martedì 11 dicembre 2012


Vendita, vizi, riconoscimento, venditore, riparazione, diritto, prescrizione

Cassazione civile , SS.UU., sentenza 13.11.2012 n° 19702
L'impegno del venditore a riparare il bene implica il riconoscimento del vizio da cui esso è affetto e impedisce quindi la decadenza comminata al compratore dall'art. 1495 c.c. per il caso di mancata tempestiva denuncia.
L'obbligazione assunta è autonoma e distinta della garanzia che legittima l'esercizio delle azioni di riduzione del prezzo o di risoluzione del contratto, soggette alla prescrizione di un anno dalla consegna, stabilita dalle stesso art. 1495 c.c.; il consenso del compratore (che può essere dato eventualmente per facta concludentia, ma è comunque necessario, trattandosi di operare su un bene ormai di sua proprietà) fa sorgere quindi un nuovo e differente diritto, la cui prescrizione, appunto in ragione di tale diversità, non è disciplinata dalla norma sopra citata e si compie pertanto nel termine ordinario di dieci anni.

SUPREMA CORTE DI CASSAZIONE
SEZIONI UNITE CIVILI
Sentenza 13 novembre 2012, n. 19702
Svolgimento del processo

Con sentenza del 13 aprile 2005 il Tribunale di Bari - adito dalla s.p.a. Sargiani nei confronti della s.r.l. Gamma, rispettivamente alienante e acquirente di un macchinario - condannò la convenuta a pagare all'attrice il corrispettivo residuo della vendita; respinse le riconvenzionali di riduzione dei prezzo, di risarcimento di danni e di condanna dell'altra parte a riparare il bene, formulate nel presupposto che in esso fossero presenti vizi di funzionamento.
Impugnata dalla soccombente, la decisione è stata confermata dalla Corte d'appello di Bari, che con sentenza dei 31 maggio 2010 ha rigettato il gravame, ritenendo prescritto ai sensi dell'art. 1495 c.c. il diritto di garanzia fatto valere dalla compratrice ed escludendo la ravvisabilità nella specie di una ipotesi di aliud pro alio.
La s.r.l. Gamma ha proposto ricorso per cassazione, in base a quattro motivi. La s.p.a. Sargiani si è costituita con controricorso. Sono state presentate memorie dall'una parte e dall'altra.
Motivi della decisione
Con il primo motivo di ricorso la s.r.l. Gamma lamenta che la Corte d'appello ha erroneamente e ingiustificatamente disconosciute che il macchinario consegnatole era totalmente diverso da quello previsto nel contratto di vendita, poichè operava in maniera manuale anzichè automatica e comportava quindi uno snaturamento del processo produttivo nella catena di montaggio nel quale era inserito.
La doglianza va disattesa.
Il giudice a quo non ha affatto negato, in diritto, l'esattezza dei principi giurisprudenziali richiamati dalla ricorrente, tratti dalle norme di cui viene denunciata la violazione, ma ha escluso, in fatto, la loro pertinenza alla vicenda oggetto della causa. Si verte dunque nel campo di apprezzamenti eminentemente di merito, insindacabili in questa sede so non setto il profilo dell'omissione, insufficienza o contraddittorietà della motivazione. Da questi vizi, la sentenza impugnata, risulta immune, poichè il giudice a quo ha dato adeguatamente conto, in maniera esauriente e logicamente coerente, delle ragioni della decisione sul punto, osservando sia che già stragiudizialmente la compratrice aveva segnalato difetti incidenti semmai sulla qualità del macchinario, sia che queste comunque era funzionante e la relativa modalità incideva in ipotesi soltanto sulla resa quantitativa, sicchè non si era rivelato del tutto inidoneo ad assolvere la funzione economico-sociale della res promessa e quindi a fornire l'utilità richiesta. I contrari assunti della s.r.l. Gamma - oltre ad essere incoerenti con la natura dell'azione quanti minoris da essa esercitata in via riconvenzionale, che presuppone la presenza di semplici vizi redibitori - si risolvono nei demandare a questa Corte una valutazione delle risultanze istruttorie diversa da quella motivatamente compiuta dal giudice del merito: il che non può costituire idonea ragione di cassazione della sentenza impugnata, stanti i limiti propri del giudizio di legittimità.
Con il secondo motivo di ricorso la s.r.l. Gamma deduce di non essersi limitata - contrariamente a quanto ha ritenuto la Corte d'appello - a opporre solo fatti impeditivi del preteso diritto dell'attrice, ma di aver anche contestato la sussistenza di quelli costitutivi, i quali a suo dire erano venuti meno in seguito all'impegno di eliminare i vizi del bene, che la s.p.a. Sergiani aveva assunto.
La censura è in conferente, poichè il giudice di secondo grado non ha mancato di prendere in considerazione la tesi di cui si tratta, che era stata posta a base della domanda riconvenzionale della convenuta, della quale sia confermata la decisione di rigetto già adottata dal Tribunale, ritenendo prescritto il diritto alla garanzia fatto valere dalla s.r.l. Gamma.
Con il terzo motivo di impugnazione la ricorrente si duole dell'affermazione della Corre d'appello, secondo cui era incontroverso tra le parti, che non vi fosse sesta una novazione dell'obbligazione di garanzia e la sua sostituzione con quella ai riparazione del bene, soggetta a prescrizione decennale anzichè annuale.
Neppure questa censura può essere accolta.
Anch'essa, come quella formulata con il primo motivo di ricorso, difetta di pertinenza rispetto al petitum delle domande riconvenzionali, ribadite in appello, con le quali era stato chiesta non soltanto la condanna della s.p.a. Sergiani all'eliminazione dei vizi, ma anche la riduzione del prezzo della vendita, in adempimento quindi dell'obbligazione di garanzia, che invece sarebbe rimasta estinta, ove vi fosse stata novazione. D'altra parte, La stessa s.r.l. Gamma ha escluso di aver aderito all'offerta di riparazione, in quanto era stata condizionata all'invio del macchinario allo stabilimento della società venditrice. Nè l'avvenuta sostituzione dell'originaria obbligazione con l'altra può desumersi dalla frase dell'atto introduttivo del giudizio riportata nel ricorso, nella quale si menziona soltanto una proposta transattiva rimasta senza esito, perchè non accentata.
Con il quarto motivo di ricorso si sostiene che il riconoscimento dei vizi e l'impegno a eliminarli, da parte della s.p.a. Sergiani, seppure non avesse comportato una novazione, avrebbe avuto comunque l'effetto di assoggettare alla prescrizione ordinaria decennale, anzichè a quella annuale, il diritto di garanzia fatto valere dalla s.r.l. Gamma mediante l'azione quanti minoris.
Per la soluzione di tale questione di massima, reputata di particolare importanza, la seconda sezione di questa Corte con ordinanza del 26 marzo 2012, ha prospettato l'opportunità dell'assegnazione del ricorso alle sezioni unite, che in effetti è stata poi discosta dal Primo Presidente.
La giurisprudenza di legittimità è univocamente orientata nel senso che l'impegno del venditore a riparare il bene implica il riconoscimento del vizio da cui esso è affetto e impedisce quindi la decadenza comminata al compratore dall'art. 1495 c.c. per il caso di mancata tempestiva denuncia; l'obbligazione assunta è autonoma e distinta della garanzia che legittima l'esercizio delle azioni di riduzione del prezzo o di risoluzione del contratto, soggette alla prescrizione di un anno dalla consegna, stabilita dalle stesso art. 1495 c.c.; il consenso del compratore (che può essere dato eventualmente per facta concludentia, ma è comunque necessario, trattandosi di operare su un bene ormai di sua proprietà) fa sorgere quindi un nuovo e differente diritto, la cui prescrizione, appunto in ragione di tale diversità, non è disciplinata dalla norma sopra citata e si compie pertanto nel termine ordinario di dieci anni (v., per tutte, Cass. 2, sez. 12 maggio 2000 n. 6089).
E' stato altresì precisare, da Cass. sez. un. 21 giugno 2005 n. 13294, che l'impegno a eliminare i vizi non determina di per sè la sostituzione della nuova obbligazione alla precedente e l'estinzione di questa, poichè un tale effetto novativo, per il disposto dell'art. 1230 c.c., conseguire soltanto a una espressa volontà manifestata in tal senso dalle parti, sicchè di regola le due obbligazioni coesistono. Con riferimento a questa ipotesi, con la stessa sentenza, si è altresì affermato - ma il tema era estraneo alla materia del contendere devoluta in quella sede "che il termine di prescrizione decennale si applica anche alle azioni di riduzione del prezzo e di risoluzione del contratto, poichè "si tratta di assegnare un significato, ai fini dell'esercizio delle azioni edilizie e del relativo termine prescrizionale, alla circostanza che fra le parti è in corso, un tentativo di far ottenere dal compratore il risultato che egli aveva il diritto di conseguire fin dalla conclusione del contratto di compravendita. E altro significato non può essere che quello di svincolare il compratore dai termini e condizioni per l'esercizio delle azioni edilizie, atteso che queste non vengono da lui esercitate in pendenza degli interventi del venditore finalizzati all'eliminazione dei vizi redibitori, al fine di evitare di frapporre ostacoli, secondo le regole della correttezza (art. 1175 c.c.), alla realizzazione della prestazione cui il venditore è tenuto".
Alla stessa conclusione è poi pervenuta anche Cass. sez. 3, 14 gennaio 2011 n. 747 - ugualmente in via di obiter dictum - ma per ragioni diverse: sulla scorta di una concezione procedimentale della garanzia dei vizi, caratterizzata "da un suo momento genetico (la stipula della convenzione negoziale di compravendita), da un suo (eventuale) momento attuativo/correttivo (l'offerta/richiesta sostitutivo/riparatoria), da un suo momento "processuale attuativo/risarcitorio/caducatorio (richiesta di esatto adempimento/riduzione del prezzo/risoluzione speciale)", si è ritenuto "evidente come il riconoscimento operoso del venditore sia idoneo ad esaurire definitivamente, sul piano funzionale, una fase del rapporto inter partes, ivi comprese le limitazioni temporali, affatto eccezionali, connesse con le esigenze di stabilità negoziale..., onde la sostituzione, a quegli originari termini iugulatori, dell'ordinanza regula iuris della prescrizione ordinaria, una volta emersa, in via definitiva e con l'accordo delle parti, la nuova e reale giustapposizione di diritti e obblighi (alla riparazione/sostituzione) del compratore e del venditore", con conseguente esclusione della "perdurante operatività dei limiti (decadenziali e) prescrizionali stabiliti, in via eccezionalmente derogativa, dall'art. 1495 c.c. per tutte le azioni "di garanzia", e dunque tanto per le azioni edilizie che per quella di esatto adempimento".
Da questi precedenti "invocati l'uno nel ricorso, l'altro nella memoria dalla s.r.l. Gamma, a sostegno della sua tesi" ritiene il collegio di doversi discostare. Il contenuto dell'obbligazione "di garantire il compratore ... da vizi di cosa", che nell'art. 1476 n. 3 c.c. è inserita tra quelle "principali del venditore", è precisato dagli artt. 1492, 1493 e 1494, i quali attribuiscono al compratore (salve le esclusioni stabilite dagli artt. 1490 e 1491) sia la facoltà di "domandare a sua scelta la risoluzione del contratto ovvero la riduzione del prezzo, salvo che, per determinati vizi, gli usi escludano la risoluzione", sia le restituzioni e i rimborsi conseguenti alla risoluzione, sia il "risarcimento del danno", se il venditore "non prova di avere ignorato senza colpa i vizi della cosa", e comunque per i "danni derivati dai vizi" stessi.
In queste disposizioni si esaurisce la regolamentazione dell'istituto, che pone quindi il venditore in una situazione non tanto di "obbligazione", quanto piuttosto di "soggezione", esponendolo all'iniziativa del compratore, intesa alla modificazione del contratto di vendita, o alla sua caducazione, mediante l'esperimento rispettivamente dell'actio quanti minoris o dell'actio redibitoria. Il venditore deve subire tali effetti, che si verificato nella sua sfera giuridica ope iudicis, senza essere tenuto ad eseguire alcuna prestazione, a parte il dare il solvere derivanti dai doveri di restituzione e di risarcimento. La diversa obbligazione di facere, che egli assume impegnandosi a eliminare i vizi della cosa, se non dà luogo all'estinzione per novazione della garanzia apprestata dagli artt. 1490 ss. c.c., sicchè non vi è spazio per ritenere che possa influire sulla sua disciplina, in particolare trasformando da annuale in decennale il termine di prescrizione previsto dall'art. 1495 c.c., che è insuscettibile di modificazioni per volontà delle parti, stante il divieto sancito dall'art. 2936 c.c. Dunque l'ulteriore diritto, che il compratore acquisisce, è soggetto alla prescrizione ordinaria decennale, in quanto è estraneo alla previsione degli artt. 1490 s. c.c., ma proprio per questa stessa ragione resta applicabile alle azioni edilizie, che al compratore stesso già competevano, la prescrizione annuale che per esse specificamente è stabilita.
Non appaiono idonei a inficiare questa conclusione gli argomenti esposti nelle citate Cass. 13294/2005 e 747/2011. il pericolo che le azioni di riduzione del prezzo e di risoluzione si prescrivano nel periodo in cui il compratore si astiene dall'esercitarle, essendo in corso gli interventi del venditore per l'eliminazione dei vizi, è agevolmente evitabile ponendo in essere atti interruttivi. Non ha riscontro nella disciplina della garanzia per vizi, la quale non prevede l'obbligo di eliminarli, l'assunto secondo cui il momento attuativo/correttivo, originato dall'accordo per la riparazione del bene, possa avere effetto su quello risarcitorio/caduca torio, rappresentato dalle azioni edilizie, tanto da far assimilare il termine di prescrizione previsto per il secondo a quello operante per il primo.
Un analogo effetto espansivo di una "obbligazione" verso l'altra, era stato ritenuto operante, ma in senso inverso, da Cass. sez. 2, 29 dicembre 1994 n. 11281, secondo cui "il riconoscimento dei vizi della cosa venduta ed il contestuale impegno del venditore ad eliminarli in sede di esecuzione del contratto non è che uno dei modi con cui il venditore, che ha l'obbligo di consegnare una cosa immune da vizi di cui all'art. 1490 c.c., assicura ed attua, l'esatto adempimento della sua prestazione, e, di per sè, non dà luogo, pertanto, ad un accordo novativo se non sia in concreto provata la volontà delle parti di sostituire al rapporto originario un nuovo rapporto con diverso oggetto o titolo, così come richiesto per la novazione dell'art. 1230 c.c. e dell'art. 1231 c.c., che estesamente chiarisce come non si abbia novazione nel caso di mera modifica degli elementi accessori della obbligazione; conseguentemente, in mancanza della predetta prova, il riconoscimento dei vizi della cosa venduta e l'impegno a ripararla determina solo l'interruzione del termine di prescrizione annuale di cui all'art. 1495 c.c., e non la sostituzione di questo termine con il nuovo e diverso termine di prescrizione ordinaria".
Neppure questa tesi "adombrata anche nell'ordinanza di rimessione degli atti al Primo Presidente" appare condivisibile.
Il suo presupposto è che il compratore disponga di una azione "di esatto adempimento" per ottenere dal venditore l'eliminazione dei vizi della cosa: azione compresa tra quelle edilizie e quindi soggetta anch'essa al termine di prescrizione annuale stabilito dall'art. 1495 c.c.
Invece un tale rimedio, come già si è detto, non è apprestato dalla disciplina della garanzia per vizi, che attribuisce al compratore la scelta soltanto tra la riduzione del prezzo e la risoluzione del contratto. Il diritto di ottenere, in alternativa, la riparazione del bene, infatti, è riconosciuto soltanto in particolari ipotesi: limitatamente ai beni mobili, quando "il venditore ha garantito per un tempo determinato il buon funzionamento della cosa venduta", oppure "gli usi ... stabiliscono che la garanzia di buon funzionamento è dovuta anche in mancanza di patto espresso" (art. 1512 c.c., che fissa in sei mesi dalla scoperta il termine di prescrizione); sempre limitatamente ai mobili, "per qualsiasi difetto di conformità esistente al momento della consegna del bene", se il venditore è un "professionista" e il compratore un "consumatore" (artt. 128 ss. del codice del consumo, adottato con il D.Lgs. 6 settembre 2005, n. 206, che fissano in ventisei mesi dalla consegna il termine di prescrizione).
Che il compratore possa chiedere, indipendentemente da un impegno in tal senso del venditore, la condanna di costui all'eliminazione dei vizi, è stato talora ipotizzato in dottrina anche sotto il profilo del risarcimento del danno in forma specifica: si tratterebbe quindi di un'azione insita nel diritto di garanzia e in quanto tale soggetta anch'essa alla prescrizione annuale. L'assunto appare incompatibile con il disposto dell'art. 1494 c.c., che configura come risarcimento "per equivalente" quello che compete al compratore, poichè lo collega alla riduzione del prezzo o alla risoluzione del contratto, che presuppongono la mancata riparazione del bene.
Si deve quindi concludere nel senso che l'impegno del venditore all'eliminazione dei vizi, accettato dal compratore, fa sorgere il corrispondente diritto, che è soggetto alla prescrizione decennale, mentre i diritti alla riduzione del prezzo e alla risoluzione del contratto restano soggetti alla prescrizione annuale.
Non ne consegue tuttavia, che il ricorso vada rigettato in toto.
Essendo stata comunque investita della questione relativa all'avvenuta estinzione "o non" per prescrizione delle azioni di riduzione del presso e di risarcimento del danno esercitate in via riconvenzionale dalla s.r.l. Gamma, questa Corte può e deve risolverla secondo diritto, indipendentemente dalle argomentazioni svolte in proposito dalle parti. Va allora rilevato che la causa è stata promossa dalla s.p.a. Sergiani con domanda di condanna della convenuta al pagamento del prezzo residuo del macchinario vendutole.
Si verte dunque nell'ipotesi prevista dall'art. 1495 c.c., nella parte in cui dispone che il compratore convenuto per l'esecuzione del contratto, anche dopo il decorso del termine annuale di prescrizione "può sempre far valere la garanzia".
Nè la norma può intendersi limitata al caso delle eccezioni;
riguarda invece proprio le azioni (riconvenzionali) poichè la garanzia che il compratore può "far valere" implica una pronuncia costitutiva del giudice di riduzione del prezzo o di risoluzione, comportante la modificazione o la caducazione del contratto di vendita.
In questi limiti il ricorso viene pertanto accolto.
Non sussistono le condizioni perchè la causa possa essere decisa nel merito, come la s.r.l. Gamma ha richiesto.
La sentenza impugnata va quindi cassata con rinvio ad altro giudice, che si designa in una diversa sezione della Corte d'appello di Bari, cui viene anche rimessa la pronuncia sulle spese del giudizio di legittimità.
P.Q.M.
La Corte accoglie il ricorso nei sensi di cui in motivazione; cassa la sentenza impugnata; rinvia la causa ad altra sezione della Corte d'appello di Bari, cui rimette anche la pronuncia sulle spese del giud

sabato 22 settembre 2012

Incroci Stradali- Cass. Civ., sez.I, 13 luglio 2006, n. 15928

 Incroci stradali – Obbligo di usare la massima prudenza nell’approssimarsi ad una intersezione - Conducente di veicolo proveniente da destra con diritto di precedenza - Sussistenza dell'obbligo. Incroci stradali...(Cass. Civ., sezione I, 13 luglio 2006, n. 15928)
Incroci stradali – Obbligo di usare la massima prudenza nell’approssimarsi ad una intersezione - Conducente di veicolo proveniente da destra con diritto di precedenza - Sussistenza dell'obbligo. Incroci stradali - Obbligo di usare la massima pru­denza nell'approssimarsi ad una intersezione ­Inosservanza - Collisione verificatasi ad incrocio quasi interamente attraversato - Configurabilità dell'illecito 

In tema di circolazione stradale, l'art. 145, com­ma 1, del codice della strada nel prevedere che i conducenti, approssimandosi ad una intersezione, devono usare la massima prudenza al fine di evitare incidenti si rivolge a tutti i conducenti, anche al conducente favorito, giacché il diritto di preceden­za spettante al conducente del veicolo proveniente da destra non esonera il conducente medesimo dall'obbligo di usare la dovuta attenzione nell'at­traversamento di un incrocio, anche in relazione a pericoli derivanti da eventuali comportamenti ille­citi o imprudenti di altri utenti della strada che non si attengano alla norma, recata dal comma secondo del medesimo art. 145, che impone di dare la pre­cedenza a chi proviene da destra, salvo diversa se­gnalazione. (Nuovo C.S., art. 145) (1). 
In tema di circolazione stradale, la configurabilità dell'illecito amministrativo di inosservanza dell'ob­bligo di usare la massima prudenza nell’approssimar­si ad un incrocio, di cui all'art. 145, comma 1, del co­dice della strada, non dipende dal punto in cui accade l'incidente, sicché anche una collisione che si verifichi quando l'area di intersezione stia per essere intera­mente attraversata può essere indicativa del fatto che, avvicinandosi al crocevia, il conducente non ha os­servato l'obbligo di usare la massima prudenza. (Nuovo C.S., art. 145) (2). 

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO. 1. - Con ricorso depositato in data 18 gennaio 2001, R. S. impugnò il verbale n. 720 di data 21 dicembre 2000 con cui la Polizia municipale di San Pancrazio Salen­tino gli aveva contestato la violazione di cui all'art. 145, comma 1, del codice della strada perché, percor­rendo nel territorio di quel Comune, alla guida della sua autovettura Renault targata BJ 231 CA, la via Osanna, non aveva usato, approssimandosi alla inter­sezione con la via Silone, la massima prudenza al fine di evitare l'incidente con l'autovettura Fiat targata VA D51149, condotta da C. C..
L'opponente dedusse che l'incidente era da ascri­versi non a propria colpa, ma a quella del conducente dell'altra autovettura, il quale, procedendo a velocità elevata, non si era arrestato al crocevia, omettendo di dare la dovuta precedenza.
2. - Con sentenza n. 61 depositata in data 12 set­tembre 2002, l'adito Giudice di pace di San Pietro Ver­notico - acquisito il rapporto redatto dalla polizia mu­nicipale e assunta una prova testimoniale - rigettò il ricorso e, per l'effetto, confermò il provvedimento op­posto, condannando l'opponente al pagamento della sanzione minima edittale di euro 62,59 e dichiarando interamente compensate tra le parti le spese di lite.
2.1. - Premesso che l'art. 145, comma 1, del codice della strada detta il principio della massima prudenza al fine di evitare incidenti, il giudice di pace rilevava che il ricorrente, per essere esonerato da responsabi­lità, avrebbe dovuto dare la prova di avere usato un grado elevatissimo di cautela e di avvedutezza per evi­tare l'impatto, giacché anche il conducente favorito, che beneficia dell' obbligo imposto ad altri di cedere la precedenza, è tenuto a sua volta, approssimandosi al crocevia, a moderare la velocità e, all'occorrenza, a fermarsi, dovendo egli fare in modo di prevenire, per quanto possibile, persino le altrui imprudenze che si­ano ragionevolmente prevedibili.
Secondo il giudice di pace, il ricorrente non aveva posto in essere le dovute cautele, atteso che, non es­sendo l'intersezione servita da alcun segnale né verti­cale, né orizzontale, egli doveva prevedere il soprag­giungere di altre autovetture che potevano non rispettare l'obbligo di dare la precedenza. Inoltre, l'en­tità dei danni riportati dai veicoli coinvolti e descritti nel rapporto del Comando della Polizia municipale di San Pancrazio Salentino dimostravano che ambedue i veicoli non avevano tenuto una velocità adeguata, sic­ché anche la condotta del conducente favorito era me­ritevole di essere sanzionata.
3. - Avverso questa sentenza, con atto notificato il 23 ottobre 2002 ed il 13 novembre 2002 il R. ha interposto ricorso per cassazione, affidato a due motivi di censura.
Il Ministero dell'interno e l'Ufficio territoriale del Governo di Brindisi hanno depositato in data Il gen­naio 2003 un atto di costituzione.

MOTIVI DELLA DECISIONE. 1. - Con il primo motivo (violazione, erronea e falsa applicazione di legge), il ricorrente deduce che l'art. 145, comma 1, del codice della strada, riguardando l'ipotesi di chi si avvicina ad una intersezione e deve adottare tutte le cautele necessarie per evitare un incidente, non può essere applicato al caso di specie, giacché il R., come provato nel corso del giudizio, aveva quasi inte­ramente attraversato l'area di intersezione quando avvenne la collisione.
L'art. 145, comma 1, del codice della strada, po­nendo a carico del conducente favorito l'onere di pre­vedere e potenzialmente neutralizzare con le dovute cautele le eventuali altrui imprudenze ed inosservanze, si riferisce al caso di chi, avvicinandosi all'incrocio, deve moderare sensibilmente la velocità di guida per scorgere dalle strade laterali il sopraggiungere di altri autoveicoli e conseguentemente arrestare la marcia del proprio veicolo in tempo utile per evitare incidenti.
Viceversa, nel caso di specie, dalla istruttoria orale (teste V.) sarebbe emerso che il R., avendo su­perato la parte centrale dell'intersezione, non era più in grado di scorgere dalle strade laterali il sopraggiun­gere di altri autoveicoli e così di neutralizzare le altrui probabili imprudenze.
2. - Con il secondo mezzo (omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione circa un punto decisivo della controversia), il ricorrente si duole che la sen­tenza impugnata non abbia dato il dovuto rilievo al fatto che l'opponente aveva in realtà posto in essere, sebbene senza successo, l'unica manovra di emergenza possibile, l'arresto dell' autovettura ed il repen­tino spostamento a destra.
La prova circa il compimento di tali manovre di emergenza è stata fornita tramite le fotografie riprodu­centi la posizione delle autovetture subito dopo la col­lisione: posizione confermata dalla planimetria, alle­gata al rapporto dell'incidente, redatta dagli agenti della polizia municipale intervenuti sul luogo del sini­stro, nonché dallo stesso verbalizzante V., sentito nella qualità di teste.
Il giudice di pace immotivatamente non avrebbe dato peso a tali prove documentali e orali, ritenendo che il R. non avrebbe dimostrato di aver usato un adeguato grado di cautela. La motivazione della sen­tenza impugnata sarebbe anche contraddittoria, posto che dalla planimetria redatta dagli stessi vigili verba­lizzanti poteva trarsi un diverso convincimento circa l'avvenuto tentativo da parte del R. di evitare l'impatto. Del tutto inspiegabilmente il giudice di pace avrebbe argomentato l'assenza di cautele da parte del R., quando invece dal disegno planimetrico re­datto dai vigili urbani emergerebbe che era stato espe­rito il tentativo, sebbene infruttuoso, di una manovra di emergenza finalizzata ad evitare l'impatto.
Inoltre, il giudice di pace non avrebbe argomentato sulla richiesta di consulenza tecnica d'ufficio avanzata dalla difesa dell'opponente al fine di ricostruire la di­namica del sinistro e l'obiettiva condotta dei condu­centi. Il giudice di pace si sarebbe limitato a mettere in luce che ambedue i veicoli non avevano tenuto una ve­locità adeguata: argomentazione - ad avviso del ricor­rente - censurabile, atteso che nel rapporto dei vigili è fatta una generica elencazione dei danni riportati dalle autovetture, che potevano essere stati causati anche dall'eccessiva velocità di uno solo di essi. La «prova della responsabilità di cui alla violazione contestata non poteva essere induttivamente fornita, ma doveva discendere da un costrutto logico-giuridico tale da ren­dere plausibile la fondatezza della violazione conte­stata».
Infine, il sufficiente grado di cautela ed avvedu­tezza del conducente favorito ed in transito su di una intersezione doveva essere valutato obiettivamente se­condo la comune e logica prudenza, sulla base degli elementi raccolti nel contraddittorio processuale, cer­tamente non ricorrendo riduttivamente alle sole consi­derazioni dei vigili verbalizzanti nel rapporto d'inci­dente con riferimento ai danni materiali.
3. - Deve, preliminarmente, dichiararsi inammissi­bile l’«atto di costituzione» depositato, senza previa notifica, dall’Avvocatura generale dello Stato in rap­presentanza degli intimati Ministero dell'interno e Uf­ficio territoriale del Governo di Brindisi, e non conte­nente alcuna replica ai motivi del ricorso.
Difatti, la parte contro la quale il ricorso è diretto, se intende contraddirvi, deve farlo mediante controri­corso, che deve contenere, oltre all'esposizione som­maria dei fatti della causa, i motivi per i quali essa con­trasta l'impugnazione, e deve essere notificato al ricorrente nelle forme e nei termini di cui all'art. 370 c.p.c. In mancanza di tale atto, la parte non può presen­tare memorie ma soltanto partecipare alla discussione orale (Cass., sez. V, 11 giugno 2004, n. 11160).
Nella specie, l'atto, depositato in cancelleria ma non previamente notificato al ricorrente, con il quale l'Avvocatura si è «costituita» nel giudizio di cassa­zione senza formulare alcuna deduzione difensiva, è, stante la sua totale difformità rispetto al modello dise­gnato dal legislatore, estraneo al relativo procedi­mento, né è qualificabile come controricorso.
A questo rilievo si aggiunga, per quanto potrà va­lere ai fini della determinazione delle spese di questo giudizio, che l'Avvocatura generale dello Stato non ha svolto altra attività difensiva in questo giudizio.
4. - Il primo motivo di ricorso è infondato.
4.1. - L'art. 145, comma 1, del nuovo codice della strada, approvato con il D.L.vo 30 aprile 1992, n. 285, prevede che «i conducenti, approssimandosi ad una in­tersezione, devono usare la massima prudenza al fine di evitare incidenti».
4.2. - Occorre premettere che tale disposizione si rivolge a tutti i conducenti, anche al conducente favo­rito: il diritto di precedenza spettante al conducente del veicolo proveniente da destra non esonera il condu­cente medesimo dall'obbligo di usare la dovuta atten­zione nell'attraversamento di un incrocio, anche in re­lazione a pericoli derivanti da eventuali comportamenti illeciti o imprudenti di altri utenti della strada che non si attengano alla norma, recata dal comma 2 del me­desimo art. 145, che impone di dare la precedenza a chi proviene da destra, salvo diversa segnalazione (cfr. Cass., sez. III, 27 giugno 2000, n. 8744; nonché, nel vi­gore dell'art. 105 del codice della strada previgente, che recava una norma di analogo tenore, Cass., sez. III, 8 settembre 1986, n. 5480).
4.3. - Ciò premesso, non sussiste il denunciato vi­zio di falsa applicazione di legge, prospettato dal ri­corrente sul rilievo che l'art. 145, comma 1, del codice della strada non sarebbe applicabile là dove, come nella specie, il conducente del veicolo favorito abbia «quasi interamente attraversato l'area d'intersezione» al momento della collisione.
Non v'è dubbio che la disciplina stabilita dalla norma di comportamento di cui all'art. 145, comma 1, del codice della strada presuppone che il veicolo, per­correndo la strada che confluisce nel crocevia, stia per impegnare questo: presuppone, cioè, una fase di avvi­cinamento all'intersezione, durante la quale anche il conducente del veicolo favorito deve tenere una con­dotta di guida ed una velocità tali da consentirgli un tempestivo rallentamento, o un'adeguata manovra di emergenza, a fronte dell'avvistamento dell'irregolare sopraggiungere di un altro veicolo, il quale, a sua volta, non rallenti la corsa e violi l'obbligo di dare la prece­denza (cfr., nel vigore della corrispondente disposi­zione contenuta nell' abrogato codice della strada, Cass., sez. III, 6 febbraio 1978, n. 552; Cass., sez. III, 17 ottobre 1968, n. 3335).
La norma regola il momento dell'approssimarsi all'intersezione perché ha una finalità preventiva, fa­cendo obbligo di usare la massima prudenza al fine di evitare incidenti prima che il pericolo diventi reale e non altrimenti fronteggiabile: ma ciò non significa che la prescrizione rivolta al conducente sia destinata a non operare solo perché la collisione si verifichi, anziché all'ingresso dell'intersezione, in fase di esecuzione e di completamento della manovra di attraversamento del crocevia. In altri termini, l'illecito amministrativo che si realizza per l'inosservanza di quel precetto non dipende dal punto in cui accade l'incidente: anche una collisione verificatasi, come nella specie, quando l'area di intersezione stia per essere interamente attra­versata può dare la dimostrazione del fatto che, avvi­cinandosi all'intersezione, il conducente non ha osser­vato il precetto della massima prudenza impostogli dal codice della strada.
5. - Il secondo motivo è inammissibile.
5.1. - È una questione di merito stabilire se il ri­corrente, approssimandosi all'intersezione, adottò la prudenza richiesta: la ricostruzione della modalità dell'incidente e, quindi, del comportamento dei con­ducenti coinvolti nello stesso, essendo una questione di fatto, rientra nei poteri del giudice di merito e, come tale, è insindacabile in sede di legittimità, se adegua­tamente motivata.
5.2. - Nella specie, la sentenza impugnata, con mo­tivazione immune da censure rilevabili in questa, è pervenuta alla conclusione che il ricorrente, nell'av­vicinarsi all'intersezione, non servita da alcun segnale (né verticale, né orizzontale) tra la via Osanna e la via Silone nel Comune di San Pancrazio Salentino, non usò le dovute cautele; ed ha tratto tale convincimento dal fatto che l'entità dei danni riportati dai veicoli coinvolti nell'incidente e descritti nel rapporto del Co­mando della Polizia municipale di San Pancrazio Sa­lentino denotava che ambedue i veicoli non avevano tenuto una velocità adeguata.
5.3. - Il motivo di censura si risolve in una inam­missibile richiesta di revisione del ragionamento decisorio, ossia dell'opinione che ha condotto il giudice del merito alla soluzione della questione esaminata, evidente apparendo come il ricorrente, lungi dal pro­spettare alcun vizio rilevante della sentenza impugnata sotto il profilo di cui all'art. 360, primo comma, n. 5), C.p.c., si limiti ad invocare - genericamente richia­mando, senza il rispetto del principio di autosuffi­cienza del ricorso, le fotografie riproducenti la posi­zione delle autovetture subito dopo la collisione, la planimetria dell'incidente allegata al rapporto redatto dalla polizia municipale e la deposizione di uno degli agenti verbalizzanti - una diversa lettura delle risul­tanze di fatto sì come accertate e ricostruite dal giudice di merito.
La censura omette di considerare che tanto la va­lutazione delle risultanze probatorie, quanto il giudi­zio sul contenuto e sulla portata dellequaestiones facti poste dalle singole fattispecie sottoposte al vaglio del giudice di merito - così come la scelta, fra le varie ri­sultanze probatorie, di quelle ritenute più idonee a sor­reggere la motivazione - involgono apprezzamenti ri­servati in via esclusiva al giudice del merito, il quale, nel fondare la propria decisione, non incontra altro li­mite che quello di indicare le ragioni del proprio con­vincimento, senza essere peraltro tenuto ad affrontare e discutere ogni singola risultanza processuale ovvero a confutare ogni e qualsiasi deduzione difensiva.
È principio di diritto ormai consolidato (cfr., ex multis, Cass., sez. III, 28 luglio 2005, n. 15805) quello per cui 1'art. 360, primo comma, n. 5), c.p.c. non con­ferisce in alcun modo e sotto nessun aspetto della Corte di cassazione il potere di riesaminare il merito della causa, consentendole, per converso, il solo con­trollo, sotto il profilo logico-formale e della corret­tezza giuridica, delle valutazioni compiute dal giudice del merito, al quale soltanto - va ripetuto - spetta 1'individuazione delle fonti del proprio convincimento va­lutando le prove, controllandone l'attendibilità e la concludenza, scegliendo, tra esse, quelle funzionali alla dimostrazione dei fatti in discussione.
Nella specie il ricorrente, pur denunciando, appa­rentemente, una deficiente motivazione della sentenza del giudice di pace, inammissibilmente (perché in con­trasto con gli stessi limiti morfologici e funzionali del giudizio di legittimità) sollecita una nuova valutazione delle risultanze del processo ad opera di questa Corte, onde trasformare il processo di cassazione in un giu­dizio di merito, nel quale ridiscutere analiticamente il contenuto di fatti e vicende del processo, la maggiore o minore attendibilità di questa o di quella risultanza processuale, le opzioni del giudice di merito non gra­dite e per ciò solo censurate al fine di ottenerne la so­stituzione con altre più consone alle aspettative della parte.
E si duole, ancora inammissibilmente, della man­cata ammissione di una consulenza tecnica sulla dina­mica del sinistro, senza indicare in quale atto del giu­dizio di merito l'accertamento peritale fu sollecitato (cfr. Cass., sez. III, 12 maggio 2000, n. 6115) e senza neppure considerare che quando, come nella specie, il giudice del merito disponga di elementi istruttori e di cognizioni proprie, integrati da presunzioni e da no­zioni di comune esperienza, sufficienti a dar conto della decisione adottata, non può essere censurato il mancato esercizio del potere discrezionale di quel giu­dice di disporre la consulenza tecnica (da ultimo, Cass., sez. III, 27 ottobre 2004, n. 20814).
6. - Il ricorso è rigettato.
Nessuna statuizione deve essere emessa sulle spese del giudizio di cassazione, in assenza di attività difen­siva da parte delle amministrazioni intimate. (Omissis)

giovedì 20 settembre 2012

Il nuovo appello filtrato: riflessioni sulla ragionevole probabilità di accoglimento

Il nuovo appello filtrato: riflessioni sulla ragionevole probabilità di accoglimento 
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1. Le novità sull’appello.
In data 11.08.2012 è stata pubblicata in Gazzetta Ufficiale la Legge n. 134 del 7.08.2012 di conversione in legge, con modificazioni, del decreto-legge 22 giugno2012, n. 83, recante misure urgenti per la crescita del Paese. La riforma, per quello che riguarda l'appello, sarà applicabile ai giudizi di appello introdotti con ricorso depositato o con citazione di cui sia stata richiesta la notificazione dal trentesimo giorno successivo a quello di entrata in vigore della legge di conversione: pertanto dal giorno 11.9.2012. La novità più dirompente è probabilmente una sorta di udienza filtro: il nuovo appello è filtrato, ovvero sottoposto ad un filtro circa la ragionevole probabilità di accoglimento; il ricorso è dichiarato inammissibile con ordinanza non reclamabile quando non ha una ragionevole probabilita' di essere accolto. Fermo restando, si badi bene, la necessità codificata (all’art. 348 ter c.p.c.) di ascoltare le parti[1] - sul punto - all’udienza ex art. 350 c.p.c.

2. Il funzionamento del filtro
 La normativa de qua (Legge n. 134 del 7.08.2012) innova principalmente, ai fini che qui interessano, l’atto di appello, nonché il procedimento inerente la fase domanda-prima udienza. Vengono aboliti gli “specifici motivi” richiesti in appello; con la riforma serve la motivazione dell’appello stesso: la motivazione dell'appello deve contenere, a pena di inammissibilita': - l'indicazione delle parti del provvedimento che si intende appellare e delle modifiche che vengono richieste alla ricostruzione del fatto compiuta dal giudice di primo grado; - l'indicazione delle circostanze da cui deriva la violazione della legge e della loro rilevanza ai fini della decisione impugnata. In tema di prove nuove, viene eliminato il riferimento all’indispensabilità[2]: oggi l’ingresso di prove nuove è ammissibile solo ove la parte dimostri di non aver potuto proporli o produrli nel giudizio di primo grado per causa ad essa non imputabile. La novità più dirompente, però, si ribadisce, emerge dalla lettera del nuovo art. 348 bis c.p.c.: fuori dei casi in cui deve essere dichiarata con sentenza l'inammissibilita' o l'improcedibilita' dell'appello, l'impugnazione e' dichiarata inammissibile dal giudice competente quando non ha una ragionevole probabilita' di essere accolta. Tale enunciazione non vale per le cause in cui è obbligatoria la presenza del pubblico ministero e nel grado di appello[3] ad ordinanza decisoria conclusiva di rito sommario di cognizione. All'udienza di cui all'articolo 350 c.p.c. il giudice, prima di procedere alla trattazione, sentite le parti, dichiara inammissibile l'appello, a norma dell'articolo 348 bis, comma 1° c.p.c., con ordinanza succintamente motivata, anche mediante il rinvio agli elementi di fatto riportati in uno o piu' atti di causa e il riferimento a precedenti conformi. Quando e' pronunciata l'inammissibilita', contro il provvedimento di primo grado puo' essere proposto, a norma dell'articolo 360 c.p.c., ricorso per Cassazione. In tal caso, il termine per il ricorso per Cassazione avverso il provvedimento di primo grado decorre dalla comunicazione o notificazione, se anteriore, dell'ordinanza che dichiara l'inammissibilita'. L'ordinanza di inammissibilita' e' pronunciata solo quando sia per l'impugnazione principale che per quella incidentale di cui all'articolo 333 c.p.c. ricorrono i presupposti di cui al primo comma dell'articolo 348 bis c.p.c.; in mancanza, il giudice procede alla trattazione di tutte le impugnazioni comunque proposte contro la sentenza; in pratica: o entrambe le impugnazioni sono inammissibili, così da dichiarare l’inammissibilità, oppure deve essere dichiarata l’ammissione (in caso di ammissibilità solo di una impugnazione); non c’è spazio per l’inammissibilità parziale. Tutto quanto detto vale anche per il rito del lavoro. 
2.1. Le prime reazioni della dottrina La dottrina si è subito mostrata molto critica sul filtro in appello, diversamente dalla magistratura che avrebbe voluto un filtro anche più chiuso[4]. Alcuni[5] si sono chiesti se sia davvero possibile pretendere dal collegio giudicante una capacità di selezionare, a colpo d’occhio, gli appelli seri dagli altri: è realistico auspicare e pretendere che alla prima udienza si possa, da un giudice collegiale, in un mare di gravami malamente fascicolati, con infallibile e subitaneo colpo d’occhio, di cui è rara finora la evidenza proprio in appello, secernere gli appelli privi di serietà dagli altri? L’immediata ricorribilità della sentenza di primo grado provocherà un ulteriore appesantimento del carico di lavoro della Corte di cassazione, già sovraccarica oltre misura[6]; il parametro di giudizio che l’impugnazione non abbia una “ragionevole probabilità di essere accolta” concede un margine di apprezzamento eccessivo al giudice dell’impugnazione, poiché gli consente di dichiarare inammissibile un’impugnazione che pur abbia una probabilità di essere accolta, sol che questa probabilità sia a suo giudizio non “ragionevole[7]”. Non si sa bene che cosa ciò significhi in via generale ed astratta. Lo si potrà sapere solo dopo aver letto la succinta motivazione dell’ordinanza che reca questo giudizio[8]. Per altra dottrina[9], la riforma del filtro indurrà “ragionevolmente” i giudici a comportarsi come hanno sempre fatto, così in concreto non tenendo conto della novella: non ci si può esimere dall’osservare che i giudici di appello, già sommersi di lavoro in conseguenza dell’inutile e dannosa introduzione generalizzata del giudice unico di primo grado, non trarranno dalle nuove norme particolari benefici. Infatti, per poter decidere alla prima udienza e preliminarmente alla trattazione se l’appello non ha una ragionevole probabilità di essere accolto, dovranno studiarsi a fondo subito tutte le cause perché solo così potranno delibare quella ragionevole “possibilità” e provvedere in conseguenza. E’ facile, pertanto, prevedere che, salvo casi limite di mera scuola, quei giudici non applicheranno mai la nuova norma e salteranno a piè pari l’ordinanza succintamente motivata continuando ragionevolmente a comportarsi come al solito. 

3. Ragionevole probabilità di accoglimento 
Per andare avanti nel giudizio di appello, bisogna superare uno “scoglio prognostico”, consistente in un giudizio sulla probabilità di accoglimento. Tale giudizio è effettuato dal collegio giudicante, ovvero dal monocratico (ad esempio nei casi di appello a sentenza del giudice di pace); ciò è desumibile dall’art. 341 c.p.c. nonché dall’inciso “giudice competente” di cui al nuovo art. 348 bis c.p.c. perché si parla di “giudice” e non “collegio”. Il giudice si pronuncia sulla questione della ragionevole probabilità, tramite ordinanza succintamente motivata, anche mediante il rinvio agli elementi di fatto riportati in uno o piu' atti di causa e il riferimento a precedenti conformi; quest’ultima non è impugnabile, essendo previsto – al più – che dalla data (della comunicazione o notificazione) dell’ordinanza suddetta decorra il termine per proporre ricorso per Cassazione, fermo restando il dies ad quem decadenziale fissato dall’art. 327 c.p.c. Cosa si intende, però, con “ragionevole probabilità di essere accolta”? Sono ipotizzabili almeno quattro impostazioni diverse per rispondere: -la tesi della probabilità giurisprudenziale; -la tesi dei due terzi; -la tesi della ragionevolezza; -la tesi (preferibile) del fumus boni iuris rafforzato. 
3.1. La tesi della probabilità giurisprudenziale
E’ difficile dare una risposta al quesito posto in quanto nel codice non vi sono altri casi in cui il legislatore ha inserito l’inciso “ragionevole probabilità di essere accolta”. Una possibile interpretazione potrebbe essere data utilizzando il contesto giurisprudenziale rapportato al momento in cui si presenta la domanda: una pretesa sostanziale può essere di probabile accoglimento, laddove emergano altre pronunce giurisprudenziali di segno positivo; un precedente conforme a ciò che si chiede, insomma. Se così fosse, allora, al fine di superare il vaglio dell’ammissibilità bisognerà - nell’atto introduttivo dell’appello - evidenziare la presenza, preferibilmente a livello di giurisprudenza nomofilattica, di un precedente in linea con le pretese vantate, purchè riferibile ad un caso analogo: un atto giudiziario impostato tenendo conto sia della normativa e sia dalla giurisprudenza; un atto strutturato “un po’ alla common law ed un po’ alla civil law”. A favore di questa ricostruzione, che sostanzialmente traduce l’inciso “ragionevole probabilità di essere accolta” in una sorta di probabilità giurisprudenziale àncorata ai precedenti. depongono i rilievi che: -si parla di “ragionevole probabilità” di accoglimento, per cui ben si potrebbe utilizzare il quadro giurisprudenziale precedente per calcolare la presenza di probabilità (intorno al 60% di accoglimento perché è scritto “ragionevole probabilità” e non “possibilità”); se su 100 sentenze, 60 danno ragione all’istante (almeno come precedente utilizzabile per analogia come argomento per indurre il giudice competente ad un giudizio prognostico positivo), allora potrebbero esserci probabilità di accoglimento; -nel nuovo art. 348 ter c.p.c. è data la possibilità di motivare utilizzando precedenti conformi, così inducendo legittimamente l’interprete a ritenere che ben possa farsi riferimento ai precedenti, almeno ai fini della ragionevole probabilità di accoglimento; -la probabilità è essenzialmente un concetto statistico; -la ragionevolezza della probabilità ben può essere collegata a precedenti; è ragionevole la probabilità, e non meramente ipotetica o teorica o residuale, in virtù di un precedente conforme. Tuttavia tale tesi non persuade del tutto in ragione: -della lettera della legge, laddove si parla di “una ragionevole probabilità”; non sono necessarie, cioè, diverse probabilità di accoglimento, ma ne basta una; una sola probabilità, purchè ragionevole, deve essere ritenuta sufficiente al fine del superamento dello “sbarramento del filtro”; -della lettera della legge visto che si scrive “ragionevole probabilità” così non riferendosi solo al quadro giurisprudenziale, ma potendosi riferire – ed anzi, a maggior ragione – alle norme, trovandoci in un sistema di vincolatività delle stesse e non del precedente giurisprudenziale (common law).
3.2. La tesi dei due terzi 
Altra possibile decodificazione potrebbe essere realizzata ponendo attenzione al numero dei giudici componenti il collegio: la ragionevole probabilità potrebbe sussistere quando i due terzi del collegio giudicante ritengano fondata la questione, almeno in via logica, “guardando” la documentazione ed ascoltando le parti alla prima udienza. Pertanto, ragionevole probabilità potrebbe essere intesa nel senso che la maggior parte dei componenti il collegio debba dare prognosi favorevole. A sostegno di tale “sistema” di calcolo della ragionevole probabilità si osserva che: -si deve trattare di una probabilità e non semplice possibilità; sotto questo profilo, l’adesione alla richiesta processuale da parte dei due terzi i componenti il collegio è una probabilità e non possibilità; -sussiste la ragionevolezza, in quanto ci si lega alla posizione di magistrati togati che devono motivare, seppur in modo succinto, la pronuncia di inammissibilità (ordinanza succintamente motivata, anche mediante il rinvio agli elementi di fatto riportati in uno o piu' atti di causa e il riferimento a precedenti conformi). Anche tale ricostruzione non può ritenersi esente da rilievi critici almeno per le seguenti ragioni: -è pretesa dal legislatore “una” ragionevole probabilità e non “ragionevoli probabilità”, con la conseguenza logica che, pur a voler accogliere il sistema ipotizzato, dovrebbe ritenersi sufficiente il giudizio prognostico favorevole di un terzo del collegio e non dei due terzi; -àncorarsi al collegio rende inapplicabile il suddetto sistema nei casi di giudice monocratico ed il nuovo appello c.d. filtrato, si ritiene, ben può estendersi alle impugnazioni delle sentenze del giudice di pace di competenza del tribunale monocratico, visti gli articoli 341 e 348 bis c.p.c., laddove ci si riferisce al “giudice competente”. 
3.3. La tesi della sola ragionevolezza 
 Ulteriore possibile ricostruzione pone l’accento esclusivamente sulla ragionevolezza: se la domanda proposta è ragionevole, allora ha una probabilità di essere accolta. E’ ragionevole la domanda che contiene un’adeguata motivazione, richiesta espressamente all’art. 342 c.p.c. che ha eliminato il riferimento all’esposizione sommaria dei fatti ed alla specificità dei motivi. In favore di questa possibile ricostruzione, depongono i dati che: -all’art. 348 bis c.p.c. è richiesta la ragionevolezza; -il nuovo art. 342 c.p.c. pretende la motivazione dell’atto e non più esposizione sommaria dei fatti unitamente a specifici motivi; la modifica in favore della motivazione potrebbe essere letta come volontà di far passare dal filtro dell’inammissibilità solo l’atto motivato congruamente. Pure questa ricostruzione non convince totalmente; ciò in quanto la ragionevolezza pretesa dall’art. 348 bis c.p.c. è accompagnata alla probabilità; pertanto, non può essere letta in modo isolato, a pena di vulnus alla lettera della legge. 
3.4. La preferibile tesi del fumus boni iuris rafforzato 
 Si ritiene che l’opzione interpretativa preferibile sia quella che tende ad associare la ragionevole probabilità al fumus boni iuris, comunemente richiamato in tema di misure cautelari[10]. L’art. 348 bis c.p.c. recita testualmente che l'impugnazione e' dichiarata inammissibile dal giudice competente quando non ha una ragionevole probabilita' di essere accolta. La ragionevole probabilità ben potrebbe essere associata al requisito del fumus boni iuris, strumentalmente necessario ai fini dell’emissione di un’ordinanza cautelare: per lo più, il fumus boni iuris viene definito come l'apparenza del diritto a salvaguardia del quale si intende richiedere la tutela, la cui sussistenza deve apparire come verosimile e probabile alla luce degli elementi di prova esistenti prima facie; id est: il diritto preteso deve apparire come verosimile, alla luce degli elementi di prova sussistenti; la valutazione è sommaria, intendendo con ciò allo stato delle produzioni documentali presentate. Ebbene, lo stesso avviene nell’ambito della ragionevole probabilità di accoglimento: il giudice competente valuta se sussiste una sola probabilità di accoglimento, ed in caso di giudizio prognostico positivo, il filtro dell’inammissibilità è superato. Rispetto al fumus boni iuris, però, è preteso qualcosa in più: non solo la ragionevolezza, ma anche – se non soprattutto – una probabilità; non solo possibilità, ma probabilità che è qualcosa in più sul piano statistico. Il fumus boni iuris si accontenta della parvenza del diritto, ovvero della sua credibilità o ragionevole esistenza[11] rapportata al singolo caso[12], oppure addirittura un’opinione di credibilità[13]; diversamente, la ragionevole probabilità pretende un quid pluris statistico. Esemplificativamente: se nel collegio giudicante nessun giudice ritiene fondata la domanda, allora questa avrà sì la possibilità di essere accolta nel merito, ma è improbabile; diversamente, se nel collegio giudicante un giudice su tre ritiene fondata la domanda, allora sussisterà una probabilità di accoglimento, con la conseguenza pratica che la domanda dovrà superare il filtro dell’inammissibilità. A favore di questa ricostruzione, ritenuta qui preferibile, emergono i rilievi che: -è sufficiente una sola probabilità di successo, visto che è scritto che la domanda è dichiarata inammissibile quando “non ha una ragionevole probabilita' di essere accolta”, ex art. 348 bis c.p.c.; -il giudizio è prognostico circa quello che potrebbe accadere nel merito, al pari di quanto avviene in sede cautelare circa lo scrutinio sul fumus boni iuris; così anche il filtro dell’inammissibilità presenterebbe i caratteri della sommarietà e strumentalità, proprio come avviene per le misure cautelari[14]; -è pretesa una probabilità e non semplice possibilità; pertanto l’atto di appello dovrà cercare di indicare tale probabilità, facendo leva sui dati normativi, sulle prove, sulla contradditorietà della pronuncia di primo grado, sulla sussistenza di precedenti giurisprudenziali, ecc.; tra l’altro, parte della giurisprudenza[15], anche ai fini del riconoscimento del fumus boni iuris, suole parlare di ragionevole probabilità. -i precedenti giurisprudenziali possono essere utilizzati come argomento di convincimento, visto che l’art. 348 ter c.p.c. espressamente ammette la motivazione, seppur succinta, fondata su un mero rinvio a precedenti – al plurale[16] – conformi, così legittimando a pieno la c.d. motivazione per relationem. 

4. Quando non si applica il filtro
casi codificati ed impliciti Il filtro de quo non si applica, ex art. 348 bis c.p.c., quando è proposto per le cause in cui è necessario l’intervento del Pubblico Ministero, ex art. 70 c.p.c., e quando si appella un’ordinanza decisoria a rito sommario di cognizione, ex art. 702 quater c.p.c. Accanto ai suddetti casi codificati, però, si ritiene ben possano sussistere altri casi, per così dire impliciti in cui non è predicabile il filtro e tantomeno la c.d. udienza filtro. I possibili casi di inapplicabilità del filtro, in via implicita sono almeno: -quando il giudice pronuncia con sentenza l’inammissibilità (ad esempio in quanto l’atto è tardivo); -quando viene dichiarata con sentenza l’improcedibilità (ad esempio per costituzione tardiva dell’appellante); -quando proposti appello principale ed incidentale, solo uno di questi non ha ragionevole probabilità di accoglimento; in tal caso, il giudice procede alla trattazione di tutte le impugnazioni comunque proposte contro la sentenza ex art. 348 ter c.p.c. 

5. Il nuovo atto di appello 
L’atto di appello legato all’esposizione sommaria dei fatti ed a motivi specifici è tramontato. Nel dettaglio, l’art. 342 c.p.c., prima della novella del 2012, recitava che l’atto di appello - del tipo citazione per il rito ordinario – dovesse contenere: -l’esposizione sommaria dei fatti; -i motivi specifici dell’impugnazione; -tutti gli altri requisiti previsti all’art. 163 c.p.c. Il nuovo art. 342, post novella del 2012, recita che, sempre accanto ai requisiti di cui all’art. 163 c.p.c., è richiesto che l’appello: -sia motivato; -contenga, a pena d’inammissibilità, l'indicazione delle parti del provvedimento che si intende appellare e delle modifiche che vengono richieste alla ricostruzione del fatto compiuta dal giudice di primo grado; -contenga, a pena d’inammissibilità, l'indicazione delle circostanze da cui deriva la violazione della legge e della loro rilevanza ai fini della decisione impugnata. Pertanto, emerge che prima era richiesta l’esposizione sommaria dei fatti[17], mentre post novella bisogna indicare esattamente al giudice le parti appellate e le modifiche richieste: non va indicato solo quello che non va, ma anche come dovrebbe andare. Inoltre vanno indicate le circostanze da cui deriva la violazione di legge, unitamente alla loro rilevanza pratica: non più solo vulnus a legge, ma anche rilevanza di tale vulnus sul piano pratico; non una critica formale, ma utilitaristica, insomma. L’appellante dovrà subito specificare quali aspetti della sentenza contesta; non basterà l’indicazione del capo o della statuizione del dispositivo, ma dovranno essere indicate anche le parti di motivazione che si vogliono mettere in discussione; se l’impugnazione vorrà colpire la sentenza in tutte le sue parti, allora non basterà il riferimento generico a tutti i contenuti della stessa[18]. Tutto l’atto va motivato. Si è passati dagli specifici motivi alla motivazione dell’atto; cosa sottende questa modifica? Probabilmente, dopo le novità introdotte nel 2012 l’atto dovrà essere più organico, più strutturato come una sentenza, tant’è vero è che solitamente è nella sentenza che si parla di motivazione e non nell’atto. D’altronde, al giudice va “pure suggerito cosa scrivere” perché la norma esige che siano indicate le modifiche richieste a proposito del fatto; l’atto diviene di più un corpus unitario.

6. Conclusioni 
La riforma è di significativo impatto perché incide sul procedimento, inserendo l’udienza filtro, e sul tipo di atto, essendo oggi pretesi meno riferimenti al fatto e la precisazione circa la rilevanza di quanto si critica ai fini della decisione. Per il filtro dell’inammissibilità, la tesi del fumus boni iuris rafforzato appare la meno criticabile in quanto più coerente con il dato letterale. Poi, vi è da dire che è interesse anche dell’appellante fare presto, pur a costo di subire un’ordinanza di inammissibilità perché se davvero l’esito del giudizio “è già scritto” (ammesso che esista un esito già determinato a monte…), allora è bene saperlo subito…salvo la difficoltà enorme (verrebbe da dire: ragionevole) di spiegare al cliente come l’appello redatto non aveva “una probabilità di essere accolto”. Da un certo punto di vista, poi, si è passati dagli “specifici motivi” alla “motivazione”…forse… al fine di “quasi” proporre al giudicante una bozza di sentenza. Comunque: dura lex, sed lex…..però…speriamo bene …e che non si abusi dell’ordinanza d’inammissibilità non impugnabile…

 (Altalex, 20 agosto 2012. Articolo di Luigi Viola) [1] In sede di conversione, all’art. 348 ter c.p.c. è stato inserito l’inciso “sentite le parti”. [2] Per approfondimenti sulla nozione di indispensabilità, VIOLA, Le domande nuove inammissibili nel processo civile, Milano, 2012, 241; CONSOLO, Il processo di primo grado e le impugnazioni della sentenza, Padova, 2009, 121; PROTO PISANI, La nuova disciplina del processo civile, Napoli, 1991, 213; MANDRIOLI, Diritto processuale civile, II, Torino, 2009, 472; RUFFINI, La prova nel giudizio civile di appello, Padova, 1997, 285. [3] L’appello ad ordinanza decisoria, ex art. 702 quater c.p.c., deve essere presentato nella forma dell’atto di citazione. Corte di Appello di Roma, 11.5.2011, in ilProcessoCivile.com, 74, 2011 afferma che l’appello, ex art. 702quater c.p.c., ad ordinanza decisoria si propone con citazione e non con ricorso. Il giudizio di appello contro l'ordinanza di accoglimento conclusiva del procedimento sommario di cognizione è retto dalla disciplina ordinaria dell'appello, per quanto l'art. 702-quater c.p.c. nulla di diverso dispone in proposito: ciò vuol dire anzitutto che il giudizio di appello delineato dall'art. 702-quater c.p.c. rimane, come di regola, una revisio prioris istantiae fondata sulla deduzione di specifiche doglianze connotate dal requisito di specificità di cui all'art. 342 c.p.c. Sicché, se il giudice di primo grado non è incorso in errori, non è pensabile che la sua decisione debba essere ribaltata. E dunque la sola reale peculiarità dell'art. 702 quater c.p.c, con riguardo all'attività istruttoria, è la previsione della delega dell'assunzione dei mezzi di prova ad uno dei componenti del collegio. [4] Si legge nella delibera consiliare del 5.7.2012 del Consiglio Superiore della Magistratura, Parere sulle disposizioni concernenti l'amministrazione della giustizia contenute nello schema di decreto legge recante misure urgenti per la crescita sostenibile (cd. decreto sviluppo), che gli artt. 348 bis e ter c.p.c. consentono di dichiarare inammissibile l’appello sol perché esso abbia una probabilità non ragionevole di essere accolto. L’approccio interpretativo radicalmente negativo - connesso soprattutto al timore di un utilizzo assai spregiudicato della formula legislativa della ragionevole probabilità anche al fine di ridurre il carico dei ruoli - sembra eccessivo. Il possibile rischio è semmai quello opposto che la riforma possa avere una limitata, se non scarsa, applicazione. Il vice presidente del C.s.m. Michele Vietti, in una lettera al Corriere della Sera del 25.7.2012, ha scritto che la riforma proposta si ispira al sistema tedesco che, lungi dall'essere «folle», garantisce buoni risultati in termini di durata delle cause e di affidabilità delle decisioni. [5] CONSOLO, Lusso o necessità nelle impugnazioni delle sentenze, in Judicium.it., 2012. [6] CAPONI, La riforma dell’appello civile dopo la svolta nelle commissioni parlamentari, in Judicium.it, 2012. [7] CAPONI, già cit. [8] CAPONI, già cit. [9] MONTELEONE, Il Processo civile in mano al governo dei tecnici, in Judicium.it, 2012. [10] Per approfondimenti sulle misure cautelari, si vedano almeno CIPRIANI, Procedimento cautelare, regolamento di giurisdizione e riforma del processo civile, in GI, 1995; MERLIN, Procedimenti cautelari ed urgenti in generale, in Digesto civ., XIV, Torino, 1996; SALVANESCHI, in TARZIA (a cura di), Il nuovo processo cautelare, Padova, 1993; Siracusano, sub art. 669 bis, in PICARDI (a cura di), Codice di procedura civile, Milano, 2000; TARZIA, Il nuovo processo cautelare, Padova, 1993; CONSOLO, LUISO, Codice di procedura civile commentato, Milano, 2000; OBERTO, Il nuovo processo cautelare, Milano, 1992; FERRI, Decreto cautelare inaudita altera parte in corso di causa e mancata fissazione dell'udienza per la conferma modifica o revoca, nota a T. Aquila 31.10.2002, in GM, 2003; CARPI, TARUFFO, Commentario breve al codice di procedura civile, Padova, 1999; RICCI, La riforma del processo civile, Torino, 2009; BALENA, La disciplina del procedimento cautelare uniforme, in BALENA, BOVE, Le riforme più recenti al processo civile, Bari, 2006; PILONI, Rimedi giudiziali esperibili in sede di attuazione dei provvedimenti cautelari, in Esecuzione forzata, 2005, 4. [11] FIORUCCI, I provvedimenti d’urgenza ex art. 700 c.p.c., Milano, 2009, 112. [12] LUISO, Diritto processuale civile, IV, Milano, 2011, 186. [13] Così sostiene Liebman. [14] PROTO PISANI, La nuova disciplina del processo civile, Napoli, 1991, 376. [15] Cass. civ. Sez. II, 22-11-2004, n. 22026. [16] Alla lettera un solo precedente dovrebbe ritenersi insufficiente, poiché è utilizzato il plurale e non il singolare. [17] Tale previsione appare coerente con l’art. 132 c.p.c. che, con la novella del 2009, ha subito una significativa restrizione circa la narrazione del fatto in sentenza. [18] TONA, La citazione dovrà andare subito al solo, in Il Sole24Ore del 6.8.2012, n. 216, 6.

mercoledì 28 marzo 2012

Sinistro, strada ghiacciata, ANAS, responsabilità oggettiva, prova Cassazione civile , sez. III, sentenza 22.02.2012 n° 2562

SUPREMA CORTE DI CASSAZIONE

SEZIONE III CIVILE

Sentenza 20 gennaio – 22 febbraio 2012, n. 2562

(Presidente Finocchiaro – Relatore Uccella)

Svolgimento del processo

Il Tribunale di Alba il 2 giugno 2007 rigettava la domanda proposta da A. L. Z. F. e M.P. s.n.c. nella loro qualità, rispettivamente di moglie e figlio ed eredi e datore di lavoro di Z. L., che era deceduto mentre, percorrendo la strada statale n. 231- Asti-Cuneo il 5 gennaio 2003, improvvisamente sbandava e, sfondando il guard-rail, precipitava nel vuoto.

La domanda fu proposta contro l’ANAS per sentirla condannare o ex art. 2051 c.co., in subordine ex art.2043 c.c. al risarcimento dei danni, conseguenti alla morte dello Z. L.

Su gravame degli attori la Corte di appello di Torino il 3 agosto 2009, riformava parzialmente la sentenza di primo grado e condannava l'ANAS al pagamento di euro 88.187,20 per ciascuno dei congiunti del de cujus, con interessi legali dalla sentenza al soddisfo; con condanna alle spese del grado; rigettava l’appello della M.P. e compensava, invece, le spese tra la M.P. e l’Anas.

Avverso siffatta decisione propone ricorso per cassazione l’ANAS, affidandosi a cinque motivi.

Resistono con controricorso A.L., Z.F. e la M.P., che eccepiscono, tra l’altro la inammissibilità del ricorso ex art. 360 bis c.p.c.

Le parti costituite non hanno depositato memoria.

Motivi della. decisione

In via preliminare, nell’esaminare la eccezione dei resistenti, il Collegio ritiene che non ricorre nel caso in esame l’applicabilità dell’art.360 bis c.p.c., in quanto dal ricorso si evince che è in discussione l'art. 2051 c.c., quale ricevuto dal giudice dell'appello.

Ancora in via preliminare, va osservato che ad avviso di questo collegio, investito della questione dalla stessa ricorrente, non è applicabile l’art. 327 c.p.c., cosi come modificato dall'art.46 n. 17 della legge 18 giugno 2009 n.69, in quanto non richiamato nell'art.58 della stessa legge (Disposizioni transitorie), il cui comma 1 prevede l'applicazione delle disposizioni di cui alla presente legge ai giudizi instaurati dopo la sua entrata in vigore, fatta eccezione per le controversie nelle quali il provvedimento impugnato con il ricorso per cassazione sia, tra l’altro, depositato successivamente alla entrata in vigore della legge, ma in relazione a quanto previsto nell’art. 47 di essa.

1.- Con i primi due motivi (violazione e falsa applicazione degli artt.2051 e 2697 c.c. in relazione all'art.360 comma l n.3 c.p.c. e sotto altro profilo in relazione all'art. 360 comma 1 n. 3 c.p.c.), in estrema sintesi, l''ANAS si duole dell'applicazione fatta dal giudice dell'appello dell'art.2051 c.c.

Trattandosi di sinistro avvenuto su strada pubblica di ampia estensione dovute ad evento esterno alla strada e/o alle sue pertinenze (nevicata intensa e conseguente strato di ghiaccio) il danneggiato avrebbe dovuto provare il nesso causale tra la cosa in custodia e l’evento dannoso e, comunque, si era verificato un caso fortuito idoneo ad esentare da responsabilità la esponente, con responsabilità, invece, esclusiva del danneggiato.

2.-In punto di fatto e per una migliore comprensione della vicenda, va detto che il giudice dell'appello ha accertato che il sinistro si era verificato su strada statale " in una situazione in cui non ricorrono le figure sintomatiche di effettiva sussistenza del potere di custodia (strade comunali e autostrade)".

Dalle deposizioni testimoniali è risultato che la strada era estremamente ghiacciata al punto che due testi – T. e A. – il pomeriggio precedente il sinistro si erano recati a spargere miscela di sale e sabbia, che, però, non era risultata fruttuosa, al punto che altri testi hanno dichiarato che la strada era impenetrabile.

Le testimonianze risultarono confermate dal rapporto dei carabinieri intervenuti subito dopo il sinistro.

L’incidente si era verificato perché alla guida del mezzo pesante, la notte (ore 3.30) lo Z., malgrado la situazione obbiettiva dovuta alla presenza di ghiaccio, avrebbe proceduto ad una velocità inferiore ai 60/Kmh, ma senza tener conto della presenza di cartelli che non solo prevedevano un limite di 50/Kmh e sulla rampa di decelerazione 40/Kmh, ma nemmeno del cartello che indicava il pericolo in caso di nebbia o ghiaccio.

In tal modo ricostruita la situazione di fatto il giudice d’appello ha ritenuto:

a) applicabile anche all’ANAS l’art. 2051 c.c., in quanto proprietaria e gestore della strada pubblica alla luce della più recente giurisprudenza di questa Corte;

b) che l’ANAS non avesse dimostrato di avere usato la diligenza che il caso richiedeva, ovvero di avere adottato tutte le misure necessarie ed idonee a prevenire ed impedire la produzione di danni a terzi (con richiamo a Cass. n. 3651/06);

c) che, trattandosi di responsabilità oggettiva, questa resta esclusa soltanto dal caso fortuito, che attiene non già ad un comportamento del responsabile, bensì al profilo causale dell’evento, riconducibile non alla cosa (che ne è fonte immediata), ma ad un elemento esterno, recante i caratteri dell’oggettiva imprevedibilità ed inevitabilità e che può essere costituito anche da fatto del terzo o del danneggiato (richiamo a Cass. n.15383/06).

3.-Poste queste premesse logico-giuridiche, il giudice a quo ha poi sottolineato che l’ente gestore quale in questo caso l’ANAS, non aveva provato il caso fortuito, ossia non aveva provato di avere espletato, con la diligenza adeguata alla natura e alla funzione della cosa in relazione alla situazione concretamente verificatasi ed esistente, tutte le attività di controllo, vigilanza e manutenzione su di essa gravanti in base a specifiche prescrizioni normative (nel caso art. 14 Cds) e non già del principio del neminem laedere.

In sintesi, l’ANAS non aveva provato di avere fatto tutto il possibile per provvedere alla funzionalità della strada, che si era coperta dello strato di ghiaccio.

Pertanto, e condividendosi l’orientamento interpretativo fatto proprio dal giudice a quo e che va ribadito, come, peraltro, confermato da successive decisioni (Cass. 8157/09; Cass. n. 24419/09; Cass. n. 12695/10), la violazione di cui all’art. 2051 c.c., sotto entrambi i profili denunciati nei due motivi non è rinvenibile nella specie.

E solo per completezza va detto che, per il caso in esame, l’argomentare del giudice d’appello, confortato da dati fattuali e processuali, nonché dall’indirizzo interpretativo seguito dalla Corte territoriale e condiviso dal Collegio, non si pone in contrasto con altro orientamento che se ha ritenuto sussistere il “caso fortuito” quando il tratto di strada su cui si è verificato l’evento dannoso non era oggetto di custodia da parte dell’ANAS o questa non aveva contribuito a renderlo pericoloso con la sua attività.

Infatti quell’orientamento precisa che l’oggettiva impossibilità della custodia non sussiste quando l’evento dannoso si è verificato su un tratto di strada che in quel momento, come nella specie, era in concreto oggetto di custodia (Cass n. 9546/10).

4.-Né, ad avviso del Collegio, si rinviene una insufficiente e/o contraddittoria motivazione su di un punto decisivo della controversia (art. 360 comma 1 n. 5 c.p.c. –terzo motivo-) circa la percentuale di responsabilità dell’ANAS (riconosciuta al 60% dal giudice dell’appello nella sentenza impugnata, rispetto a quella attribuita allo Z.).

Di vero, con valutazione insindacabile, perché confortata dalle risultanze processuali, il giudice a quo ha ritenuto che la condotta dello Z. fosse non completamente regolare perché di poco superiore ai limiti di velocità indicati nel cartello e, comunque, la sua velocità non era adeguata per un automezzo che percorreva, in discesa, la strada in condizioni di tempo e luogo non certo rassicuranti.

E ciò anche sulla base della relazione prodotta con l’atto di citazione dagli originari attori, tenendo presente che la condizione della strada, con presenza anche di nebbia, imponeva cautela alla guida.

Dall’argomentare del giudice a quo, si evince che egli ha tenuto conto, ai fini dell’entità del richiesto risarcimento, come prevalente la condotta omissiva dell’ANAS rispetto a quella del conducente, che pure ha sanzionato perché incauta ed irregolare.

Si tratta di giudizio di merito che congruamente argomentato, sfugge al sindacato di questa Corte.

5.-Con il quarto motivo (insufficiente motivazione su un altro punto decisivo della controversia in relazione all’art. 360 comma 1 n. 5 c.p.c.) la ricorrente lamenta che sarebbe affetta da una motivazione insufficiente la effettuata “personalizzazione” del danno con l’aumento del 20% di quanto asseritamente dovuto in forza delle tabelle in uso presso il giudice di secondo grado (p.18 e ss. ricorso).

La censura, così come proposta, non merita accoglimento.

il danno liquidato è solo il danno morale, che è stato liquidato in via equitativa.

La sua liquidazione risulta motivata in modo più che congruo, come si evince da una semplice e serena lettura della sentenza impugnata, nella quale nel ridimensionare il richiesto importo il giudice dell’appello ha proceduto ad una determinazione “secondo le tabelle in uso” precisando che alla cifra base di 100 mila euro erano aggiunti altri 20 mila euro, tenuto conto che all’epoca del sinistro, lo Z. L. non aveva ancora compiuto sessanta anni e la famiglia si era venuta a trovare priva del suo appoggio sia economico che relazionale.

6.-Il quinto motivo (violazione falsa applicazione degli artt. 91 e 92 c.p.c. in relazione all’art. 360 comma 1 n. 3 cpc) non solo è inammissibile, come per pacifica giurisprudenza, ma è anche infondato, perché il giudice a quo non ha affatto violato il principio della soccombenza, atteso che in grado di appello sia la M.P. che l’ANAS sono risultate soccombenti.

Conclusivamente, il ricorso va respinto, ma l’alterno esito delle fasi di merito inducono il Collegio a compensare integralmente tra le parti le spese del presente giudizio di cassazione.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso; compensa integralmente tra le parti le spese del presente giudizio di cassazione.





martedì 13 marzo 2012

Manto stradale, custodia, responsabilità, PA, nesso eziologico, distrazione Cassazione civile , sez. VI, sentenza 30.01.2012 n° 1310

In relazione ai danni verificatisi nell'uso di un bene demaniale, tanto nel caso in cui risulti in concreto configurabile una responsabilità oggettiva della P.A. ai sensi dell'art. 2051 cod. civ., quanto in quello in cui risulti invece configurabile una responsabilità ai sensi dell'art. 2043 cod. civ., l'esistenza di un comportamento colposo dell'utente danneggiato (sussistente anche quando egli abbia usato il bene senza la normale diligenza o con un affidamento soggettivo anomalo sulle sue caratteristiche) esclude la responsabilità della P.A., qualora si tratti di un comportamento idoneo ad interrompere il nesso eziologico tra la causa del danno ed il danno stesso, mentre in caso contrario esso integra un concorso di colpa ai sensi dell'art. 1227 cod. civ., comma 1, con conseguente diminuzione della responsabilità del danneggiante (e, quindi, della P.A.) in proporzione all'incidenza causale del comportamento stesso

SUPREMA CORTE DI CASSAZIONE

SEZIONE VI CIVILE

Sentenza 12 – 30 gennaio 2012, n. 1310

(Presidente Preden – Relatore Giacalone)

In fatto e in diritto

Nella causa indicata in premessa, é stata depositata la seguente relazione:

1 - La sentenza impugnata, depositata il 14 ottobre 2010 e notificata il successivo 10.12, confermando quella di primo grado, ha, per quanto qui rileva, respinto la domanda risarcitoria dell'odierno ricorrente, ritenendo che "era infatti sufficiente una fugace occhiata alle foto per rendersi conto che "l'insidioso avvallamento" che secondo l'appellante era privo di idonea segnalazione e costituiva un pericolo per gli utenti della strada non era altro che un'ordinaria griglia per lo scarico delle acque piovane"; non era quindi ipotizzabile la lesione dell'aspettativa alla regolarità del manto stradale, non potendosi prescindere dagli elementi che ne costituiscono una componente ricorrente; la caduta era quindi interamente addebitabile alla distrazione del P. e non era configurabile un nesso eziologico con la griglia e con il lievissimo avvallamento in cui essa è contenuta, rispondente alla necessità tecnica di raccogliere le acque confluenti nella fogna bianca; ricorreva quindi la tipica ipotesi di esclusione della responsabilità oggettiva del custode (art. 1227.2 c.c.), potendo il sinistro essere evitato se il P. avesse impiegato l'ordinaria diligenza nel percorrere la strada.

2 - Ricorre per cassazione il P. con sei motivi; il Comune resiste con controricorso.

3. - I motivi lamentano.

3.a. violazione dell'art. 2051 c.c., per errata valutazione e applicazione dei presupposti risarcitori, avendo disatteso il carattere oggettivo della responsabilità del Comune, tenuto alla manutenzione della strada a regola d'arte ed all'adozione della segnaletica dell'anomalia;

3.b. violazione dell'art. 2043 c.c. per avere la Corte territoriale riferito la regolarità alla griglia e non all'avvallamento, in contrasto con le risultanze documentali;

3.c. violazione dell'art. 1227.2 c.c. e vizio di motivazione per non aver individuato l'atto o il comportamento che avrebbero interrotto il nesso di causalità e non essendovi la prova che la condotta del ciclista fosse stata talmente imprudente da interrompere il detto nesso;

3.d. ed e. violazione art. 115 c.p.c. ed insufficienza della motivazione per non aver motivato in ordine alla mancata ammissione dell'interrogatorio formale e della prova testimoniale richiesta;

3.f. violazione art. 92.2 c.p.c. ed illogicità della motivazione in ordine alla mancata compensazione delle spese di lite ed alla modifica della compensazione operata dal giudice di primo grado.

4. Il ricorso è manifestamente privo di pregio. Le prime tre censure che possono trattarsi congiuntamente data l'intima connessione - implicano, nonostante le prime due siano impropriamente rubricate come violazioni di legge, accertamenti di fatto e valutazioni di merito. Ripropongono, in realtà, un'inammissibile "diversa lettura" delle risultanze probatorie, senza tenere presente il consolidato orientamento di questa S.C. secondo cui in tema di responsabilità civile per i danni cagionati da cose in custodia, la fattispecie di cui all'art. 2051 cod. civ. individua un'ipotesi di responsabilità oggettiva, essendo sufficiente per l'applicazione della stessa la sussistenza del rapporto di custodia tra il responsabile e la cosa che ha dato luogo all'evento lesivo. Pertanto non assume rilievo in sé la violazione dell'obbligo di custodire la cosa da parte del custode, la cui responsabilità è esclusa solo dal caso fortuito, fattore che attiene non ad un comportamento del responsabile, ma al profilo causale dell'evento, riconducibile in tal caso non alla cosa che ne è fonte immediata ma ad un elemento esterno. Ne consegue l'inversione dell'onere della prova in ordine al nesso causale, incombendo sull'attore la prova del nesso eziologico tra la cosa e l'evento lesivo e sul convenuto la prova del caso fortuito. Sia l'accertamento in ordine alla sussistenza della responsabilità oggettiva che quello in ordine all'intervento del caso fortuito che lo esclude involgono valutazioni riservate al giudice del merito, il cui apprezzamento è insindacabile in sede di legittimità se sorretto da motivazione congrua ed immune da vizi logici e giuridici (Cass. n. 6753/2004).

4.1. In particolare, le prime due censure non colgono nel segno, perché invocano in astratto la non corretta applicazione dei presupposti per la responsabilità sia ex art. 2051 c.c., sia ex art. 2043, senza tenere presente che l'effettiva ratio decidendi sta nella ritenuta prova del fortuito, consistente nella distrazione del danneggiato. Tale ultima questione, posta nel terzo motivo, è anch'essa manifestamente infondata in quanto la decisione impugnata è conforme all'orientamento secondo cui in relazione ai danni verificatisi nell'uso di un bene demaniale, tanto nel caso in cui risulti in concreto configurabile una responsabilità oggettiva della P.A. ai sensi dell'art. 2051 cod. civ., quanto in quello in cui risulti invece configurabile una responsabilità ai sensi dell'art. 2043 cod. civ., l'esistenza di un comportamento colposo dell'utente danneggiato (sussistente anche quando egli abbia usato il bene senza la normale diligenza o con un affidamento soggettivo anomalo sulle sue caratteristiche) esclude la responsabilità della P.A., qualora si tratti di un comportamento idoneo ad interrompere il nesso eziologico tra la causa del danno ed il danno stesso, mentre in caso contrario esso integra un concorso di colpa ai sensi dell'art. 1227 cod. civ., comma 1, con conseguente diminuzione della responsabilità del danneggiante (e, quindi, della P.A.) in proporzione all'incidenza causale del comportamento stesso (Cass. n. 5669/10; 15779/06; 15383/06). La sentenza impugnata, invece, ha congruamente spiegato le ragioni della propria decisione, risulta correttamente ritenuto riconducibile all'ipotesi del fortuito il caso in cui l'evento di danno sia da ascrivere esclusivamente alla condotta del danneggiato, la quale abbia interrotto il nesso eziologico tra la cosa in custodia ed il danno, (v. Cass. n. 20317/2005).

4.2. Anche le censure di cui al quarto e quinto motivo sono manifestamente infondate dovendosi ribadire che la conformità della sentenza al modello di cui all'art. 132 n. 4 cod. proc. civ., e l'osservanza degli artt. 115 e 116, cod. proc. civ., non richiedono che il giudice di merito dia conto dell'esame di tutte le prove prodotte o comunque acquisite e di tutte le tesi prospettate dalle parti, essendo necessario e sufficiente che egli esponga, in maniera concisa, gli elementi in fatto ed in diritto posti a fondamento della sua decisione, offrendo una motivazione logica ed adeguata, evidenziando le prove ritenute idonee a confortarla, dovendo reputarsi per implicito disattesi tutti gli argomenti, le tesi e i rilievi che, seppure non espressamente esaminati, siano incompatibili con la soluzione adottata e con l'"iter" argomentativo seguito (Cass. n. 22801/09; 17145/06).

4.3. Vi è congrua e corretta motivazione nella sentenza impugnata in ordine alla soccombenza come criterio per il governo delle spese e sull'esclusione anche per il primo grado ei motivi legittimanti la compensazione delle stesse.

5. - Il relatore propone la trattazione del ricorso in camera di consiglio ai sensi degli artt. 375, 376, 380 bis c.p.c., ed il rigetto dello stesso. La relazione é stata comunicata al Pubblico Ministero e notificata ai difensori delle parti costituite.

Non sono state presentate memorie né conclusioni scritte.

Ritenuto che:

a seguito della discussione sul ricorso in camera di consiglio, il collegio ha condiviso i motivi in fatto e in diritto esposti nella relazione; che il ricorso deve perciò essere rigettato essendo manifestamente infondato; le spese seguono la soccombenza e si liquidano in dispositivo, visti gli artt. 380-bis e 385 cod. proc. civ.

P.Q.M.

Rigetta il ricorso. Condanna il ricorrente al pagamento delle spese del presente giudizio in favore del Comune che liquida in Euro 5.200,00, di cui Euro 5.000,00 per onorario, oltre spese generali ed accessori di legge.


martedì 21 febbraio 2012

Opposizione a Decreto Ingiuntivo. Prova dell'avvenuta notifica al destinatario e computo del termine.

Cassazione, sez. I, 24 novembre 2011 n. 24858

1) In tema di notificazioni a mezzo posta, quando debba accertarsi il perfezionamento della notificazione nei confronti del destinatario, posto che la data del timbro postale sulla busta corrisponde a quella di smistamento del plico presso l'ufficio postale e non all'effettivo recapito al destinatario, che può anche avvenire in data successiva, l'unico documento attestante la consegna a questi e la sua data è, di regola, l'avviso di ricevimento della raccomandata, la cui produzione in giudizio è onere che grava sulla parte notificante.
2) L'onere di provare la tempestività della opposizione grava sull'opponente e la relativa dimostrazione, pur non essendo esclusi altri mezzi,viene fornita in genere mediante la relazione di notificazione apposta in calce alla copia del provvedimento monitorio.
3) La produzione della copia notificata del decreto, in uno alla copia notificata del ricorso, rappresenta lo strumento ordinario per consentire al giudice adito, tenuto all'esame d'ufficio del rispetto dei termini, trattandosi di materia regolata da norme cogenti, di controllarne "in limine" la tempestività dell'opposizione, salva comunque la possibilità di desumere aliunde la prova necessaria al riguardo.
4) La mancata produzione da parte dell'opponente della copia notificata del decreto non comporta la dichiarazione d'inammissibilità dell'opposizione, qualora la prova dell'osservanza del termine di decadenza fissato dall'art. 641 cod. proc. civ. possa essere agevolmente desunta da altri sicuri elementi, quali le ammissioni contenute nella comparsa di costituzione e risposta o nella comparsa conclusionale dell'opposto in ordine alla data della notifica



Cassazione, sez. I, 24 novembre 2011 n. 24858
(Pres. Plenteda – Rel. Giancola)

Svolgimento del processo
Con sentenza del 15 febbraio 2002, il Tribunale di Roma dichiarava inammissibile, in rapporto al termine decadenziale di quaranta giorni di cui all'art. 641 c.p.c, l'opposizione proposta da P.S.M. avverso il decreto ingiuntivo in data 27 gennaio 2000, con cui a quest'ultimo s'intimava di pagare di L. 400.000.000 in favore della Banca Nazionale del Lavoro, somma da costei pretesa in forza di fideiussione dal P. concessa a garanzia dell'esposizione debitoria della società IAT srl, anch'essa destinataria del medesimo provvedimento.
Con sentenza dell'11.10-10.11.2005, la Corte di appello di Roma, nel contraddittorio delle parti, respingeva il gravame del P. .
La Corte territoriale osservava e riteneva per quanto ancora rileva:
a) che il decreto opposto era stato notificato al P. a mezzo del servizio postale e che il Tribunale aveva ritenuto l'inammissibilità dell'opposizione dallo stesso svolta, in quanto l'opponente non aveva prodotto la busta contenente il decreto, dalla quale sarebbe stato altrimenti possibile evincere la data di consegna del plico;
b) che l'appellante aveva, invece, affermato che il rispetto del termine di cui all'art. 641 c.p.c. era ricavabile dal raffronto tra la data di spedizione del plico contenente la copia del decreto (22 febbraio 2000) e quella di notifica (7 aprile 2000) dell'atto di opposizione nonché che anche la mancanza di eccezioni di parte avversa sul punto dovesse interpretarsi nel senso della tempestività dell'opposizione;
c) che il lasso di tempo tra il 22 febbraio 2000, data di spedizione del plico contenente la copia notificata del decreto ed alla quale, invocando il disposto dell'art. 8 L 890/82, l'appellante avrebbe voluto ricollegare la data della relativa notifica, e la data del 7 aprile successivo, di proposizione dell'opposizione, risultava, comunque superiore al suddetto termine di quaranta giorni di cui all'art. 641 primo comma cpc.
d) che se era pure vero che il giudice, oltreché dalla disamina della copia del decreto opposto, poteva anche desumere aliunde gli elementi di verifica della tempestività dell'opposizione, appariva evidente come tale indagine necessitasse di elementi di riscontro concreti e non equivoci, come il mero contegno processuale della banca opposta, sostanziatosi nel silenzio mantenuto sul punto.
Avverso questa sentenza il P. ha proposto ricorso per cassazione affidato a due motivi e notificato il 14.12.2006 alla Banca Nazionale del Lavoro S.p.A., che ha resistito con controricorso. Il 14.06.2010 si è costituita in giudizio la P. Re Credit Servicing S.p.A. quale mandataria della C. S.r.l, a sua volta cessionaria del credito azionato dalla BNL.

Motivi della decisione

In via preliminare di rito va dichiarata l'inammissibilità dell'intervento spiegato dalla società C. S.r.l., cessionaria del credito, rappresentata dalla mandataria società P. Re Credit Servicing S.p.A.. Il successore a titolo particolare nel diritto controverso può ben impugnare per cassazione la sentenza di merito, entro i termini di decadenza, ma non può intervenire nel giudizio di legittimità, mancando una espressa previsione normativa riguardante la disciplina di quell'autonoma fase processuale, che consenta al terzo la partecipazione al giudizio con facoltà di esplicare difese, assumendo una veste atipica rispetto alle parti necessarie, che hanno partecipato al giudizio di merito (cfr, da ultimo, Cass. n. 11375 del 2010) A sostegno del ricorso il P. denunzia:
1. "Violazione dell'art. 360 c.p.c. comma numero 3) in relazione agli articoli 149 c.p.c. nonché' della legge 20 novembre 1982 n. 890, nullità della sentenza per violazione o falsa applicazione di norme di diritto".
Censura l'avere i giudici di merito sostanzialmente ritenuto che la notifica a mezzo del servizio postale si fosse anche per lui perfezionata alla data di spedizione del plico e non già a quella di effettiva ricezione, questa desumibile dall'avviso di ricevimento restituito alla controparte, e che gli sia stata addebitata la mancata produzione della busta contenente il provvedimento opposto, con improprio ed irrilevante riferimento alla data del bollo di spedizione di detto avviso.
2. "Violazione dell'art. 360 c.p.c. comma 1 n. 5). Nullità della sentenza per omessa e/o insufficiente e/o contraddittoria motivazione su punti decisivi della controversia prospettati dalle parti”.
Sostiene che è stato travisato il suo motivo d'appello, laddove si è proceduto al confronto tra la data di inizio delle formalità di notificazione a mezzo posta, del decreto, ingiuntivo con quella di notifica dell'opposizione a tale provvedimento.
I due motivi, che essendo connessi consentono esame congiunto, sono fondati nei sensi in prosieguo precisati.
In linea generale:
- in tema di notificazioni a mezzo posta, quando debba accertarsi il perfezionamento della notificazione nei confronti del destinatario, posto che la data del timbro postale sulla busta corrisponde a quella di smistamento del plico presso l'ufficio postale e non all'effettivo recapito al destinatario, che può anche avvenire in data successiva, l'unico documento attestante la consegna a questi e la sua data è, di regola, l'avviso di ricevimento della raccomandata, la cui produzione in giudizio è onere che grava sulla parte notificante (cfr, da ultimo, Cass. n. 16184 del 2009).
- inoltre, in tema di opposizione a decreto ingiuntivo:
a) l'onere di provare la tempestività della opposizione grava sull'opponente e la relativa dimostrazione, pur non essendo esclusi altri mezzi,viene fornita in genere mediante la relazione di notificazione apposta in calce alla copia del provvedimento monitorio (cfr, Cass. n. 15369 del 2001).
b) la produzione della copia notificata del decreto, in uno alla copia notificata del ricorso, rappresenta lo strumento ordinario per consentire al giudice adito, tenuto all'esame d'ufficio del rispetto dei termini, trattandosi di materia regolata da norme cogenti, di controllarne "in limine" la tempestività dell'opposizione, salva comunque la possibilità di desumere aliunde la prova necessaria al riguardo (cfr Cass. 15387 del 2000).
c) la mancata produzione da parte dell'opponente della copia notificata del decreto non comporta la dichiarazione d'inammissibilità dell'opposizione, qualora la prova dell'osservanza del termine di decadenza fissato dall'art. 641 cod. proc. civ. possa essere agevolmente desunta da altri sicuri elementi, quali le ammissioni contenute nella comparsa di costituzione e risposta o nella comparsa conclusionale dell'opposto in ordine alla data della notifica (cfr Cass. n. 17495 del 2008).
Nella specie è incontroverso che Banca Nazionale del Lavoro abbia provveduto, come era suo onere (artt. 643 e 644 c.p.c.), alla notificazione del decreto ingiuntivo, che tale notificazione sia avvenuta a mezzo posta con avvio delle relative formalità in data 22.02.2000 e che si sia perfezionata con la consegna del plico al destinatario.
Emerge, altresì, che la medesima banca ingiungente non ha eccepito la tardività dell'opposizione proposta il 7.04,2000, dal P. né prodotto l'indispensabile avviso di ricevimento, a lei restituito, della notificazione del provvedimento monitorio ed ancora che non era altrimenti possibile il sicuro accertamento della data del perfezionamento della notificazione in argomento.
In tale contesto, posto anche che, per il principio in precedenza richiamato, non sarebbe stata dirimente la produzione da parte del P. della busta contenente il provvedimento a lui notificato a mezzo posta, illegittimo si rivela il rilievo d'ufficio dell'inammissibilità dell'opposizione, per il tramite dell'addebito all'opponente del difetto di prova della tempestività della sua iniziativa giudiziaria, riferito alla mancanza di produzioni documentali o per lui impossibili o sul punto non decisive. Il giudice dell'opposizione al decreto ingiuntivo può rilevare d'ufficio l'inammissibilità dell'opposizione per inosservanza del termine prescritto dall'art. 641 c.p.c., solo se dagli atti emerga con certezza la tardività dell'opposizione in riferimento sia al dies a quo, ossia alla data di notificazione del decreto, che al dies ad quem, ossia alla data della relativa opposizione, ma, qualora sia noto soltanto il dies ad quem, non può adottare analoga statuizione officiosa presumendo tale tardività in assenza di dati in tale senso significativi e segnatamente addebitando all'opponente la mancata produzione della busta contenente il decreto notificato, in quanto recante la data di smistamento del plico presso l'ufficio postale ma non anche quella di effettivo recapito al destinatario. Conclusivamente deve essere dichiarata l'inammissibilità dell'intervento spiegato dalla società P. Re Credit Servicing S.p.A., quale mandataria della società C. S.r.l, cessionaria del credito, con compensazione integrale, per giusti motivi, delle spese del giudizio di legittimità; deve essere, inoltre, accolto il ricorso proposto dal P. nei confronti della Banca Nazionale del Lavoro S.p.A., e conseguentemente l'impugnata sentenza cassata, con rinvio alla Corte di appello di Roma, in diversa composizione, cui si demanda anche la pronuncia sulle spese del giudizio di legittimità inerenti a tale rapporto processuale.

P.Q.M.

La Corte: a) dichiara inammissibile l'intervento spiegato dalla società P. Re Credit Servicing S.p.A. e compensa interamente le spese del presente giudizio tra il P. e la interveniente; b) accoglie il ricorso proposto dal P. nei confronti della Banca Nazionale del Lavoro S.p.A., cassa la sentenza impugnata e rinvia, anche per le relative spese del giudizio di cassazione, alla Corte di appello di Roma, in diversa composizione