La Corte di Cassazione, V sez. penale, con sentenza 24 giugno 2011, n. 25488 ha ribadito la rilevanza del reato di stalking confermando, nei confronti di un giovane, il divieto di avvicinamento ai luoghi frequentati dall'ex ragazza convivente, vittima di atti persecutori.
In particolare l'imputato, dopo che la vittima aveva interrotto la convivenza, si era reso responsabile di continui messaggi inviati tramite il social network Facebook contenenti minacce ed ingiurie e non contento aveva violato il domicilio della vittima e percosso la stessa cagionandole lesioni.
Secondo la Suprema Corte, nel caso specifico, i messaggi inviati tramite Facebook possono integrare il reato di stalking. Inoltre la parte offesa è da ritenere attendibile non solo per l'esistenza di più certificati medici diversi da quello di cui il ricorrente lamenta l’irrilevanza, ma anche per gli apporti provenienti dalle dichiarazioni della madre della vittima sui messaggi telefonici ricevuti dalla figlia e sulla manifestata paura della stessa di uscire dall'abitazione, oltre che dalla constatazione delle effettive lesioni prodotte ai danni della ragazza.
La sentenza assume rilevanza per la puntuale configurazione del reato di stalking da parte della S.C. che viene definito dall'art. 612-bis del c.p. come quel reato commesso da "chiunque reiteratamente, con qualunque mezzo, minaccia o molesta taluno in modo tale da infliggergli un grave disagio psichico ovvero da determinare un giustificato timore per la sicurezza personale propria o di una persona vicina o comunque da pregiudicare in maniera rilevante il suo modo di vivere, è punito, a querela della persona offesa, con la reclusione da sei mesi a quattro anni".
La previsione di questo reato assume una particolare delicatezza anche alla luce dell’attuale era tecnologica. Difatti, come nel caso di specie, i temuti atti persecutori possono essere realizzati non solo con il telefono o lettere anonime, ma utilizzando le nuove tecnologie e quindi tramite i social network, per posta elettronica, con la messaggistica istantanea e strumenti affini. Inoltre la vittima può essere perseguitata controllandone i movimenti tramite la rete (si pensi a chi fa parte di un social network o ha un proprio blog o è iscritto a newsgroup, mailing list, ecc.).
Purtroppo gli strumenti del web 2.0 proprio perché dotati di una maggiore interattività che consente uno scambio di informazioni più dinamico tra gli utenti, nascondono delle insidie che possono essere sfruttate da malintenzionati ai danni di vittime del tutto inconsapevoli.
(Altalex, 12 luglio 2011. Nota di Michele Iaselli)
| cyberstalking | facebook | Michele Iaselli |
SUPREMA CORTE DI CASSAZIONE
SEZIONE V PENALE
Sentenza 15 aprile - 24 giugno 2011, n. 25488
(Presidente Calabrese – Relatore Zaza)
Ritenuto in fatto
Con il provvedimento impugnato veniva parzialmente confermata l'ordinanza del Giudice per le indagini preliminari presso il Tribunale di Salerno in data 6.12.2010 laddove con la stessa veniva applicata nei confronti di C. M. la misura cautelare del divieto di avvicinamento ai luoghi frequentati dalla persona offesa per i reati di cui agli artt. 612 bis, 582 e 614 c.p., ed in particolare per aver violato il domicilio in Salerno di P. D. il 17.5.2010, per aver costantemente minacciato la P. dopo che la stessa aveva interrotto la convivenza con l’indagato, con messaggi inviati tramite il sito internet Facebook dal 3.9.2010 al 16.11.2010, e per aver infine in quest’ultima data percosso la P. cagionandole lesioni.
La sussistenza dei gravi indizi a carico del C. era ritenuta in base alle dichiarazioni della persona offesa e agli ulteriori elementi individuati a riscontro delle stesse.
Il ricorrente deduce violazione di legge, lamentando l’assunzione quali riscontri di certificati medici che per la maggior parte riportavano patologie riferite dalla stessa P., e all'inclusione fra gli stessi di un referto in data 29.5.2010 non esistente agli atti e relativo ad un periodo non contestato.
Considerato in diritto
Il ricorso è infondato.
L'ordinanza impugnata motivava invero in tema di gravità indiziaria ritenendo la parte offesa attendibile non solo per la conferma derivante da più certificati medici diversi da quello di cui il ricorrente lamenta l’irrilevanza, ma anche per gli apporti provenienti dalle dichiarazioni della madre della P., B. R. M., sui messaggi telefonici ricevuti dalla figlia e sulla manifestata paura della stessa di uscire dall'abitazione, e da quelle di C. L. sulla constatazione delle lesioni prodotte il 2.9.2010 e sull’atteggiamento aggressivo del C. nei confronti della P. nell’episodio del 27.9.2010. Detta motivazione, per la pluralità e la significatività degli elementi valutati, è logicamente inattaccabile dalle censure del ricorrente, indirizzate unicamente sui riscontri documentali, per i quali si propone peraltro una mera lettura in chiave difensiva dei relativi contenuti, e prive di specifiche doglianze sulla credibilità intrinseca della parte offesa.
Il ricorso deve pertanto essere rigettato, seguendone la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese.
lunedì 18 luglio 2011
lunedì 4 luglio 2011
La responsabilità dell'ente gestore per il guard-rail pericoloso (Cassazione 6537/11)
Cass. civ. Sez. III, Sent., 22-03-2011, n. 6537
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE TERZA CIVILE
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. MORELLI Mario Rosario - Presidente
Dott. SPAGNA MUSSO Bruno - Consigliere
Dott. ARMANO Uliana - rel. Consigliere
Dott. DE STEFANO Franco - Consigliere
Dott. SCARANO Luigi Alessandro - Consigliere
ha pronunciato la seguente:
sentenza
sul ricorso 1202/2009 proposto da:
*****, *****, *****, ***** elettivamente domiciliati in ROMA, presso *****, rappresentati e difesi dall'avvocato *****, con studio in *****, giusta delega a margine del ricorso; - ricorrenti -
contro
*****SPA, in persona del legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliato in ROMA, *****, presso gli UFFICI DELL'AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, da cui è difeso per legge; - controricorrenti -
avverso la sentenza n. 939/2007 della CORTE D'APPELLO di L'AQUILA, Sezione Civile, emessa il 16/10/2007, depositata il 20/11/2007; R.G.N. 1095/2003;
udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 21/01/2011 dal Consigliere Dott. ULIANA ARMANO;
udito l'Avvocato *****;
udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. PATRONE Ignazio, che ha concluso per l'accoglimento del ricorso.
Svolgimento del processo
Il Tribunale dell'Aquila rigettava la domanda proposta da ***** e dai suoi figli *****, ***** e *****, volta ad ottenere la condanna dell'***** al risarcimento dei danni conseguenti al sinistro stradale nel quale era deceduto *****, rispettivamente loro coniuge e padre, e che essi attribuivano a colpa dell'***** ex art. 2051 c.c. per aver posizionato lungo la strada un guard-rail in maniera errata e pericolosa.
Deducevano che *****, mentre percorreva alla guida del suo autoveicolo la *****, aveva perso il controllo dell'automezzo ed era andato ad urtare contro il guard-rail posto sul margine destro della carreggiata; per effetto dell'urto la lamiera era penetrata all'interno dell'abitacolo ed aveva trapassato il *****, procurandone il decesso.
La Corte di Appello dell'Aquila rigettava il gravame, confermando la decisione di primo grado.
Avverso detta sentenza proponevano ricorso per Cassazione ***** e i suoi figli *****, ***** e ***** sorretto da cinque motivi.
Resisteva con controricorso l'*****.
Motivi della decisione
La sentenza della Corte di Appello dell'Aquila ha escluso l'applicabilità della responsabilità ex art. 2051 c.c., ritenendo che l'estensione delle strade di cui l'***** doveva curare la manutenzione su scala nazionale era tale da non consentire l'esercizio di una vigilanza continua sull'intera rete. Valutando la fattispecie alla luce dei principi di cui all'art. 2043 c.c., ha ritenuto che non vi fosse alcuna responsabilità dell'***** in quanto il guard-rail non costituiva insidia o trabocchetto, in quanto era posto al di fuori della carreggiata, parallelamente alla sede stradale ed era ben visibile e rispettoso della normativa vigente.
La Corte di Appello ha affermato che, sia che si ritenesse applicabile la responsabilità ex art. 2051 c.c., che quella dell'art. 2043 c.c., la responsabilità dell'***** doveva essere comunque esclusa in presenza di una condotta abnorme dell'utente, che era stata causa esclusiva del verificarsi dell'evento dannoso.
E' necessario esaminare congiuntamente il primo e terzo motivo del ricorso per la loro evidente connessione.
Con il primo motivo di ricorso viene dedotta violazione dell'art. 2051 c.c., e dell'art. 115 c.p.c., in relazione all'art. 360, n. 3, ed omessa e contraddittoria motivazione sul punto.
Secondo i ricorrenti la Corte di Appello aveva erroneamente escluso l'applicabilità dell'art. 2051 c.c., con una motivazione di stile senza accertare se nel caso concreto vi era l'impossibilità di sorveglianza e solo in relazione alla strada, dovendo invece valutare se tale norma era applicabile nell'ipotesi in cui l'evento era dipeso dalla cosa in sè in relazione alla funzione da svolgere, tenendo conto che il guard-rail, sradicatosi dalla strada, era penetrato come una lancia nell'autovettura, recidendo l'arteria femorale del ***** e provocandone la morte.
Con il terzo motivo di ricorso viene dedotta la violazione degli artt. 2051, 2043 e 1127 c.c., in relazione all'art. 360 c.p.c., nn. 3 e 5, in quanto la Corte di Appello avrebbe attribuito l'esclusiva efficienza causale dell'evento all'abnorme condotta di guida del conducente dell'auto, senza valutare la condizione di oggetti va pericolosità derivante dalla "res" che avrebbe richiesto, in corrispondenza di quel tratto, apprestamenti idonei ad evitare in caso di incidente la penetrazione del guardrail nell'autovettura.
I due motivi sono fondati.
Infatti la più recente giurisprudenza di questa Corte (Cass., 25.7.2008, n. 20427) ha superato, il precedente indirizzo, secondo il quale l'art. 2051 c.c., è applicabile nei confronti della P.A., per le categorie di beni demaniali quali le strade pubbliche, solamente quando, per le ridotte dimensioni, ne è possibile un efficace controllo ed una costante vigilanza da parte della P.A., tale da impedire l'insorgenza di cause di pericolo per gli utenti (Cass. 26 settembre 2006, n. 20827; Cass. 12 luglio 2006, n. 15779; Cass. 6 luglio 2006, n. 15383). Si è affermato il diverso principio secondo il quale la responsabilità da cosa in custodia presuppone che il soggetto al quale la si imputi sia in grado di esplicare riguardo alla cosa stessa un potere di sorveglianza, di modificarne lo stato e di escludere che altri vi apporti modifiche. S'è precisato in tal senso: a) che per le strade aperte al traffico l'ente proprietario si trova in questa situazione una volta accertato che il fatto dannoso si è verificato a causa di una anomalia della strada stessa - ed a maggior ragione per un'anomalia relativa agli strumenti di protezione istallati; b) che è comunque configurabile la responsabilità dell'ente pubblico custode, salvo che quest'ultimo non dimostri di non avere potuto far nulla per evitare il danno; c) che l'ente proprietario supera la presunzione di colpa quando la situazione che provoca il danno si determina non come conseguenza di un precedente difetto di diligenza nella sorveglianza della strada, ma in maniera improvvisa, atteso che solo quest'ultima - al pari della eventuale colpa esclusiva dello stesso danneggiato in ordine al verificarsi del fatto - integra il caso fortuito previsto dall'art. 2051 c.c., quale scriminante della responsabilità del custode. Si ritiene, in sintesi, che agli enti pubblici proprietari di strade aperte al pubblico transito è in linea generale è applicabile l'art. 2051 c.c., in riferimento alle situazioni di pericolo immanentemente connesse alla struttura o alle pertinenze della strada, indipendentemente dalla sua estensione (Cass. 29 marzo 2007, n. 7763; Cass. 2 febbraio 2007, n. 2308; Cass., 3.4.2009, n. 8157). Nel caso di specie la Corte di Appello ha errato nel non ritenere ricorrente nella specie la responsabilità ex art. 2051 c.c. in quanto, secondo la prospettazione della domanda, si trattava di un danno relativo ad una anomalia relativa alle barriere di protezione della strada, in relazione alle quali l'ente pubblico era in grado si esercitare il potere di sorveglianza e di adottare tutte le possibili soluzioni per evitare il danno, in quanto era perfettamente a conoscenza sia del tipo di protezione adottato che delle modalità di installazione dello stesso. Il terzo motivo di ricorso contesta l'affermazione con cui la Corte di Appello ha attribuito la esclusiva efficienza causale dell'evento alla condotta di guida abnorme del conducente.
Anche tale motivo è fondato.
A tale proposito deve osservarsi che la funzione del guard-rail è quella di impedire al conducente di uscire fuori di strada e tale funzione ovviamente è correlata a tutte quelle condotte di guida la cui conseguenza sarebbe quella per l'autovettura di uscire fuori della carreggiata di sua competenza. Quindi la funzione del guard- rail è ontologicamente quella di evitare che qualsiasi condotta di guida non regolare possa portare l'autovettura a pericolose uscite fuori dalla sede stradale.
Rispetto a tale funzione,non può essere considerata condotta abnorme quella del conducente che impatta violentemente contro il guard- rail,il quale è funzionalmente posto ad attutire le conseguenza degli impatti violenti.
Alla luce di tale considerazioni compito del giudice dovrà essere quello di valutare, tenendo conto degli accertamenti fattuali da cui risulta che il guard-rail dopo l'urto dell'autovettura si era ritorto in modo tale da penetrare nella stessa come una lama, se tale barriera,per la sua struttura e per il suo posizionamento rispetto alla carreggiata, era adeguata o meno ad assolvere la sua funzione di protezione e se, in tale prospettazione, la condotta del conducente abbia avuto una efficienza causale esclusiva ed autonoma tale da vincere la presunzione di responsabilità gravante sul custode.
Il terzo motivo di ricorso, con sui si contesta la valutazione negativa della Corte di appello in ordine alla natura di insidia del guard-rail correlata all'ipotesi di responsabilità extracontrattuale ex art. 2043 c.c., il quarto motivo relativo alla valutazione delle prove testimoniali ed il quinto sul regolamento delle spese, sono assorbiti dall'accoglimento del primo e terzo motivo di ricorso.
La sentenza va cassata con rinvio alla Corte di Appello dell'Aquila che valuterà la fattispecie alla luce dei principi sopraesposti.
P.Q.M.
La Corte accoglie il ricorso nei limiti di cui in motivazione. Cassa la sentenza impugnata e rinvia, anche per la liquidazione delle spese del giudizio di cassazione, alla Corte di Appello dell'Aquila in diversa composizione.
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE TERZA CIVILE
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. MORELLI Mario Rosario - Presidente
Dott. SPAGNA MUSSO Bruno - Consigliere
Dott. ARMANO Uliana - rel. Consigliere
Dott. DE STEFANO Franco - Consigliere
Dott. SCARANO Luigi Alessandro - Consigliere
ha pronunciato la seguente:
sentenza
sul ricorso 1202/2009 proposto da:
*****, *****, *****, ***** elettivamente domiciliati in ROMA, presso *****, rappresentati e difesi dall'avvocato *****, con studio in *****, giusta delega a margine del ricorso; - ricorrenti -
contro
*****SPA, in persona del legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliato in ROMA, *****, presso gli UFFICI DELL'AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, da cui è difeso per legge; - controricorrenti -
avverso la sentenza n. 939/2007 della CORTE D'APPELLO di L'AQUILA, Sezione Civile, emessa il 16/10/2007, depositata il 20/11/2007; R.G.N. 1095/2003;
udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 21/01/2011 dal Consigliere Dott. ULIANA ARMANO;
udito l'Avvocato *****;
udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. PATRONE Ignazio, che ha concluso per l'accoglimento del ricorso.
Svolgimento del processo
Il Tribunale dell'Aquila rigettava la domanda proposta da ***** e dai suoi figli *****, ***** e *****, volta ad ottenere la condanna dell'***** al risarcimento dei danni conseguenti al sinistro stradale nel quale era deceduto *****, rispettivamente loro coniuge e padre, e che essi attribuivano a colpa dell'***** ex art. 2051 c.c. per aver posizionato lungo la strada un guard-rail in maniera errata e pericolosa.
Deducevano che *****, mentre percorreva alla guida del suo autoveicolo la *****, aveva perso il controllo dell'automezzo ed era andato ad urtare contro il guard-rail posto sul margine destro della carreggiata; per effetto dell'urto la lamiera era penetrata all'interno dell'abitacolo ed aveva trapassato il *****, procurandone il decesso.
La Corte di Appello dell'Aquila rigettava il gravame, confermando la decisione di primo grado.
Avverso detta sentenza proponevano ricorso per Cassazione ***** e i suoi figli *****, ***** e ***** sorretto da cinque motivi.
Resisteva con controricorso l'*****.
Motivi della decisione
La sentenza della Corte di Appello dell'Aquila ha escluso l'applicabilità della responsabilità ex art. 2051 c.c., ritenendo che l'estensione delle strade di cui l'***** doveva curare la manutenzione su scala nazionale era tale da non consentire l'esercizio di una vigilanza continua sull'intera rete. Valutando la fattispecie alla luce dei principi di cui all'art. 2043 c.c., ha ritenuto che non vi fosse alcuna responsabilità dell'***** in quanto il guard-rail non costituiva insidia o trabocchetto, in quanto era posto al di fuori della carreggiata, parallelamente alla sede stradale ed era ben visibile e rispettoso della normativa vigente.
La Corte di Appello ha affermato che, sia che si ritenesse applicabile la responsabilità ex art. 2051 c.c., che quella dell'art. 2043 c.c., la responsabilità dell'***** doveva essere comunque esclusa in presenza di una condotta abnorme dell'utente, che era stata causa esclusiva del verificarsi dell'evento dannoso.
E' necessario esaminare congiuntamente il primo e terzo motivo del ricorso per la loro evidente connessione.
Con il primo motivo di ricorso viene dedotta violazione dell'art. 2051 c.c., e dell'art. 115 c.p.c., in relazione all'art. 360, n. 3, ed omessa e contraddittoria motivazione sul punto.
Secondo i ricorrenti la Corte di Appello aveva erroneamente escluso l'applicabilità dell'art. 2051 c.c., con una motivazione di stile senza accertare se nel caso concreto vi era l'impossibilità di sorveglianza e solo in relazione alla strada, dovendo invece valutare se tale norma era applicabile nell'ipotesi in cui l'evento era dipeso dalla cosa in sè in relazione alla funzione da svolgere, tenendo conto che il guard-rail, sradicatosi dalla strada, era penetrato come una lancia nell'autovettura, recidendo l'arteria femorale del ***** e provocandone la morte.
Con il terzo motivo di ricorso viene dedotta la violazione degli artt. 2051, 2043 e 1127 c.c., in relazione all'art. 360 c.p.c., nn. 3 e 5, in quanto la Corte di Appello avrebbe attribuito l'esclusiva efficienza causale dell'evento all'abnorme condotta di guida del conducente dell'auto, senza valutare la condizione di oggetti va pericolosità derivante dalla "res" che avrebbe richiesto, in corrispondenza di quel tratto, apprestamenti idonei ad evitare in caso di incidente la penetrazione del guardrail nell'autovettura.
I due motivi sono fondati.
Infatti la più recente giurisprudenza di questa Corte (Cass., 25.7.2008, n. 20427) ha superato, il precedente indirizzo, secondo il quale l'art. 2051 c.c., è applicabile nei confronti della P.A., per le categorie di beni demaniali quali le strade pubbliche, solamente quando, per le ridotte dimensioni, ne è possibile un efficace controllo ed una costante vigilanza da parte della P.A., tale da impedire l'insorgenza di cause di pericolo per gli utenti (Cass. 26 settembre 2006, n. 20827; Cass. 12 luglio 2006, n. 15779; Cass. 6 luglio 2006, n. 15383). Si è affermato il diverso principio secondo il quale la responsabilità da cosa in custodia presuppone che il soggetto al quale la si imputi sia in grado di esplicare riguardo alla cosa stessa un potere di sorveglianza, di modificarne lo stato e di escludere che altri vi apporti modifiche. S'è precisato in tal senso: a) che per le strade aperte al traffico l'ente proprietario si trova in questa situazione una volta accertato che il fatto dannoso si è verificato a causa di una anomalia della strada stessa - ed a maggior ragione per un'anomalia relativa agli strumenti di protezione istallati; b) che è comunque configurabile la responsabilità dell'ente pubblico custode, salvo che quest'ultimo non dimostri di non avere potuto far nulla per evitare il danno; c) che l'ente proprietario supera la presunzione di colpa quando la situazione che provoca il danno si determina non come conseguenza di un precedente difetto di diligenza nella sorveglianza della strada, ma in maniera improvvisa, atteso che solo quest'ultima - al pari della eventuale colpa esclusiva dello stesso danneggiato in ordine al verificarsi del fatto - integra il caso fortuito previsto dall'art. 2051 c.c., quale scriminante della responsabilità del custode. Si ritiene, in sintesi, che agli enti pubblici proprietari di strade aperte al pubblico transito è in linea generale è applicabile l'art. 2051 c.c., in riferimento alle situazioni di pericolo immanentemente connesse alla struttura o alle pertinenze della strada, indipendentemente dalla sua estensione (Cass. 29 marzo 2007, n. 7763; Cass. 2 febbraio 2007, n. 2308; Cass., 3.4.2009, n. 8157). Nel caso di specie la Corte di Appello ha errato nel non ritenere ricorrente nella specie la responsabilità ex art. 2051 c.c. in quanto, secondo la prospettazione della domanda, si trattava di un danno relativo ad una anomalia relativa alle barriere di protezione della strada, in relazione alle quali l'ente pubblico era in grado si esercitare il potere di sorveglianza e di adottare tutte le possibili soluzioni per evitare il danno, in quanto era perfettamente a conoscenza sia del tipo di protezione adottato che delle modalità di installazione dello stesso. Il terzo motivo di ricorso contesta l'affermazione con cui la Corte di Appello ha attribuito la esclusiva efficienza causale dell'evento alla condotta di guida abnorme del conducente.
Anche tale motivo è fondato.
A tale proposito deve osservarsi che la funzione del guard-rail è quella di impedire al conducente di uscire fuori di strada e tale funzione ovviamente è correlata a tutte quelle condotte di guida la cui conseguenza sarebbe quella per l'autovettura di uscire fuori della carreggiata di sua competenza. Quindi la funzione del guard- rail è ontologicamente quella di evitare che qualsiasi condotta di guida non regolare possa portare l'autovettura a pericolose uscite fuori dalla sede stradale.
Rispetto a tale funzione,non può essere considerata condotta abnorme quella del conducente che impatta violentemente contro il guard- rail,il quale è funzionalmente posto ad attutire le conseguenza degli impatti violenti.
Alla luce di tale considerazioni compito del giudice dovrà essere quello di valutare, tenendo conto degli accertamenti fattuali da cui risulta che il guard-rail dopo l'urto dell'autovettura si era ritorto in modo tale da penetrare nella stessa come una lama, se tale barriera,per la sua struttura e per il suo posizionamento rispetto alla carreggiata, era adeguata o meno ad assolvere la sua funzione di protezione e se, in tale prospettazione, la condotta del conducente abbia avuto una efficienza causale esclusiva ed autonoma tale da vincere la presunzione di responsabilità gravante sul custode.
Il terzo motivo di ricorso, con sui si contesta la valutazione negativa della Corte di appello in ordine alla natura di insidia del guard-rail correlata all'ipotesi di responsabilità extracontrattuale ex art. 2043 c.c., il quarto motivo relativo alla valutazione delle prove testimoniali ed il quinto sul regolamento delle spese, sono assorbiti dall'accoglimento del primo e terzo motivo di ricorso.
La sentenza va cassata con rinvio alla Corte di Appello dell'Aquila che valuterà la fattispecie alla luce dei principi sopraesposti.
P.Q.M.
La Corte accoglie il ricorso nei limiti di cui in motivazione. Cassa la sentenza impugnata e rinvia, anche per la liquidazione delle spese del giudizio di cassazione, alla Corte di Appello dell'Aquila in diversa composizione.
Morte del coniuge per incidente stradale: indennizzo ridotto se il vedovo si risposa (Cass. Civ. sez.III, 21 marzo 2011, n.6357
Il risarcimento da lucro cessante per morte del coniuge provocata da fatto illecito altrui, dovrà essere erogato in misura ridotta, nel caso in cui il consorte superstite convoli a nuove nozze.
E’ quanto stabilito con la sentenza n. 6357/11 dalla sez. III Civile della Corte di Cassazione che ha esaminato la questione riguardante D.F., il quale, rimasto vedovo nel 1969 e poi risposatosi altre due volte, ha subìto la diminuzione del proprio indennizzo a causa del terzo matrimonio.
Al fine di ottenere l’equo risarcimento dalla società assicuratrice del conducente del veicolo, per metà responsabile dello scontro con la moglie defunta, tale soggetto ha intrapreso un lungo iter giudiziario dal 1970 ad oggi, conclusosi con la pronuncia in commento, ovvero una causa penale ed un procedimento civile due volte passato al giudice di secondo grado ed altrettante volte dinanzi alla Suprema Corte di Cassazione,
In particolare, il giudice del rinvio era stato chiamato a valutare se le nuove nozze avessero consentito alla famiglia della defunta di alleviare il danno determinato dal mancato apporto di reddito e del beneficio della presenza di quest’ultima, nonché quali benefici fossero eventualmente derivati al vedovo come conseguenza della nuova unione matrimoniale. In realtà, precedentemente non era stato effettuato alcun accertamento in ordine al nesso di causalità tra l'evento e le nuove nozze. Pertanto, la Corte d’Appello di Perugia, seguendo le indicazioni presenti nella sentenza n. 1384 del 1993 della Corte di Cassazione, ha effettuato una nuova indagine, riconoscendo invece che, a seguito delle terze nozze, era stato annullato il danno che il D.F. aveva subito per la perdita della collaborazione familiare della prima consorte.
A tale decisione è giunta la Corte territoriale, dopo aver esaminato tutte le risultanze istruttorie, condividendo quei principi di diritto già enunciati nella sentenza del 1993 della Suprema Corte, in cui era stata rievocata la sentenza 11 luglio 1977, n. 3112, secondo cui: "Ai fini della liquidazione dei danni, subiti da uno dei coniugi per la morte dell'altro coniuge causata da fatto illecito altrui, la situazione, determinatasi a seguito delle nuove nozze contratte dal coniuge superstite in corso di causa, se è certamente irrilevante sotto il profilo della "compensatio lucri cura damno", non essendo i vantaggi patrimoniali acquisiti dal danneggiato attraverso il successivo, matrimonio, conseguenza diretta ed immediata del fatto illecito, deve essere, tuttavia, valutata dal giudice al fine di accertare in quali effettivi limiti il pregiudizio scaturito da tale illecito sia stato concretamente eliso dalle nuove nozze”.
In conclusione, il giudice di rinvio, compiuta una nuova valutazione del caso, esaminando i fatti di causa, gli elementi forniti di prova, nonchè i principi di diritto sopra riportati, ha statuito l’insussistenza della violazione di norme di legge denunciata dal ricorrente, e per tali motivi, ne ha rigettato il ricorso.
(Nota di Maria Elena Bagnato)
SUPREMA CORTE DI CASSAZIONE
SEZIONE III CIVILE
Sentenza 27 gennaio - 21 marzo 2011, n. 6357
Massima e Testo Integrale
da Altalex
E’ quanto stabilito con la sentenza n. 6357/11 dalla sez. III Civile della Corte di Cassazione che ha esaminato la questione riguardante D.F., il quale, rimasto vedovo nel 1969 e poi risposatosi altre due volte, ha subìto la diminuzione del proprio indennizzo a causa del terzo matrimonio.
Al fine di ottenere l’equo risarcimento dalla società assicuratrice del conducente del veicolo, per metà responsabile dello scontro con la moglie defunta, tale soggetto ha intrapreso un lungo iter giudiziario dal 1970 ad oggi, conclusosi con la pronuncia in commento, ovvero una causa penale ed un procedimento civile due volte passato al giudice di secondo grado ed altrettante volte dinanzi alla Suprema Corte di Cassazione,
In particolare, il giudice del rinvio era stato chiamato a valutare se le nuove nozze avessero consentito alla famiglia della defunta di alleviare il danno determinato dal mancato apporto di reddito e del beneficio della presenza di quest’ultima, nonché quali benefici fossero eventualmente derivati al vedovo come conseguenza della nuova unione matrimoniale. In realtà, precedentemente non era stato effettuato alcun accertamento in ordine al nesso di causalità tra l'evento e le nuove nozze. Pertanto, la Corte d’Appello di Perugia, seguendo le indicazioni presenti nella sentenza n. 1384 del 1993 della Corte di Cassazione, ha effettuato una nuova indagine, riconoscendo invece che, a seguito delle terze nozze, era stato annullato il danno che il D.F. aveva subito per la perdita della collaborazione familiare della prima consorte.
A tale decisione è giunta la Corte territoriale, dopo aver esaminato tutte le risultanze istruttorie, condividendo quei principi di diritto già enunciati nella sentenza del 1993 della Suprema Corte, in cui era stata rievocata la sentenza 11 luglio 1977, n. 3112, secondo cui: "Ai fini della liquidazione dei danni, subiti da uno dei coniugi per la morte dell'altro coniuge causata da fatto illecito altrui, la situazione, determinatasi a seguito delle nuove nozze contratte dal coniuge superstite in corso di causa, se è certamente irrilevante sotto il profilo della "compensatio lucri cura damno", non essendo i vantaggi patrimoniali acquisiti dal danneggiato attraverso il successivo, matrimonio, conseguenza diretta ed immediata del fatto illecito, deve essere, tuttavia, valutata dal giudice al fine di accertare in quali effettivi limiti il pregiudizio scaturito da tale illecito sia stato concretamente eliso dalle nuove nozze”.
In conclusione, il giudice di rinvio, compiuta una nuova valutazione del caso, esaminando i fatti di causa, gli elementi forniti di prova, nonchè i principi di diritto sopra riportati, ha statuito l’insussistenza della violazione di norme di legge denunciata dal ricorrente, e per tali motivi, ne ha rigettato il ricorso.
(Nota di Maria Elena Bagnato)
SUPREMA CORTE DI CASSAZIONE
SEZIONE III CIVILE
Sentenza 27 gennaio - 21 marzo 2011, n. 6357
Massima e Testo Integrale
da Altalex
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