540 c.c., affermata nella sentenza, è sorretta da idonea motivazione nè i giudici di appello si sono soffermati a stabilire quando la destinazione a casa di abitazione fosse stata attuata, perchè, non soggiacendo alle regole della trascrizione, non è in base al tempo di questa che può essere risolto il conflitto tra coniuge superstite e debiti ereditari.   2.4. - Il quarto ed ultimo di questo gruppo è un motivo di violazione di norme di diritto (art. 360 cod. proc. civ., n. 3, in relazione agli artt. 540, 581 e 582 cod. civ.). La tesi è che il diritto riservato al coniuge nasce con il matrimonio, è "condiviso", non divisibile, nè trasmissibile, non rientra nell'asse dismesso morendo dal coniuge defunto, sopravvive in attribuzione esclusiva, non in forza della successione ma solo in occasione di questa, estendendosi conseguentemente sull'intera casa coniugale.   3. - I motivi appena riassunti possono essere esaminati insieme. Non sono fondati. Queste le ragioni. Prima che la successione si aprisse con la morte di M. G., sull'immobile era stata da lui costituita un'ipoteca, a garanzia di un credito a favore della Xxxxx , che per la sua riscossione coattiva ha poi sottoposto a pignoramento lo stesso immobile in confronto del proprio debitore. L'ipoteca dà diritto ai creditori ad espropriare i beni su cui è stata iscritta, anche se questi pervengono per effetto dellasuccessione a soggetto diverso dall'erede, in quanto oggetto di legato (art. 756 cod. civ.). Il problema posto dalla opposizione di terzo su cui è stata pronunciata la sentenza impugnata è se questa disciplina operi anche quando l'immobile abbia ricevuto in vita dell'ereditando una destinazione a casa coniugale. Se i diritti parziari in questione costituiscano oggetto di legato disposto dalla legge a favore del coniuge superstite, secondo un'opinione espressa in dottrina e seguita dalla giurisprudenza della Corte (Cass. 6 aprile 2000 n. 4329) oppure vadano ricondotti nel novero dei diritti oggetto di riserva a favore dei legittimari, ciò non fa differenza rispetto al dato costituito dal fatto che l'immobile su cui i diritti in questione insistono entra a far parte dell'eredità gravato da ipoteca a favore di un creditore ereditario. Orbene, tra i presupposti perchè l'acquisto dei diritti di cui si tratta si realizzi in sede disuccessione a favore del coniuge superstite è che l'immobile, che sia stato e si trovi ad essere destinato ad abitazione della famiglia, appartenga all'ereditando e non pure ad altri, che non sia lo stesso coniuge superstite (almeno secondo un più risalente orientamento della giurisprudenza manifestato dalle sentenze 23 maggio 2000 n. 6691 e 22 luglio 1991 n. 8171 di questa Corte). La Corte ha però anche affermato, più di recente (Cass. 30 luglio 2004 n. 14594) che, quando ciò non è, opera, nei rapporti tra i successori, il principio di conversione del diritto di abitazione nel suo equivalente monetario. Se alla morte dell'ereditando sulla proprietà dell'immobile persiste un'ipoteca, siccome ciò consente al creditore ipotecario di assoggettare ad espropriazione forzata tale diritto, l'azione esecutiva già intrapresa nei suoi confronti e la successiva vendita non possono risultare impedite dai diritti attribuiti al coniuge superstite dall'art. 540 cod. civ., comma 2. Gli spetterà, invece, all'esito del processo esecutivo, in corrispondenza del valore dei diritti rimasti estinti, l'eventuale residuo.   4. - Con il quinto motivo la cassazione è chiesta per un vizio prospettato come di difetto di motivazione, in rapporto alla applicazione degli artt. 619 e 175 cod. proc. civ.. E' diretto contro il capo della sentenza, con cui è stato affermato il principio che, se a decidere d'una opposizione alla esecuzione è lo stesso giudice che ha disposto la sospensione del processo esecutivo, alla sua revoca, senza che perciò si incorra in alcun vizio procedimentale, il giudice può provvedere, invece che con separata ordinanza, con la stessa sentenza. Il motivo non è fondato. La Corte ha già deciso in questo senso con la sentenza 14 giugno 1999 n. 5882 nè vi sono ragione per discostarsi da tale principio, considerato che il provvedimento è anche in questo caso adottato nel contraddittorio delle parti e da giudice legittimato a disporre sulla sospensione, mentre la sospensione è possibile oggetto di revoca (Cass. 28 novembre 2007 n. 24736; 19 luglio 2005 n. 15220; 20 febbraio 2003 n. 2620). 5. - Il ricorso principale è in conclusione rigetto. 6. - Quello incidentale, espressamente condizionato, è assorbito. 7. - La novità della specifica questione posta dai primi quattro motivi del ricorso principale giustifica che le spese di questo grado del giudizio siano dichiarate compensate.   P.Q.M. La Corte, riuniti i ricorsi, rigetta il principale, dichiara assorbito l'incidentale e compensate le spese del giudizio di Cassazione. Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione Terza Civile della Corte Suprema di Cassazione, il 30 ottobre 2008. Depositato in Cancelleria il 13 gennaio 2009.