mercoledì 28 marzo 2012

Sinistro, strada ghiacciata, ANAS, responsabilità oggettiva, prova Cassazione civile , sez. III, sentenza 22.02.2012 n° 2562

SUPREMA CORTE DI CASSAZIONE

SEZIONE III CIVILE

Sentenza 20 gennaio – 22 febbraio 2012, n. 2562

(Presidente Finocchiaro – Relatore Uccella)

Svolgimento del processo

Il Tribunale di Alba il 2 giugno 2007 rigettava la domanda proposta da A. L. Z. F. e M.P. s.n.c. nella loro qualità, rispettivamente di moglie e figlio ed eredi e datore di lavoro di Z. L., che era deceduto mentre, percorrendo la strada statale n. 231- Asti-Cuneo il 5 gennaio 2003, improvvisamente sbandava e, sfondando il guard-rail, precipitava nel vuoto.

La domanda fu proposta contro l’ANAS per sentirla condannare o ex art. 2051 c.co., in subordine ex art.2043 c.c. al risarcimento dei danni, conseguenti alla morte dello Z. L.

Su gravame degli attori la Corte di appello di Torino il 3 agosto 2009, riformava parzialmente la sentenza di primo grado e condannava l'ANAS al pagamento di euro 88.187,20 per ciascuno dei congiunti del de cujus, con interessi legali dalla sentenza al soddisfo; con condanna alle spese del grado; rigettava l’appello della M.P. e compensava, invece, le spese tra la M.P. e l’Anas.

Avverso siffatta decisione propone ricorso per cassazione l’ANAS, affidandosi a cinque motivi.

Resistono con controricorso A.L., Z.F. e la M.P., che eccepiscono, tra l’altro la inammissibilità del ricorso ex art. 360 bis c.p.c.

Le parti costituite non hanno depositato memoria.

Motivi della. decisione

In via preliminare, nell’esaminare la eccezione dei resistenti, il Collegio ritiene che non ricorre nel caso in esame l’applicabilità dell’art.360 bis c.p.c., in quanto dal ricorso si evince che è in discussione l'art. 2051 c.c., quale ricevuto dal giudice dell'appello.

Ancora in via preliminare, va osservato che ad avviso di questo collegio, investito della questione dalla stessa ricorrente, non è applicabile l’art. 327 c.p.c., cosi come modificato dall'art.46 n. 17 della legge 18 giugno 2009 n.69, in quanto non richiamato nell'art.58 della stessa legge (Disposizioni transitorie), il cui comma 1 prevede l'applicazione delle disposizioni di cui alla presente legge ai giudizi instaurati dopo la sua entrata in vigore, fatta eccezione per le controversie nelle quali il provvedimento impugnato con il ricorso per cassazione sia, tra l’altro, depositato successivamente alla entrata in vigore della legge, ma in relazione a quanto previsto nell’art. 47 di essa.

1.- Con i primi due motivi (violazione e falsa applicazione degli artt.2051 e 2697 c.c. in relazione all'art.360 comma l n.3 c.p.c. e sotto altro profilo in relazione all'art. 360 comma 1 n. 3 c.p.c.), in estrema sintesi, l''ANAS si duole dell'applicazione fatta dal giudice dell'appello dell'art.2051 c.c.

Trattandosi di sinistro avvenuto su strada pubblica di ampia estensione dovute ad evento esterno alla strada e/o alle sue pertinenze (nevicata intensa e conseguente strato di ghiaccio) il danneggiato avrebbe dovuto provare il nesso causale tra la cosa in custodia e l’evento dannoso e, comunque, si era verificato un caso fortuito idoneo ad esentare da responsabilità la esponente, con responsabilità, invece, esclusiva del danneggiato.

2.-In punto di fatto e per una migliore comprensione della vicenda, va detto che il giudice dell'appello ha accertato che il sinistro si era verificato su strada statale " in una situazione in cui non ricorrono le figure sintomatiche di effettiva sussistenza del potere di custodia (strade comunali e autostrade)".

Dalle deposizioni testimoniali è risultato che la strada era estremamente ghiacciata al punto che due testi – T. e A. – il pomeriggio precedente il sinistro si erano recati a spargere miscela di sale e sabbia, che, però, non era risultata fruttuosa, al punto che altri testi hanno dichiarato che la strada era impenetrabile.

Le testimonianze risultarono confermate dal rapporto dei carabinieri intervenuti subito dopo il sinistro.

L’incidente si era verificato perché alla guida del mezzo pesante, la notte (ore 3.30) lo Z., malgrado la situazione obbiettiva dovuta alla presenza di ghiaccio, avrebbe proceduto ad una velocità inferiore ai 60/Kmh, ma senza tener conto della presenza di cartelli che non solo prevedevano un limite di 50/Kmh e sulla rampa di decelerazione 40/Kmh, ma nemmeno del cartello che indicava il pericolo in caso di nebbia o ghiaccio.

In tal modo ricostruita la situazione di fatto il giudice d’appello ha ritenuto:

a) applicabile anche all’ANAS l’art. 2051 c.c., in quanto proprietaria e gestore della strada pubblica alla luce della più recente giurisprudenza di questa Corte;

b) che l’ANAS non avesse dimostrato di avere usato la diligenza che il caso richiedeva, ovvero di avere adottato tutte le misure necessarie ed idonee a prevenire ed impedire la produzione di danni a terzi (con richiamo a Cass. n. 3651/06);

c) che, trattandosi di responsabilità oggettiva, questa resta esclusa soltanto dal caso fortuito, che attiene non già ad un comportamento del responsabile, bensì al profilo causale dell’evento, riconducibile non alla cosa (che ne è fonte immediata), ma ad un elemento esterno, recante i caratteri dell’oggettiva imprevedibilità ed inevitabilità e che può essere costituito anche da fatto del terzo o del danneggiato (richiamo a Cass. n.15383/06).

3.-Poste queste premesse logico-giuridiche, il giudice a quo ha poi sottolineato che l’ente gestore quale in questo caso l’ANAS, non aveva provato il caso fortuito, ossia non aveva provato di avere espletato, con la diligenza adeguata alla natura e alla funzione della cosa in relazione alla situazione concretamente verificatasi ed esistente, tutte le attività di controllo, vigilanza e manutenzione su di essa gravanti in base a specifiche prescrizioni normative (nel caso art. 14 Cds) e non già del principio del neminem laedere.

In sintesi, l’ANAS non aveva provato di avere fatto tutto il possibile per provvedere alla funzionalità della strada, che si era coperta dello strato di ghiaccio.

Pertanto, e condividendosi l’orientamento interpretativo fatto proprio dal giudice a quo e che va ribadito, come, peraltro, confermato da successive decisioni (Cass. 8157/09; Cass. n. 24419/09; Cass. n. 12695/10), la violazione di cui all’art. 2051 c.c., sotto entrambi i profili denunciati nei due motivi non è rinvenibile nella specie.

E solo per completezza va detto che, per il caso in esame, l’argomentare del giudice d’appello, confortato da dati fattuali e processuali, nonché dall’indirizzo interpretativo seguito dalla Corte territoriale e condiviso dal Collegio, non si pone in contrasto con altro orientamento che se ha ritenuto sussistere il “caso fortuito” quando il tratto di strada su cui si è verificato l’evento dannoso non era oggetto di custodia da parte dell’ANAS o questa non aveva contribuito a renderlo pericoloso con la sua attività.

Infatti quell’orientamento precisa che l’oggettiva impossibilità della custodia non sussiste quando l’evento dannoso si è verificato su un tratto di strada che in quel momento, come nella specie, era in concreto oggetto di custodia (Cass n. 9546/10).

4.-Né, ad avviso del Collegio, si rinviene una insufficiente e/o contraddittoria motivazione su di un punto decisivo della controversia (art. 360 comma 1 n. 5 c.p.c. –terzo motivo-) circa la percentuale di responsabilità dell’ANAS (riconosciuta al 60% dal giudice dell’appello nella sentenza impugnata, rispetto a quella attribuita allo Z.).

Di vero, con valutazione insindacabile, perché confortata dalle risultanze processuali, il giudice a quo ha ritenuto che la condotta dello Z. fosse non completamente regolare perché di poco superiore ai limiti di velocità indicati nel cartello e, comunque, la sua velocità non era adeguata per un automezzo che percorreva, in discesa, la strada in condizioni di tempo e luogo non certo rassicuranti.

E ciò anche sulla base della relazione prodotta con l’atto di citazione dagli originari attori, tenendo presente che la condizione della strada, con presenza anche di nebbia, imponeva cautela alla guida.

Dall’argomentare del giudice a quo, si evince che egli ha tenuto conto, ai fini dell’entità del richiesto risarcimento, come prevalente la condotta omissiva dell’ANAS rispetto a quella del conducente, che pure ha sanzionato perché incauta ed irregolare.

Si tratta di giudizio di merito che congruamente argomentato, sfugge al sindacato di questa Corte.

5.-Con il quarto motivo (insufficiente motivazione su un altro punto decisivo della controversia in relazione all’art. 360 comma 1 n. 5 c.p.c.) la ricorrente lamenta che sarebbe affetta da una motivazione insufficiente la effettuata “personalizzazione” del danno con l’aumento del 20% di quanto asseritamente dovuto in forza delle tabelle in uso presso il giudice di secondo grado (p.18 e ss. ricorso).

La censura, così come proposta, non merita accoglimento.

il danno liquidato è solo il danno morale, che è stato liquidato in via equitativa.

La sua liquidazione risulta motivata in modo più che congruo, come si evince da una semplice e serena lettura della sentenza impugnata, nella quale nel ridimensionare il richiesto importo il giudice dell’appello ha proceduto ad una determinazione “secondo le tabelle in uso” precisando che alla cifra base di 100 mila euro erano aggiunti altri 20 mila euro, tenuto conto che all’epoca del sinistro, lo Z. L. non aveva ancora compiuto sessanta anni e la famiglia si era venuta a trovare priva del suo appoggio sia economico che relazionale.

6.-Il quinto motivo (violazione falsa applicazione degli artt. 91 e 92 c.p.c. in relazione all’art. 360 comma 1 n. 3 cpc) non solo è inammissibile, come per pacifica giurisprudenza, ma è anche infondato, perché il giudice a quo non ha affatto violato il principio della soccombenza, atteso che in grado di appello sia la M.P. che l’ANAS sono risultate soccombenti.

Conclusivamente, il ricorso va respinto, ma l’alterno esito delle fasi di merito inducono il Collegio a compensare integralmente tra le parti le spese del presente giudizio di cassazione.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso; compensa integralmente tra le parti le spese del presente giudizio di cassazione.





martedì 13 marzo 2012

Manto stradale, custodia, responsabilità, PA, nesso eziologico, distrazione Cassazione civile , sez. VI, sentenza 30.01.2012 n° 1310

In relazione ai danni verificatisi nell'uso di un bene demaniale, tanto nel caso in cui risulti in concreto configurabile una responsabilità oggettiva della P.A. ai sensi dell'art. 2051 cod. civ., quanto in quello in cui risulti invece configurabile una responsabilità ai sensi dell'art. 2043 cod. civ., l'esistenza di un comportamento colposo dell'utente danneggiato (sussistente anche quando egli abbia usato il bene senza la normale diligenza o con un affidamento soggettivo anomalo sulle sue caratteristiche) esclude la responsabilità della P.A., qualora si tratti di un comportamento idoneo ad interrompere il nesso eziologico tra la causa del danno ed il danno stesso, mentre in caso contrario esso integra un concorso di colpa ai sensi dell'art. 1227 cod. civ., comma 1, con conseguente diminuzione della responsabilità del danneggiante (e, quindi, della P.A.) in proporzione all'incidenza causale del comportamento stesso

SUPREMA CORTE DI CASSAZIONE

SEZIONE VI CIVILE

Sentenza 12 – 30 gennaio 2012, n. 1310

(Presidente Preden – Relatore Giacalone)

In fatto e in diritto

Nella causa indicata in premessa, é stata depositata la seguente relazione:

1 - La sentenza impugnata, depositata il 14 ottobre 2010 e notificata il successivo 10.12, confermando quella di primo grado, ha, per quanto qui rileva, respinto la domanda risarcitoria dell'odierno ricorrente, ritenendo che "era infatti sufficiente una fugace occhiata alle foto per rendersi conto che "l'insidioso avvallamento" che secondo l'appellante era privo di idonea segnalazione e costituiva un pericolo per gli utenti della strada non era altro che un'ordinaria griglia per lo scarico delle acque piovane"; non era quindi ipotizzabile la lesione dell'aspettativa alla regolarità del manto stradale, non potendosi prescindere dagli elementi che ne costituiscono una componente ricorrente; la caduta era quindi interamente addebitabile alla distrazione del P. e non era configurabile un nesso eziologico con la griglia e con il lievissimo avvallamento in cui essa è contenuta, rispondente alla necessità tecnica di raccogliere le acque confluenti nella fogna bianca; ricorreva quindi la tipica ipotesi di esclusione della responsabilità oggettiva del custode (art. 1227.2 c.c.), potendo il sinistro essere evitato se il P. avesse impiegato l'ordinaria diligenza nel percorrere la strada.

2 - Ricorre per cassazione il P. con sei motivi; il Comune resiste con controricorso.

3. - I motivi lamentano.

3.a. violazione dell'art. 2051 c.c., per errata valutazione e applicazione dei presupposti risarcitori, avendo disatteso il carattere oggettivo della responsabilità del Comune, tenuto alla manutenzione della strada a regola d'arte ed all'adozione della segnaletica dell'anomalia;

3.b. violazione dell'art. 2043 c.c. per avere la Corte territoriale riferito la regolarità alla griglia e non all'avvallamento, in contrasto con le risultanze documentali;

3.c. violazione dell'art. 1227.2 c.c. e vizio di motivazione per non aver individuato l'atto o il comportamento che avrebbero interrotto il nesso di causalità e non essendovi la prova che la condotta del ciclista fosse stata talmente imprudente da interrompere il detto nesso;

3.d. ed e. violazione art. 115 c.p.c. ed insufficienza della motivazione per non aver motivato in ordine alla mancata ammissione dell'interrogatorio formale e della prova testimoniale richiesta;

3.f. violazione art. 92.2 c.p.c. ed illogicità della motivazione in ordine alla mancata compensazione delle spese di lite ed alla modifica della compensazione operata dal giudice di primo grado.

4. Il ricorso è manifestamente privo di pregio. Le prime tre censure che possono trattarsi congiuntamente data l'intima connessione - implicano, nonostante le prime due siano impropriamente rubricate come violazioni di legge, accertamenti di fatto e valutazioni di merito. Ripropongono, in realtà, un'inammissibile "diversa lettura" delle risultanze probatorie, senza tenere presente il consolidato orientamento di questa S.C. secondo cui in tema di responsabilità civile per i danni cagionati da cose in custodia, la fattispecie di cui all'art. 2051 cod. civ. individua un'ipotesi di responsabilità oggettiva, essendo sufficiente per l'applicazione della stessa la sussistenza del rapporto di custodia tra il responsabile e la cosa che ha dato luogo all'evento lesivo. Pertanto non assume rilievo in sé la violazione dell'obbligo di custodire la cosa da parte del custode, la cui responsabilità è esclusa solo dal caso fortuito, fattore che attiene non ad un comportamento del responsabile, ma al profilo causale dell'evento, riconducibile in tal caso non alla cosa che ne è fonte immediata ma ad un elemento esterno. Ne consegue l'inversione dell'onere della prova in ordine al nesso causale, incombendo sull'attore la prova del nesso eziologico tra la cosa e l'evento lesivo e sul convenuto la prova del caso fortuito. Sia l'accertamento in ordine alla sussistenza della responsabilità oggettiva che quello in ordine all'intervento del caso fortuito che lo esclude involgono valutazioni riservate al giudice del merito, il cui apprezzamento è insindacabile in sede di legittimità se sorretto da motivazione congrua ed immune da vizi logici e giuridici (Cass. n. 6753/2004).

4.1. In particolare, le prime due censure non colgono nel segno, perché invocano in astratto la non corretta applicazione dei presupposti per la responsabilità sia ex art. 2051 c.c., sia ex art. 2043, senza tenere presente che l'effettiva ratio decidendi sta nella ritenuta prova del fortuito, consistente nella distrazione del danneggiato. Tale ultima questione, posta nel terzo motivo, è anch'essa manifestamente infondata in quanto la decisione impugnata è conforme all'orientamento secondo cui in relazione ai danni verificatisi nell'uso di un bene demaniale, tanto nel caso in cui risulti in concreto configurabile una responsabilità oggettiva della P.A. ai sensi dell'art. 2051 cod. civ., quanto in quello in cui risulti invece configurabile una responsabilità ai sensi dell'art. 2043 cod. civ., l'esistenza di un comportamento colposo dell'utente danneggiato (sussistente anche quando egli abbia usato il bene senza la normale diligenza o con un affidamento soggettivo anomalo sulle sue caratteristiche) esclude la responsabilità della P.A., qualora si tratti di un comportamento idoneo ad interrompere il nesso eziologico tra la causa del danno ed il danno stesso, mentre in caso contrario esso integra un concorso di colpa ai sensi dell'art. 1227 cod. civ., comma 1, con conseguente diminuzione della responsabilità del danneggiante (e, quindi, della P.A.) in proporzione all'incidenza causale del comportamento stesso (Cass. n. 5669/10; 15779/06; 15383/06). La sentenza impugnata, invece, ha congruamente spiegato le ragioni della propria decisione, risulta correttamente ritenuto riconducibile all'ipotesi del fortuito il caso in cui l'evento di danno sia da ascrivere esclusivamente alla condotta del danneggiato, la quale abbia interrotto il nesso eziologico tra la cosa in custodia ed il danno, (v. Cass. n. 20317/2005).

4.2. Anche le censure di cui al quarto e quinto motivo sono manifestamente infondate dovendosi ribadire che la conformità della sentenza al modello di cui all'art. 132 n. 4 cod. proc. civ., e l'osservanza degli artt. 115 e 116, cod. proc. civ., non richiedono che il giudice di merito dia conto dell'esame di tutte le prove prodotte o comunque acquisite e di tutte le tesi prospettate dalle parti, essendo necessario e sufficiente che egli esponga, in maniera concisa, gli elementi in fatto ed in diritto posti a fondamento della sua decisione, offrendo una motivazione logica ed adeguata, evidenziando le prove ritenute idonee a confortarla, dovendo reputarsi per implicito disattesi tutti gli argomenti, le tesi e i rilievi che, seppure non espressamente esaminati, siano incompatibili con la soluzione adottata e con l'"iter" argomentativo seguito (Cass. n. 22801/09; 17145/06).

4.3. Vi è congrua e corretta motivazione nella sentenza impugnata in ordine alla soccombenza come criterio per il governo delle spese e sull'esclusione anche per il primo grado ei motivi legittimanti la compensazione delle stesse.

5. - Il relatore propone la trattazione del ricorso in camera di consiglio ai sensi degli artt. 375, 376, 380 bis c.p.c., ed il rigetto dello stesso. La relazione é stata comunicata al Pubblico Ministero e notificata ai difensori delle parti costituite.

Non sono state presentate memorie né conclusioni scritte.

Ritenuto che:

a seguito della discussione sul ricorso in camera di consiglio, il collegio ha condiviso i motivi in fatto e in diritto esposti nella relazione; che il ricorso deve perciò essere rigettato essendo manifestamente infondato; le spese seguono la soccombenza e si liquidano in dispositivo, visti gli artt. 380-bis e 385 cod. proc. civ.

P.Q.M.

Rigetta il ricorso. Condanna il ricorrente al pagamento delle spese del presente giudizio in favore del Comune che liquida in Euro 5.200,00, di cui Euro 5.000,00 per onorario, oltre spese generali ed accessori di legge.