sabato 22 settembre 2012

Incroci Stradali- Cass. Civ., sez.I, 13 luglio 2006, n. 15928

 Incroci stradali – Obbligo di usare la massima prudenza nell’approssimarsi ad una intersezione - Conducente di veicolo proveniente da destra con diritto di precedenza - Sussistenza dell'obbligo. Incroci stradali...(Cass. Civ., sezione I, 13 luglio 2006, n. 15928)
Incroci stradali – Obbligo di usare la massima prudenza nell’approssimarsi ad una intersezione - Conducente di veicolo proveniente da destra con diritto di precedenza - Sussistenza dell'obbligo. Incroci stradali - Obbligo di usare la massima pru­denza nell'approssimarsi ad una intersezione ­Inosservanza - Collisione verificatasi ad incrocio quasi interamente attraversato - Configurabilità dell'illecito 

In tema di circolazione stradale, l'art. 145, com­ma 1, del codice della strada nel prevedere che i conducenti, approssimandosi ad una intersezione, devono usare la massima prudenza al fine di evitare incidenti si rivolge a tutti i conducenti, anche al conducente favorito, giacché il diritto di preceden­za spettante al conducente del veicolo proveniente da destra non esonera il conducente medesimo dall'obbligo di usare la dovuta attenzione nell'at­traversamento di un incrocio, anche in relazione a pericoli derivanti da eventuali comportamenti ille­citi o imprudenti di altri utenti della strada che non si attengano alla norma, recata dal comma secondo del medesimo art. 145, che impone di dare la pre­cedenza a chi proviene da destra, salvo diversa se­gnalazione. (Nuovo C.S., art. 145) (1). 
In tema di circolazione stradale, la configurabilità dell'illecito amministrativo di inosservanza dell'ob­bligo di usare la massima prudenza nell’approssimar­si ad un incrocio, di cui all'art. 145, comma 1, del co­dice della strada, non dipende dal punto in cui accade l'incidente, sicché anche una collisione che si verifichi quando l'area di intersezione stia per essere intera­mente attraversata può essere indicativa del fatto che, avvicinandosi al crocevia, il conducente non ha os­servato l'obbligo di usare la massima prudenza. (Nuovo C.S., art. 145) (2). 

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO. 1. - Con ricorso depositato in data 18 gennaio 2001, R. S. impugnò il verbale n. 720 di data 21 dicembre 2000 con cui la Polizia municipale di San Pancrazio Salen­tino gli aveva contestato la violazione di cui all'art. 145, comma 1, del codice della strada perché, percor­rendo nel territorio di quel Comune, alla guida della sua autovettura Renault targata BJ 231 CA, la via Osanna, non aveva usato, approssimandosi alla inter­sezione con la via Silone, la massima prudenza al fine di evitare l'incidente con l'autovettura Fiat targata VA D51149, condotta da C. C..
L'opponente dedusse che l'incidente era da ascri­versi non a propria colpa, ma a quella del conducente dell'altra autovettura, il quale, procedendo a velocità elevata, non si era arrestato al crocevia, omettendo di dare la dovuta precedenza.
2. - Con sentenza n. 61 depositata in data 12 set­tembre 2002, l'adito Giudice di pace di San Pietro Ver­notico - acquisito il rapporto redatto dalla polizia mu­nicipale e assunta una prova testimoniale - rigettò il ricorso e, per l'effetto, confermò il provvedimento op­posto, condannando l'opponente al pagamento della sanzione minima edittale di euro 62,59 e dichiarando interamente compensate tra le parti le spese di lite.
2.1. - Premesso che l'art. 145, comma 1, del codice della strada detta il principio della massima prudenza al fine di evitare incidenti, il giudice di pace rilevava che il ricorrente, per essere esonerato da responsabi­lità, avrebbe dovuto dare la prova di avere usato un grado elevatissimo di cautela e di avvedutezza per evi­tare l'impatto, giacché anche il conducente favorito, che beneficia dell' obbligo imposto ad altri di cedere la precedenza, è tenuto a sua volta, approssimandosi al crocevia, a moderare la velocità e, all'occorrenza, a fermarsi, dovendo egli fare in modo di prevenire, per quanto possibile, persino le altrui imprudenze che si­ano ragionevolmente prevedibili.
Secondo il giudice di pace, il ricorrente non aveva posto in essere le dovute cautele, atteso che, non es­sendo l'intersezione servita da alcun segnale né verti­cale, né orizzontale, egli doveva prevedere il soprag­giungere di altre autovetture che potevano non rispettare l'obbligo di dare la precedenza. Inoltre, l'en­tità dei danni riportati dai veicoli coinvolti e descritti nel rapporto del Comando della Polizia municipale di San Pancrazio Salentino dimostravano che ambedue i veicoli non avevano tenuto una velocità adeguata, sic­ché anche la condotta del conducente favorito era me­ritevole di essere sanzionata.
3. - Avverso questa sentenza, con atto notificato il 23 ottobre 2002 ed il 13 novembre 2002 il R. ha interposto ricorso per cassazione, affidato a due motivi di censura.
Il Ministero dell'interno e l'Ufficio territoriale del Governo di Brindisi hanno depositato in data Il gen­naio 2003 un atto di costituzione.

MOTIVI DELLA DECISIONE. 1. - Con il primo motivo (violazione, erronea e falsa applicazione di legge), il ricorrente deduce che l'art. 145, comma 1, del codice della strada, riguardando l'ipotesi di chi si avvicina ad una intersezione e deve adottare tutte le cautele necessarie per evitare un incidente, non può essere applicato al caso di specie, giacché il R., come provato nel corso del giudizio, aveva quasi inte­ramente attraversato l'area di intersezione quando avvenne la collisione.
L'art. 145, comma 1, del codice della strada, po­nendo a carico del conducente favorito l'onere di pre­vedere e potenzialmente neutralizzare con le dovute cautele le eventuali altrui imprudenze ed inosservanze, si riferisce al caso di chi, avvicinandosi all'incrocio, deve moderare sensibilmente la velocità di guida per scorgere dalle strade laterali il sopraggiungere di altri autoveicoli e conseguentemente arrestare la marcia del proprio veicolo in tempo utile per evitare incidenti.
Viceversa, nel caso di specie, dalla istruttoria orale (teste V.) sarebbe emerso che il R., avendo su­perato la parte centrale dell'intersezione, non era più in grado di scorgere dalle strade laterali il sopraggiun­gere di altri autoveicoli e così di neutralizzare le altrui probabili imprudenze.
2. - Con il secondo mezzo (omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione circa un punto decisivo della controversia), il ricorrente si duole che la sen­tenza impugnata non abbia dato il dovuto rilievo al fatto che l'opponente aveva in realtà posto in essere, sebbene senza successo, l'unica manovra di emergenza possibile, l'arresto dell' autovettura ed il repen­tino spostamento a destra.
La prova circa il compimento di tali manovre di emergenza è stata fornita tramite le fotografie riprodu­centi la posizione delle autovetture subito dopo la col­lisione: posizione confermata dalla planimetria, alle­gata al rapporto dell'incidente, redatta dagli agenti della polizia municipale intervenuti sul luogo del sini­stro, nonché dallo stesso verbalizzante V., sentito nella qualità di teste.
Il giudice di pace immotivatamente non avrebbe dato peso a tali prove documentali e orali, ritenendo che il R. non avrebbe dimostrato di aver usato un adeguato grado di cautela. La motivazione della sen­tenza impugnata sarebbe anche contraddittoria, posto che dalla planimetria redatta dagli stessi vigili verba­lizzanti poteva trarsi un diverso convincimento circa l'avvenuto tentativo da parte del R. di evitare l'impatto. Del tutto inspiegabilmente il giudice di pace avrebbe argomentato l'assenza di cautele da parte del R., quando invece dal disegno planimetrico re­datto dai vigili urbani emergerebbe che era stato espe­rito il tentativo, sebbene infruttuoso, di una manovra di emergenza finalizzata ad evitare l'impatto.
Inoltre, il giudice di pace non avrebbe argomentato sulla richiesta di consulenza tecnica d'ufficio avanzata dalla difesa dell'opponente al fine di ricostruire la di­namica del sinistro e l'obiettiva condotta dei condu­centi. Il giudice di pace si sarebbe limitato a mettere in luce che ambedue i veicoli non avevano tenuto una ve­locità adeguata: argomentazione - ad avviso del ricor­rente - censurabile, atteso che nel rapporto dei vigili è fatta una generica elencazione dei danni riportati dalle autovetture, che potevano essere stati causati anche dall'eccessiva velocità di uno solo di essi. La «prova della responsabilità di cui alla violazione contestata non poteva essere induttivamente fornita, ma doveva discendere da un costrutto logico-giuridico tale da ren­dere plausibile la fondatezza della violazione conte­stata».
Infine, il sufficiente grado di cautela ed avvedu­tezza del conducente favorito ed in transito su di una intersezione doveva essere valutato obiettivamente se­condo la comune e logica prudenza, sulla base degli elementi raccolti nel contraddittorio processuale, cer­tamente non ricorrendo riduttivamente alle sole consi­derazioni dei vigili verbalizzanti nel rapporto d'inci­dente con riferimento ai danni materiali.
3. - Deve, preliminarmente, dichiararsi inammissi­bile l’«atto di costituzione» depositato, senza previa notifica, dall’Avvocatura generale dello Stato in rap­presentanza degli intimati Ministero dell'interno e Uf­ficio territoriale del Governo di Brindisi, e non conte­nente alcuna replica ai motivi del ricorso.
Difatti, la parte contro la quale il ricorso è diretto, se intende contraddirvi, deve farlo mediante controri­corso, che deve contenere, oltre all'esposizione som­maria dei fatti della causa, i motivi per i quali essa con­trasta l'impugnazione, e deve essere notificato al ricorrente nelle forme e nei termini di cui all'art. 370 c.p.c. In mancanza di tale atto, la parte non può presen­tare memorie ma soltanto partecipare alla discussione orale (Cass., sez. V, 11 giugno 2004, n. 11160).
Nella specie, l'atto, depositato in cancelleria ma non previamente notificato al ricorrente, con il quale l'Avvocatura si è «costituita» nel giudizio di cassa­zione senza formulare alcuna deduzione difensiva, è, stante la sua totale difformità rispetto al modello dise­gnato dal legislatore, estraneo al relativo procedi­mento, né è qualificabile come controricorso.
A questo rilievo si aggiunga, per quanto potrà va­lere ai fini della determinazione delle spese di questo giudizio, che l'Avvocatura generale dello Stato non ha svolto altra attività difensiva in questo giudizio.
4. - Il primo motivo di ricorso è infondato.
4.1. - L'art. 145, comma 1, del nuovo codice della strada, approvato con il D.L.vo 30 aprile 1992, n. 285, prevede che «i conducenti, approssimandosi ad una in­tersezione, devono usare la massima prudenza al fine di evitare incidenti».
4.2. - Occorre premettere che tale disposizione si rivolge a tutti i conducenti, anche al conducente favo­rito: il diritto di precedenza spettante al conducente del veicolo proveniente da destra non esonera il condu­cente medesimo dall'obbligo di usare la dovuta atten­zione nell'attraversamento di un incrocio, anche in re­lazione a pericoli derivanti da eventuali comportamenti illeciti o imprudenti di altri utenti della strada che non si attengano alla norma, recata dal comma 2 del me­desimo art. 145, che impone di dare la precedenza a chi proviene da destra, salvo diversa segnalazione (cfr. Cass., sez. III, 27 giugno 2000, n. 8744; nonché, nel vi­gore dell'art. 105 del codice della strada previgente, che recava una norma di analogo tenore, Cass., sez. III, 8 settembre 1986, n. 5480).
4.3. - Ciò premesso, non sussiste il denunciato vi­zio di falsa applicazione di legge, prospettato dal ri­corrente sul rilievo che l'art. 145, comma 1, del codice della strada non sarebbe applicabile là dove, come nella specie, il conducente del veicolo favorito abbia «quasi interamente attraversato l'area d'intersezione» al momento della collisione.
Non v'è dubbio che la disciplina stabilita dalla norma di comportamento di cui all'art. 145, comma 1, del codice della strada presuppone che il veicolo, per­correndo la strada che confluisce nel crocevia, stia per impegnare questo: presuppone, cioè, una fase di avvi­cinamento all'intersezione, durante la quale anche il conducente del veicolo favorito deve tenere una con­dotta di guida ed una velocità tali da consentirgli un tempestivo rallentamento, o un'adeguata manovra di emergenza, a fronte dell'avvistamento dell'irregolare sopraggiungere di un altro veicolo, il quale, a sua volta, non rallenti la corsa e violi l'obbligo di dare la prece­denza (cfr., nel vigore della corrispondente disposi­zione contenuta nell' abrogato codice della strada, Cass., sez. III, 6 febbraio 1978, n. 552; Cass., sez. III, 17 ottobre 1968, n. 3335).
La norma regola il momento dell'approssimarsi all'intersezione perché ha una finalità preventiva, fa­cendo obbligo di usare la massima prudenza al fine di evitare incidenti prima che il pericolo diventi reale e non altrimenti fronteggiabile: ma ciò non significa che la prescrizione rivolta al conducente sia destinata a non operare solo perché la collisione si verifichi, anziché all'ingresso dell'intersezione, in fase di esecuzione e di completamento della manovra di attraversamento del crocevia. In altri termini, l'illecito amministrativo che si realizza per l'inosservanza di quel precetto non dipende dal punto in cui accade l'incidente: anche una collisione verificatasi, come nella specie, quando l'area di intersezione stia per essere interamente attra­versata può dare la dimostrazione del fatto che, avvi­cinandosi all'intersezione, il conducente non ha osser­vato il precetto della massima prudenza impostogli dal codice della strada.
5. - Il secondo motivo è inammissibile.
5.1. - È una questione di merito stabilire se il ri­corrente, approssimandosi all'intersezione, adottò la prudenza richiesta: la ricostruzione della modalità dell'incidente e, quindi, del comportamento dei con­ducenti coinvolti nello stesso, essendo una questione di fatto, rientra nei poteri del giudice di merito e, come tale, è insindacabile in sede di legittimità, se adegua­tamente motivata.
5.2. - Nella specie, la sentenza impugnata, con mo­tivazione immune da censure rilevabili in questa, è pervenuta alla conclusione che il ricorrente, nell'av­vicinarsi all'intersezione, non servita da alcun segnale (né verticale, né orizzontale) tra la via Osanna e la via Silone nel Comune di San Pancrazio Salentino, non usò le dovute cautele; ed ha tratto tale convincimento dal fatto che l'entità dei danni riportati dai veicoli coinvolti nell'incidente e descritti nel rapporto del Co­mando della Polizia municipale di San Pancrazio Sa­lentino denotava che ambedue i veicoli non avevano tenuto una velocità adeguata.
5.3. - Il motivo di censura si risolve in una inam­missibile richiesta di revisione del ragionamento decisorio, ossia dell'opinione che ha condotto il giudice del merito alla soluzione della questione esaminata, evidente apparendo come il ricorrente, lungi dal pro­spettare alcun vizio rilevante della sentenza impugnata sotto il profilo di cui all'art. 360, primo comma, n. 5), C.p.c., si limiti ad invocare - genericamente richia­mando, senza il rispetto del principio di autosuffi­cienza del ricorso, le fotografie riproducenti la posi­zione delle autovetture subito dopo la collisione, la planimetria dell'incidente allegata al rapporto redatto dalla polizia municipale e la deposizione di uno degli agenti verbalizzanti - una diversa lettura delle risul­tanze di fatto sì come accertate e ricostruite dal giudice di merito.
La censura omette di considerare che tanto la va­lutazione delle risultanze probatorie, quanto il giudi­zio sul contenuto e sulla portata dellequaestiones facti poste dalle singole fattispecie sottoposte al vaglio del giudice di merito - così come la scelta, fra le varie ri­sultanze probatorie, di quelle ritenute più idonee a sor­reggere la motivazione - involgono apprezzamenti ri­servati in via esclusiva al giudice del merito, il quale, nel fondare la propria decisione, non incontra altro li­mite che quello di indicare le ragioni del proprio con­vincimento, senza essere peraltro tenuto ad affrontare e discutere ogni singola risultanza processuale ovvero a confutare ogni e qualsiasi deduzione difensiva.
È principio di diritto ormai consolidato (cfr., ex multis, Cass., sez. III, 28 luglio 2005, n. 15805) quello per cui 1'art. 360, primo comma, n. 5), c.p.c. non con­ferisce in alcun modo e sotto nessun aspetto della Corte di cassazione il potere di riesaminare il merito della causa, consentendole, per converso, il solo con­trollo, sotto il profilo logico-formale e della corret­tezza giuridica, delle valutazioni compiute dal giudice del merito, al quale soltanto - va ripetuto - spetta 1'individuazione delle fonti del proprio convincimento va­lutando le prove, controllandone l'attendibilità e la concludenza, scegliendo, tra esse, quelle funzionali alla dimostrazione dei fatti in discussione.
Nella specie il ricorrente, pur denunciando, appa­rentemente, una deficiente motivazione della sentenza del giudice di pace, inammissibilmente (perché in con­trasto con gli stessi limiti morfologici e funzionali del giudizio di legittimità) sollecita una nuova valutazione delle risultanze del processo ad opera di questa Corte, onde trasformare il processo di cassazione in un giu­dizio di merito, nel quale ridiscutere analiticamente il contenuto di fatti e vicende del processo, la maggiore o minore attendibilità di questa o di quella risultanza processuale, le opzioni del giudice di merito non gra­dite e per ciò solo censurate al fine di ottenerne la so­stituzione con altre più consone alle aspettative della parte.
E si duole, ancora inammissibilmente, della man­cata ammissione di una consulenza tecnica sulla dina­mica del sinistro, senza indicare in quale atto del giu­dizio di merito l'accertamento peritale fu sollecitato (cfr. Cass., sez. III, 12 maggio 2000, n. 6115) e senza neppure considerare che quando, come nella specie, il giudice del merito disponga di elementi istruttori e di cognizioni proprie, integrati da presunzioni e da no­zioni di comune esperienza, sufficienti a dar conto della decisione adottata, non può essere censurato il mancato esercizio del potere discrezionale di quel giu­dice di disporre la consulenza tecnica (da ultimo, Cass., sez. III, 27 ottobre 2004, n. 20814).
6. - Il ricorso è rigettato.
Nessuna statuizione deve essere emessa sulle spese del giudizio di cassazione, in assenza di attività difen­siva da parte delle amministrazioni intimate. (Omissis)

giovedì 20 settembre 2012

Il nuovo appello filtrato: riflessioni sulla ragionevole probabilità di accoglimento

Il nuovo appello filtrato: riflessioni sulla ragionevole probabilità di accoglimento 
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1. Le novità sull’appello.
In data 11.08.2012 è stata pubblicata in Gazzetta Ufficiale la Legge n. 134 del 7.08.2012 di conversione in legge, con modificazioni, del decreto-legge 22 giugno2012, n. 83, recante misure urgenti per la crescita del Paese. La riforma, per quello che riguarda l'appello, sarà applicabile ai giudizi di appello introdotti con ricorso depositato o con citazione di cui sia stata richiesta la notificazione dal trentesimo giorno successivo a quello di entrata in vigore della legge di conversione: pertanto dal giorno 11.9.2012. La novità più dirompente è probabilmente una sorta di udienza filtro: il nuovo appello è filtrato, ovvero sottoposto ad un filtro circa la ragionevole probabilità di accoglimento; il ricorso è dichiarato inammissibile con ordinanza non reclamabile quando non ha una ragionevole probabilita' di essere accolto. Fermo restando, si badi bene, la necessità codificata (all’art. 348 ter c.p.c.) di ascoltare le parti[1] - sul punto - all’udienza ex art. 350 c.p.c.

2. Il funzionamento del filtro
 La normativa de qua (Legge n. 134 del 7.08.2012) innova principalmente, ai fini che qui interessano, l’atto di appello, nonché il procedimento inerente la fase domanda-prima udienza. Vengono aboliti gli “specifici motivi” richiesti in appello; con la riforma serve la motivazione dell’appello stesso: la motivazione dell'appello deve contenere, a pena di inammissibilita': - l'indicazione delle parti del provvedimento che si intende appellare e delle modifiche che vengono richieste alla ricostruzione del fatto compiuta dal giudice di primo grado; - l'indicazione delle circostanze da cui deriva la violazione della legge e della loro rilevanza ai fini della decisione impugnata. In tema di prove nuove, viene eliminato il riferimento all’indispensabilità[2]: oggi l’ingresso di prove nuove è ammissibile solo ove la parte dimostri di non aver potuto proporli o produrli nel giudizio di primo grado per causa ad essa non imputabile. La novità più dirompente, però, si ribadisce, emerge dalla lettera del nuovo art. 348 bis c.p.c.: fuori dei casi in cui deve essere dichiarata con sentenza l'inammissibilita' o l'improcedibilita' dell'appello, l'impugnazione e' dichiarata inammissibile dal giudice competente quando non ha una ragionevole probabilita' di essere accolta. Tale enunciazione non vale per le cause in cui è obbligatoria la presenza del pubblico ministero e nel grado di appello[3] ad ordinanza decisoria conclusiva di rito sommario di cognizione. All'udienza di cui all'articolo 350 c.p.c. il giudice, prima di procedere alla trattazione, sentite le parti, dichiara inammissibile l'appello, a norma dell'articolo 348 bis, comma 1° c.p.c., con ordinanza succintamente motivata, anche mediante il rinvio agli elementi di fatto riportati in uno o piu' atti di causa e il riferimento a precedenti conformi. Quando e' pronunciata l'inammissibilita', contro il provvedimento di primo grado puo' essere proposto, a norma dell'articolo 360 c.p.c., ricorso per Cassazione. In tal caso, il termine per il ricorso per Cassazione avverso il provvedimento di primo grado decorre dalla comunicazione o notificazione, se anteriore, dell'ordinanza che dichiara l'inammissibilita'. L'ordinanza di inammissibilita' e' pronunciata solo quando sia per l'impugnazione principale che per quella incidentale di cui all'articolo 333 c.p.c. ricorrono i presupposti di cui al primo comma dell'articolo 348 bis c.p.c.; in mancanza, il giudice procede alla trattazione di tutte le impugnazioni comunque proposte contro la sentenza; in pratica: o entrambe le impugnazioni sono inammissibili, così da dichiarare l’inammissibilità, oppure deve essere dichiarata l’ammissione (in caso di ammissibilità solo di una impugnazione); non c’è spazio per l’inammissibilità parziale. Tutto quanto detto vale anche per il rito del lavoro. 
2.1. Le prime reazioni della dottrina La dottrina si è subito mostrata molto critica sul filtro in appello, diversamente dalla magistratura che avrebbe voluto un filtro anche più chiuso[4]. Alcuni[5] si sono chiesti se sia davvero possibile pretendere dal collegio giudicante una capacità di selezionare, a colpo d’occhio, gli appelli seri dagli altri: è realistico auspicare e pretendere che alla prima udienza si possa, da un giudice collegiale, in un mare di gravami malamente fascicolati, con infallibile e subitaneo colpo d’occhio, di cui è rara finora la evidenza proprio in appello, secernere gli appelli privi di serietà dagli altri? L’immediata ricorribilità della sentenza di primo grado provocherà un ulteriore appesantimento del carico di lavoro della Corte di cassazione, già sovraccarica oltre misura[6]; il parametro di giudizio che l’impugnazione non abbia una “ragionevole probabilità di essere accolta” concede un margine di apprezzamento eccessivo al giudice dell’impugnazione, poiché gli consente di dichiarare inammissibile un’impugnazione che pur abbia una probabilità di essere accolta, sol che questa probabilità sia a suo giudizio non “ragionevole[7]”. Non si sa bene che cosa ciò significhi in via generale ed astratta. Lo si potrà sapere solo dopo aver letto la succinta motivazione dell’ordinanza che reca questo giudizio[8]. Per altra dottrina[9], la riforma del filtro indurrà “ragionevolmente” i giudici a comportarsi come hanno sempre fatto, così in concreto non tenendo conto della novella: non ci si può esimere dall’osservare che i giudici di appello, già sommersi di lavoro in conseguenza dell’inutile e dannosa introduzione generalizzata del giudice unico di primo grado, non trarranno dalle nuove norme particolari benefici. Infatti, per poter decidere alla prima udienza e preliminarmente alla trattazione se l’appello non ha una ragionevole probabilità di essere accolto, dovranno studiarsi a fondo subito tutte le cause perché solo così potranno delibare quella ragionevole “possibilità” e provvedere in conseguenza. E’ facile, pertanto, prevedere che, salvo casi limite di mera scuola, quei giudici non applicheranno mai la nuova norma e salteranno a piè pari l’ordinanza succintamente motivata continuando ragionevolmente a comportarsi come al solito. 

3. Ragionevole probabilità di accoglimento 
Per andare avanti nel giudizio di appello, bisogna superare uno “scoglio prognostico”, consistente in un giudizio sulla probabilità di accoglimento. Tale giudizio è effettuato dal collegio giudicante, ovvero dal monocratico (ad esempio nei casi di appello a sentenza del giudice di pace); ciò è desumibile dall’art. 341 c.p.c. nonché dall’inciso “giudice competente” di cui al nuovo art. 348 bis c.p.c. perché si parla di “giudice” e non “collegio”. Il giudice si pronuncia sulla questione della ragionevole probabilità, tramite ordinanza succintamente motivata, anche mediante il rinvio agli elementi di fatto riportati in uno o piu' atti di causa e il riferimento a precedenti conformi; quest’ultima non è impugnabile, essendo previsto – al più – che dalla data (della comunicazione o notificazione) dell’ordinanza suddetta decorra il termine per proporre ricorso per Cassazione, fermo restando il dies ad quem decadenziale fissato dall’art. 327 c.p.c. Cosa si intende, però, con “ragionevole probabilità di essere accolta”? Sono ipotizzabili almeno quattro impostazioni diverse per rispondere: -la tesi della probabilità giurisprudenziale; -la tesi dei due terzi; -la tesi della ragionevolezza; -la tesi (preferibile) del fumus boni iuris rafforzato. 
3.1. La tesi della probabilità giurisprudenziale
E’ difficile dare una risposta al quesito posto in quanto nel codice non vi sono altri casi in cui il legislatore ha inserito l’inciso “ragionevole probabilità di essere accolta”. Una possibile interpretazione potrebbe essere data utilizzando il contesto giurisprudenziale rapportato al momento in cui si presenta la domanda: una pretesa sostanziale può essere di probabile accoglimento, laddove emergano altre pronunce giurisprudenziali di segno positivo; un precedente conforme a ciò che si chiede, insomma. Se così fosse, allora, al fine di superare il vaglio dell’ammissibilità bisognerà - nell’atto introduttivo dell’appello - evidenziare la presenza, preferibilmente a livello di giurisprudenza nomofilattica, di un precedente in linea con le pretese vantate, purchè riferibile ad un caso analogo: un atto giudiziario impostato tenendo conto sia della normativa e sia dalla giurisprudenza; un atto strutturato “un po’ alla common law ed un po’ alla civil law”. A favore di questa ricostruzione, che sostanzialmente traduce l’inciso “ragionevole probabilità di essere accolta” in una sorta di probabilità giurisprudenziale àncorata ai precedenti. depongono i rilievi che: -si parla di “ragionevole probabilità” di accoglimento, per cui ben si potrebbe utilizzare il quadro giurisprudenziale precedente per calcolare la presenza di probabilità (intorno al 60% di accoglimento perché è scritto “ragionevole probabilità” e non “possibilità”); se su 100 sentenze, 60 danno ragione all’istante (almeno come precedente utilizzabile per analogia come argomento per indurre il giudice competente ad un giudizio prognostico positivo), allora potrebbero esserci probabilità di accoglimento; -nel nuovo art. 348 ter c.p.c. è data la possibilità di motivare utilizzando precedenti conformi, così inducendo legittimamente l’interprete a ritenere che ben possa farsi riferimento ai precedenti, almeno ai fini della ragionevole probabilità di accoglimento; -la probabilità è essenzialmente un concetto statistico; -la ragionevolezza della probabilità ben può essere collegata a precedenti; è ragionevole la probabilità, e non meramente ipotetica o teorica o residuale, in virtù di un precedente conforme. Tuttavia tale tesi non persuade del tutto in ragione: -della lettera della legge, laddove si parla di “una ragionevole probabilità”; non sono necessarie, cioè, diverse probabilità di accoglimento, ma ne basta una; una sola probabilità, purchè ragionevole, deve essere ritenuta sufficiente al fine del superamento dello “sbarramento del filtro”; -della lettera della legge visto che si scrive “ragionevole probabilità” così non riferendosi solo al quadro giurisprudenziale, ma potendosi riferire – ed anzi, a maggior ragione – alle norme, trovandoci in un sistema di vincolatività delle stesse e non del precedente giurisprudenziale (common law).
3.2. La tesi dei due terzi 
Altra possibile decodificazione potrebbe essere realizzata ponendo attenzione al numero dei giudici componenti il collegio: la ragionevole probabilità potrebbe sussistere quando i due terzi del collegio giudicante ritengano fondata la questione, almeno in via logica, “guardando” la documentazione ed ascoltando le parti alla prima udienza. Pertanto, ragionevole probabilità potrebbe essere intesa nel senso che la maggior parte dei componenti il collegio debba dare prognosi favorevole. A sostegno di tale “sistema” di calcolo della ragionevole probabilità si osserva che: -si deve trattare di una probabilità e non semplice possibilità; sotto questo profilo, l’adesione alla richiesta processuale da parte dei due terzi i componenti il collegio è una probabilità e non possibilità; -sussiste la ragionevolezza, in quanto ci si lega alla posizione di magistrati togati che devono motivare, seppur in modo succinto, la pronuncia di inammissibilità (ordinanza succintamente motivata, anche mediante il rinvio agli elementi di fatto riportati in uno o piu' atti di causa e il riferimento a precedenti conformi). Anche tale ricostruzione non può ritenersi esente da rilievi critici almeno per le seguenti ragioni: -è pretesa dal legislatore “una” ragionevole probabilità e non “ragionevoli probabilità”, con la conseguenza logica che, pur a voler accogliere il sistema ipotizzato, dovrebbe ritenersi sufficiente il giudizio prognostico favorevole di un terzo del collegio e non dei due terzi; -àncorarsi al collegio rende inapplicabile il suddetto sistema nei casi di giudice monocratico ed il nuovo appello c.d. filtrato, si ritiene, ben può estendersi alle impugnazioni delle sentenze del giudice di pace di competenza del tribunale monocratico, visti gli articoli 341 e 348 bis c.p.c., laddove ci si riferisce al “giudice competente”. 
3.3. La tesi della sola ragionevolezza 
 Ulteriore possibile ricostruzione pone l’accento esclusivamente sulla ragionevolezza: se la domanda proposta è ragionevole, allora ha una probabilità di essere accolta. E’ ragionevole la domanda che contiene un’adeguata motivazione, richiesta espressamente all’art. 342 c.p.c. che ha eliminato il riferimento all’esposizione sommaria dei fatti ed alla specificità dei motivi. In favore di questa possibile ricostruzione, depongono i dati che: -all’art. 348 bis c.p.c. è richiesta la ragionevolezza; -il nuovo art. 342 c.p.c. pretende la motivazione dell’atto e non più esposizione sommaria dei fatti unitamente a specifici motivi; la modifica in favore della motivazione potrebbe essere letta come volontà di far passare dal filtro dell’inammissibilità solo l’atto motivato congruamente. Pure questa ricostruzione non convince totalmente; ciò in quanto la ragionevolezza pretesa dall’art. 348 bis c.p.c. è accompagnata alla probabilità; pertanto, non può essere letta in modo isolato, a pena di vulnus alla lettera della legge. 
3.4. La preferibile tesi del fumus boni iuris rafforzato 
 Si ritiene che l’opzione interpretativa preferibile sia quella che tende ad associare la ragionevole probabilità al fumus boni iuris, comunemente richiamato in tema di misure cautelari[10]. L’art. 348 bis c.p.c. recita testualmente che l'impugnazione e' dichiarata inammissibile dal giudice competente quando non ha una ragionevole probabilita' di essere accolta. La ragionevole probabilità ben potrebbe essere associata al requisito del fumus boni iuris, strumentalmente necessario ai fini dell’emissione di un’ordinanza cautelare: per lo più, il fumus boni iuris viene definito come l'apparenza del diritto a salvaguardia del quale si intende richiedere la tutela, la cui sussistenza deve apparire come verosimile e probabile alla luce degli elementi di prova esistenti prima facie; id est: il diritto preteso deve apparire come verosimile, alla luce degli elementi di prova sussistenti; la valutazione è sommaria, intendendo con ciò allo stato delle produzioni documentali presentate. Ebbene, lo stesso avviene nell’ambito della ragionevole probabilità di accoglimento: il giudice competente valuta se sussiste una sola probabilità di accoglimento, ed in caso di giudizio prognostico positivo, il filtro dell’inammissibilità è superato. Rispetto al fumus boni iuris, però, è preteso qualcosa in più: non solo la ragionevolezza, ma anche – se non soprattutto – una probabilità; non solo possibilità, ma probabilità che è qualcosa in più sul piano statistico. Il fumus boni iuris si accontenta della parvenza del diritto, ovvero della sua credibilità o ragionevole esistenza[11] rapportata al singolo caso[12], oppure addirittura un’opinione di credibilità[13]; diversamente, la ragionevole probabilità pretende un quid pluris statistico. Esemplificativamente: se nel collegio giudicante nessun giudice ritiene fondata la domanda, allora questa avrà sì la possibilità di essere accolta nel merito, ma è improbabile; diversamente, se nel collegio giudicante un giudice su tre ritiene fondata la domanda, allora sussisterà una probabilità di accoglimento, con la conseguenza pratica che la domanda dovrà superare il filtro dell’inammissibilità. A favore di questa ricostruzione, ritenuta qui preferibile, emergono i rilievi che: -è sufficiente una sola probabilità di successo, visto che è scritto che la domanda è dichiarata inammissibile quando “non ha una ragionevole probabilita' di essere accolta”, ex art. 348 bis c.p.c.; -il giudizio è prognostico circa quello che potrebbe accadere nel merito, al pari di quanto avviene in sede cautelare circa lo scrutinio sul fumus boni iuris; così anche il filtro dell’inammissibilità presenterebbe i caratteri della sommarietà e strumentalità, proprio come avviene per le misure cautelari[14]; -è pretesa una probabilità e non semplice possibilità; pertanto l’atto di appello dovrà cercare di indicare tale probabilità, facendo leva sui dati normativi, sulle prove, sulla contradditorietà della pronuncia di primo grado, sulla sussistenza di precedenti giurisprudenziali, ecc.; tra l’altro, parte della giurisprudenza[15], anche ai fini del riconoscimento del fumus boni iuris, suole parlare di ragionevole probabilità. -i precedenti giurisprudenziali possono essere utilizzati come argomento di convincimento, visto che l’art. 348 ter c.p.c. espressamente ammette la motivazione, seppur succinta, fondata su un mero rinvio a precedenti – al plurale[16] – conformi, così legittimando a pieno la c.d. motivazione per relationem. 

4. Quando non si applica il filtro
casi codificati ed impliciti Il filtro de quo non si applica, ex art. 348 bis c.p.c., quando è proposto per le cause in cui è necessario l’intervento del Pubblico Ministero, ex art. 70 c.p.c., e quando si appella un’ordinanza decisoria a rito sommario di cognizione, ex art. 702 quater c.p.c. Accanto ai suddetti casi codificati, però, si ritiene ben possano sussistere altri casi, per così dire impliciti in cui non è predicabile il filtro e tantomeno la c.d. udienza filtro. I possibili casi di inapplicabilità del filtro, in via implicita sono almeno: -quando il giudice pronuncia con sentenza l’inammissibilità (ad esempio in quanto l’atto è tardivo); -quando viene dichiarata con sentenza l’improcedibilità (ad esempio per costituzione tardiva dell’appellante); -quando proposti appello principale ed incidentale, solo uno di questi non ha ragionevole probabilità di accoglimento; in tal caso, il giudice procede alla trattazione di tutte le impugnazioni comunque proposte contro la sentenza ex art. 348 ter c.p.c. 

5. Il nuovo atto di appello 
L’atto di appello legato all’esposizione sommaria dei fatti ed a motivi specifici è tramontato. Nel dettaglio, l’art. 342 c.p.c., prima della novella del 2012, recitava che l’atto di appello - del tipo citazione per il rito ordinario – dovesse contenere: -l’esposizione sommaria dei fatti; -i motivi specifici dell’impugnazione; -tutti gli altri requisiti previsti all’art. 163 c.p.c. Il nuovo art. 342, post novella del 2012, recita che, sempre accanto ai requisiti di cui all’art. 163 c.p.c., è richiesto che l’appello: -sia motivato; -contenga, a pena d’inammissibilità, l'indicazione delle parti del provvedimento che si intende appellare e delle modifiche che vengono richieste alla ricostruzione del fatto compiuta dal giudice di primo grado; -contenga, a pena d’inammissibilità, l'indicazione delle circostanze da cui deriva la violazione della legge e della loro rilevanza ai fini della decisione impugnata. Pertanto, emerge che prima era richiesta l’esposizione sommaria dei fatti[17], mentre post novella bisogna indicare esattamente al giudice le parti appellate e le modifiche richieste: non va indicato solo quello che non va, ma anche come dovrebbe andare. Inoltre vanno indicate le circostanze da cui deriva la violazione di legge, unitamente alla loro rilevanza pratica: non più solo vulnus a legge, ma anche rilevanza di tale vulnus sul piano pratico; non una critica formale, ma utilitaristica, insomma. L’appellante dovrà subito specificare quali aspetti della sentenza contesta; non basterà l’indicazione del capo o della statuizione del dispositivo, ma dovranno essere indicate anche le parti di motivazione che si vogliono mettere in discussione; se l’impugnazione vorrà colpire la sentenza in tutte le sue parti, allora non basterà il riferimento generico a tutti i contenuti della stessa[18]. Tutto l’atto va motivato. Si è passati dagli specifici motivi alla motivazione dell’atto; cosa sottende questa modifica? Probabilmente, dopo le novità introdotte nel 2012 l’atto dovrà essere più organico, più strutturato come una sentenza, tant’è vero è che solitamente è nella sentenza che si parla di motivazione e non nell’atto. D’altronde, al giudice va “pure suggerito cosa scrivere” perché la norma esige che siano indicate le modifiche richieste a proposito del fatto; l’atto diviene di più un corpus unitario.

6. Conclusioni 
La riforma è di significativo impatto perché incide sul procedimento, inserendo l’udienza filtro, e sul tipo di atto, essendo oggi pretesi meno riferimenti al fatto e la precisazione circa la rilevanza di quanto si critica ai fini della decisione. Per il filtro dell’inammissibilità, la tesi del fumus boni iuris rafforzato appare la meno criticabile in quanto più coerente con il dato letterale. Poi, vi è da dire che è interesse anche dell’appellante fare presto, pur a costo di subire un’ordinanza di inammissibilità perché se davvero l’esito del giudizio “è già scritto” (ammesso che esista un esito già determinato a monte…), allora è bene saperlo subito…salvo la difficoltà enorme (verrebbe da dire: ragionevole) di spiegare al cliente come l’appello redatto non aveva “una probabilità di essere accolto”. Da un certo punto di vista, poi, si è passati dagli “specifici motivi” alla “motivazione”…forse… al fine di “quasi” proporre al giudicante una bozza di sentenza. Comunque: dura lex, sed lex…..però…speriamo bene …e che non si abusi dell’ordinanza d’inammissibilità non impugnabile…

 (Altalex, 20 agosto 2012. Articolo di Luigi Viola) [1] In sede di conversione, all’art. 348 ter c.p.c. è stato inserito l’inciso “sentite le parti”. [2] Per approfondimenti sulla nozione di indispensabilità, VIOLA, Le domande nuove inammissibili nel processo civile, Milano, 2012, 241; CONSOLO, Il processo di primo grado e le impugnazioni della sentenza, Padova, 2009, 121; PROTO PISANI, La nuova disciplina del processo civile, Napoli, 1991, 213; MANDRIOLI, Diritto processuale civile, II, Torino, 2009, 472; RUFFINI, La prova nel giudizio civile di appello, Padova, 1997, 285. [3] L’appello ad ordinanza decisoria, ex art. 702 quater c.p.c., deve essere presentato nella forma dell’atto di citazione. Corte di Appello di Roma, 11.5.2011, in ilProcessoCivile.com, 74, 2011 afferma che l’appello, ex art. 702quater c.p.c., ad ordinanza decisoria si propone con citazione e non con ricorso. Il giudizio di appello contro l'ordinanza di accoglimento conclusiva del procedimento sommario di cognizione è retto dalla disciplina ordinaria dell'appello, per quanto l'art. 702-quater c.p.c. nulla di diverso dispone in proposito: ciò vuol dire anzitutto che il giudizio di appello delineato dall'art. 702-quater c.p.c. rimane, come di regola, una revisio prioris istantiae fondata sulla deduzione di specifiche doglianze connotate dal requisito di specificità di cui all'art. 342 c.p.c. Sicché, se il giudice di primo grado non è incorso in errori, non è pensabile che la sua decisione debba essere ribaltata. E dunque la sola reale peculiarità dell'art. 702 quater c.p.c, con riguardo all'attività istruttoria, è la previsione della delega dell'assunzione dei mezzi di prova ad uno dei componenti del collegio. [4] Si legge nella delibera consiliare del 5.7.2012 del Consiglio Superiore della Magistratura, Parere sulle disposizioni concernenti l'amministrazione della giustizia contenute nello schema di decreto legge recante misure urgenti per la crescita sostenibile (cd. decreto sviluppo), che gli artt. 348 bis e ter c.p.c. consentono di dichiarare inammissibile l’appello sol perché esso abbia una probabilità non ragionevole di essere accolto. L’approccio interpretativo radicalmente negativo - connesso soprattutto al timore di un utilizzo assai spregiudicato della formula legislativa della ragionevole probabilità anche al fine di ridurre il carico dei ruoli - sembra eccessivo. Il possibile rischio è semmai quello opposto che la riforma possa avere una limitata, se non scarsa, applicazione. Il vice presidente del C.s.m. Michele Vietti, in una lettera al Corriere della Sera del 25.7.2012, ha scritto che la riforma proposta si ispira al sistema tedesco che, lungi dall'essere «folle», garantisce buoni risultati in termini di durata delle cause e di affidabilità delle decisioni. [5] CONSOLO, Lusso o necessità nelle impugnazioni delle sentenze, in Judicium.it., 2012. [6] CAPONI, La riforma dell’appello civile dopo la svolta nelle commissioni parlamentari, in Judicium.it, 2012. [7] CAPONI, già cit. [8] CAPONI, già cit. [9] MONTELEONE, Il Processo civile in mano al governo dei tecnici, in Judicium.it, 2012. [10] Per approfondimenti sulle misure cautelari, si vedano almeno CIPRIANI, Procedimento cautelare, regolamento di giurisdizione e riforma del processo civile, in GI, 1995; MERLIN, Procedimenti cautelari ed urgenti in generale, in Digesto civ., XIV, Torino, 1996; SALVANESCHI, in TARZIA (a cura di), Il nuovo processo cautelare, Padova, 1993; Siracusano, sub art. 669 bis, in PICARDI (a cura di), Codice di procedura civile, Milano, 2000; TARZIA, Il nuovo processo cautelare, Padova, 1993; CONSOLO, LUISO, Codice di procedura civile commentato, Milano, 2000; OBERTO, Il nuovo processo cautelare, Milano, 1992; FERRI, Decreto cautelare inaudita altera parte in corso di causa e mancata fissazione dell'udienza per la conferma modifica o revoca, nota a T. Aquila 31.10.2002, in GM, 2003; CARPI, TARUFFO, Commentario breve al codice di procedura civile, Padova, 1999; RICCI, La riforma del processo civile, Torino, 2009; BALENA, La disciplina del procedimento cautelare uniforme, in BALENA, BOVE, Le riforme più recenti al processo civile, Bari, 2006; PILONI, Rimedi giudiziali esperibili in sede di attuazione dei provvedimenti cautelari, in Esecuzione forzata, 2005, 4. [11] FIORUCCI, I provvedimenti d’urgenza ex art. 700 c.p.c., Milano, 2009, 112. [12] LUISO, Diritto processuale civile, IV, Milano, 2011, 186. [13] Così sostiene Liebman. [14] PROTO PISANI, La nuova disciplina del processo civile, Napoli, 1991, 376. [15] Cass. civ. Sez. II, 22-11-2004, n. 22026. [16] Alla lettera un solo precedente dovrebbe ritenersi insufficiente, poiché è utilizzato il plurale e non il singolare. [17] Tale previsione appare coerente con l’art. 132 c.p.c. che, con la novella del 2009, ha subito una significativa restrizione circa la narrazione del fatto in sentenza. [18] TONA, La citazione dovrà andare subito al solo, in Il Sole24Ore del 6.8.2012, n. 216, 6.