martedì 21 febbraio 2012

Opposizione a Decreto Ingiuntivo. Prova dell'avvenuta notifica al destinatario e computo del termine.

Cassazione, sez. I, 24 novembre 2011 n. 24858

1) In tema di notificazioni a mezzo posta, quando debba accertarsi il perfezionamento della notificazione nei confronti del destinatario, posto che la data del timbro postale sulla busta corrisponde a quella di smistamento del plico presso l'ufficio postale e non all'effettivo recapito al destinatario, che può anche avvenire in data successiva, l'unico documento attestante la consegna a questi e la sua data è, di regola, l'avviso di ricevimento della raccomandata, la cui produzione in giudizio è onere che grava sulla parte notificante.
2) L'onere di provare la tempestività della opposizione grava sull'opponente e la relativa dimostrazione, pur non essendo esclusi altri mezzi,viene fornita in genere mediante la relazione di notificazione apposta in calce alla copia del provvedimento monitorio.
3) La produzione della copia notificata del decreto, in uno alla copia notificata del ricorso, rappresenta lo strumento ordinario per consentire al giudice adito, tenuto all'esame d'ufficio del rispetto dei termini, trattandosi di materia regolata da norme cogenti, di controllarne "in limine" la tempestività dell'opposizione, salva comunque la possibilità di desumere aliunde la prova necessaria al riguardo.
4) La mancata produzione da parte dell'opponente della copia notificata del decreto non comporta la dichiarazione d'inammissibilità dell'opposizione, qualora la prova dell'osservanza del termine di decadenza fissato dall'art. 641 cod. proc. civ. possa essere agevolmente desunta da altri sicuri elementi, quali le ammissioni contenute nella comparsa di costituzione e risposta o nella comparsa conclusionale dell'opposto in ordine alla data della notifica



Cassazione, sez. I, 24 novembre 2011 n. 24858
(Pres. Plenteda – Rel. Giancola)

Svolgimento del processo
Con sentenza del 15 febbraio 2002, il Tribunale di Roma dichiarava inammissibile, in rapporto al termine decadenziale di quaranta giorni di cui all'art. 641 c.p.c, l'opposizione proposta da P.S.M. avverso il decreto ingiuntivo in data 27 gennaio 2000, con cui a quest'ultimo s'intimava di pagare di L. 400.000.000 in favore della Banca Nazionale del Lavoro, somma da costei pretesa in forza di fideiussione dal P. concessa a garanzia dell'esposizione debitoria della società IAT srl, anch'essa destinataria del medesimo provvedimento.
Con sentenza dell'11.10-10.11.2005, la Corte di appello di Roma, nel contraddittorio delle parti, respingeva il gravame del P. .
La Corte territoriale osservava e riteneva per quanto ancora rileva:
a) che il decreto opposto era stato notificato al P. a mezzo del servizio postale e che il Tribunale aveva ritenuto l'inammissibilità dell'opposizione dallo stesso svolta, in quanto l'opponente non aveva prodotto la busta contenente il decreto, dalla quale sarebbe stato altrimenti possibile evincere la data di consegna del plico;
b) che l'appellante aveva, invece, affermato che il rispetto del termine di cui all'art. 641 c.p.c. era ricavabile dal raffronto tra la data di spedizione del plico contenente la copia del decreto (22 febbraio 2000) e quella di notifica (7 aprile 2000) dell'atto di opposizione nonché che anche la mancanza di eccezioni di parte avversa sul punto dovesse interpretarsi nel senso della tempestività dell'opposizione;
c) che il lasso di tempo tra il 22 febbraio 2000, data di spedizione del plico contenente la copia notificata del decreto ed alla quale, invocando il disposto dell'art. 8 L 890/82, l'appellante avrebbe voluto ricollegare la data della relativa notifica, e la data del 7 aprile successivo, di proposizione dell'opposizione, risultava, comunque superiore al suddetto termine di quaranta giorni di cui all'art. 641 primo comma cpc.
d) che se era pure vero che il giudice, oltreché dalla disamina della copia del decreto opposto, poteva anche desumere aliunde gli elementi di verifica della tempestività dell'opposizione, appariva evidente come tale indagine necessitasse di elementi di riscontro concreti e non equivoci, come il mero contegno processuale della banca opposta, sostanziatosi nel silenzio mantenuto sul punto.
Avverso questa sentenza il P. ha proposto ricorso per cassazione affidato a due motivi e notificato il 14.12.2006 alla Banca Nazionale del Lavoro S.p.A., che ha resistito con controricorso. Il 14.06.2010 si è costituita in giudizio la P. Re Credit Servicing S.p.A. quale mandataria della C. S.r.l, a sua volta cessionaria del credito azionato dalla BNL.

Motivi della decisione

In via preliminare di rito va dichiarata l'inammissibilità dell'intervento spiegato dalla società C. S.r.l., cessionaria del credito, rappresentata dalla mandataria società P. Re Credit Servicing S.p.A.. Il successore a titolo particolare nel diritto controverso può ben impugnare per cassazione la sentenza di merito, entro i termini di decadenza, ma non può intervenire nel giudizio di legittimità, mancando una espressa previsione normativa riguardante la disciplina di quell'autonoma fase processuale, che consenta al terzo la partecipazione al giudizio con facoltà di esplicare difese, assumendo una veste atipica rispetto alle parti necessarie, che hanno partecipato al giudizio di merito (cfr, da ultimo, Cass. n. 11375 del 2010) A sostegno del ricorso il P. denunzia:
1. "Violazione dell'art. 360 c.p.c. comma numero 3) in relazione agli articoli 149 c.p.c. nonché' della legge 20 novembre 1982 n. 890, nullità della sentenza per violazione o falsa applicazione di norme di diritto".
Censura l'avere i giudici di merito sostanzialmente ritenuto che la notifica a mezzo del servizio postale si fosse anche per lui perfezionata alla data di spedizione del plico e non già a quella di effettiva ricezione, questa desumibile dall'avviso di ricevimento restituito alla controparte, e che gli sia stata addebitata la mancata produzione della busta contenente il provvedimento opposto, con improprio ed irrilevante riferimento alla data del bollo di spedizione di detto avviso.
2. "Violazione dell'art. 360 c.p.c. comma 1 n. 5). Nullità della sentenza per omessa e/o insufficiente e/o contraddittoria motivazione su punti decisivi della controversia prospettati dalle parti”.
Sostiene che è stato travisato il suo motivo d'appello, laddove si è proceduto al confronto tra la data di inizio delle formalità di notificazione a mezzo posta, del decreto, ingiuntivo con quella di notifica dell'opposizione a tale provvedimento.
I due motivi, che essendo connessi consentono esame congiunto, sono fondati nei sensi in prosieguo precisati.
In linea generale:
- in tema di notificazioni a mezzo posta, quando debba accertarsi il perfezionamento della notificazione nei confronti del destinatario, posto che la data del timbro postale sulla busta corrisponde a quella di smistamento del plico presso l'ufficio postale e non all'effettivo recapito al destinatario, che può anche avvenire in data successiva, l'unico documento attestante la consegna a questi e la sua data è, di regola, l'avviso di ricevimento della raccomandata, la cui produzione in giudizio è onere che grava sulla parte notificante (cfr, da ultimo, Cass. n. 16184 del 2009).
- inoltre, in tema di opposizione a decreto ingiuntivo:
a) l'onere di provare la tempestività della opposizione grava sull'opponente e la relativa dimostrazione, pur non essendo esclusi altri mezzi,viene fornita in genere mediante la relazione di notificazione apposta in calce alla copia del provvedimento monitorio (cfr, Cass. n. 15369 del 2001).
b) la produzione della copia notificata del decreto, in uno alla copia notificata del ricorso, rappresenta lo strumento ordinario per consentire al giudice adito, tenuto all'esame d'ufficio del rispetto dei termini, trattandosi di materia regolata da norme cogenti, di controllarne "in limine" la tempestività dell'opposizione, salva comunque la possibilità di desumere aliunde la prova necessaria al riguardo (cfr Cass. 15387 del 2000).
c) la mancata produzione da parte dell'opponente della copia notificata del decreto non comporta la dichiarazione d'inammissibilità dell'opposizione, qualora la prova dell'osservanza del termine di decadenza fissato dall'art. 641 cod. proc. civ. possa essere agevolmente desunta da altri sicuri elementi, quali le ammissioni contenute nella comparsa di costituzione e risposta o nella comparsa conclusionale dell'opposto in ordine alla data della notifica (cfr Cass. n. 17495 del 2008).
Nella specie è incontroverso che Banca Nazionale del Lavoro abbia provveduto, come era suo onere (artt. 643 e 644 c.p.c.), alla notificazione del decreto ingiuntivo, che tale notificazione sia avvenuta a mezzo posta con avvio delle relative formalità in data 22.02.2000 e che si sia perfezionata con la consegna del plico al destinatario.
Emerge, altresì, che la medesima banca ingiungente non ha eccepito la tardività dell'opposizione proposta il 7.04,2000, dal P. né prodotto l'indispensabile avviso di ricevimento, a lei restituito, della notificazione del provvedimento monitorio ed ancora che non era altrimenti possibile il sicuro accertamento della data del perfezionamento della notificazione in argomento.
In tale contesto, posto anche che, per il principio in precedenza richiamato, non sarebbe stata dirimente la produzione da parte del P. della busta contenente il provvedimento a lui notificato a mezzo posta, illegittimo si rivela il rilievo d'ufficio dell'inammissibilità dell'opposizione, per il tramite dell'addebito all'opponente del difetto di prova della tempestività della sua iniziativa giudiziaria, riferito alla mancanza di produzioni documentali o per lui impossibili o sul punto non decisive. Il giudice dell'opposizione al decreto ingiuntivo può rilevare d'ufficio l'inammissibilità dell'opposizione per inosservanza del termine prescritto dall'art. 641 c.p.c., solo se dagli atti emerga con certezza la tardività dell'opposizione in riferimento sia al dies a quo, ossia alla data di notificazione del decreto, che al dies ad quem, ossia alla data della relativa opposizione, ma, qualora sia noto soltanto il dies ad quem, non può adottare analoga statuizione officiosa presumendo tale tardività in assenza di dati in tale senso significativi e segnatamente addebitando all'opponente la mancata produzione della busta contenente il decreto notificato, in quanto recante la data di smistamento del plico presso l'ufficio postale ma non anche quella di effettivo recapito al destinatario. Conclusivamente deve essere dichiarata l'inammissibilità dell'intervento spiegato dalla società P. Re Credit Servicing S.p.A., quale mandataria della società C. S.r.l, cessionaria del credito, con compensazione integrale, per giusti motivi, delle spese del giudizio di legittimità; deve essere, inoltre, accolto il ricorso proposto dal P. nei confronti della Banca Nazionale del Lavoro S.p.A., e conseguentemente l'impugnata sentenza cassata, con rinvio alla Corte di appello di Roma, in diversa composizione, cui si demanda anche la pronuncia sulle spese del giudizio di legittimità inerenti a tale rapporto processuale.

P.Q.M.

La Corte: a) dichiara inammissibile l'intervento spiegato dalla società P. Re Credit Servicing S.p.A. e compensa interamente le spese del presente giudizio tra il P. e la interveniente; b) accoglie il ricorso proposto dal P. nei confronti della Banca Nazionale del Lavoro S.p.A., cassa la sentenza impugnata e rinvia, anche per le relative spese del giudizio di cassazione, alla Corte di appello di Roma, in diversa composizione





venerdì 17 febbraio 2012

NELLE CONTROVERSIE TRA CONSUMATORE E ASSICURAZIONE LA COMPETENZA È DEL GIUDICE DEL LUOGO IN CUI IL CITTADINO RISIEDE O HA ELETTO IL DOMICILIO

NELLE CONTROVERSIE TRA CONSUMATORE E ASSICURAZIONE LA COMPETENZA È DEL GIUDICE DEL LUOGO IN CUI IL CITTADINO RISIEDE O HA ELETTO IL DOMICILIO

Cassazione, Sez. III, 26 aprile 2010, n. 9922

La disposizione dettata dall’art. 1469 bis, terzo comma, numero 19, cod. civ. - che, avendo natura di norma processuale, si applica nelle cause iniziate dopo la sua entrata in vigore, anche se relative a controversie derivanti da contratti stipulati prima - si interpreta nel senso che il legislatore, nelle controversie tra consumatore e professionista, ha stabilito la competenza territoriale esclusiva del giudice del luogo in cui il consumatore ha la residenza o il domicilio elettivo, presumendo vessatoria la clausola che preveda una diversa località come sede del foro competente, ancorché coincidente con uno di quelli individuabili sulla base del funzionamento dei vari criteri di collegamento stabiliti dal codice di procedura civile per le controversie nascenti da contratto

Cassazione, Sez. III, 26 aprile 2010, n. 9922
(Pres. Varrone – Rel. Filadoro)


Svolgimento del processo

Con sentenza 24 marzo - 19 maggio 2005, il giudice di pace di Roma dichiarava la propria incompetenza per materia e per territorio, essendo competente a decidere la controversia introdotta da E.R.contro UNIPOL (relativa alla restituzione di somme indebitamente percepite sulla base di un contratto di assicurazione per r.c.a. e a.d.r., in violazione dell’art. 2 della legge 287 del 1990), la Corte d’appello di Bologna.
Avverso tale decisione ha proposto ricorso per cassazione il R.con un unico motivo.
Resiste UNIPOL con controricorso.

Motivi della decisione

Con l’unico motivo il ricorrente deduce la violazione e falsa applicazione dell’art. 1469 bis comma 3 e 19 cod. civ. (foro esclusivo del consumatore), ed errata individuazione del giudice competente per territorio.
Il giudice di pace aveva dimostrato di non conoscere - e comunque non aveva applicato - il principio del foro esclusivo del consumatore, da individuarsi nel luogo di residenza o di domicilio elettivo dello stesso consumatore.
Tale principio, enunciato dalla ordinanza delle Sezioni Unite di questa Corte n. 14669 del 1° ottobre 2003, era stato recepito dalla successiva giurisprudenza della stessa Corte in tutti i casi in cui parti della controversia siano un professionista ed un consumatore.
Considerato che nel caso di specie l’attuale ricorrente era residente in Roma, il giudice di pace avrebbe dovuto rimettere le parti dinanzi alla Corte di appello di Roma, funzionalmente e territorialmente competente, in forza delle disposizioni di legge richiamate.
Osserva il Collegio:
avverso la decisione del giudice di pace che decide solo sulla competenza è ammissibile il ricorso per cassazione.
Secondo la giurisprudenza consolidata di questa Corte, la sentenza che accoglie l’eccezione pregiudiziale di incompetenza del giudice di pace adito contiene solo statuizioni sulla competenza; pertanto, se pronunciata in causa di valore inferiore a millecento euro, non essendo impugnabile con il regolamento di competenza, precluso ai sensi dell’art. 46 cod. proc. civ., essa è impugnabile con ricorso ordinario per cassazione.
Contrariamente a quanto dedotto dalla società ricorrente, nel caso di specie non si applicano le disposizioni introdotte dal decreto legislativo n. 40 del 2006.
Infatti, la sentenza impugnata è stata pubblicata in data 19 maggio 2005, e pertanto non trovano applicazione le disposizioni di cui all’art. 366 bis c.p.c. (che prevedevano la formulazione di un principio di diritto in tutti i casi previsti dai nn. 1, 2, 3 e 4 del comma primo dell’art. 360 c.p.c.).
Il ricorso, oltre che ammissibile, è anche fondato.
La legge “antitrust” 10 ottobre 1990, n. 287 detta norme a tutela della libertà di concorrenza aventi come destinatari non soltanto gli imprenditori, ma anche gli altri soggetti del mercato, ovvero chiunque abbia interesse, processualmente rilevante, alla conservazione del suo carattere competitivo al punto da poter allegare uno specifico pregiudizio conseguente alla rottura o alla diminuzione di tale carattere per effetto di un’intesa vietata, tenuto conto, da un lato, che, di fronte ad un’intesa restrittiva della libertà di concorrenza, il consumatore, acquirente finale del prodotto offerto dal mercato, vede eluso il proprio diritto ad una scelta effettiva tra prodotti in concorrenza, e, dall’altro, che il cosiddetto contratto “a valle” costituisce lo sbocco dell’intesa vietata, essenziale a realizzarne e ad attuarne gli effetti.
Pertanto, siccome la violazione di interessi riconosciuti rilevanti dall’ordinamento giuridico integra, almeno potenzialmente, il danno ingiusto ex art. 2043 cod. civ., il consumatore finale, che subisce danno da una contrattazione che non ammette alternative per l’effetto di una collusione “a monte”, ha a propria disposizione, ancorché non sia partecipe di un rapporto di concorrenza con gli imprenditori autori della collusione, l’azione di accertamento della nullità dell’intesa e di risarcimento del danno di cui all’art. 33 della legge n. 287 del 1990, azione la cui cognizione è rimessa da quest’ultima norma alla competenza esclusiva, in unico grado di merito, della corte d’appello (Cass. S.U. 4 febbraio 2005 n. 2207).
La disposizione dettata dall’art. 1469 bis, terzo comma, numero 19, cod. civ. - che, avendo natura di norma processuale, si applica nelle cause iniziate dopo la sua entrata in vigore, anche se relative a controversie derivanti da contratti stipulati prima - si interpreta nel senso che il legislatore, nelle controversie tra consumatore e professionista, ha stabilito la competenza territoriale esclusiva del giudice del luogo in cui il consumatore ha la residenza o il domicilio elettivo, presumendo vessatoria la clausola che preveda una diversa località come sede del foro competente, ancorché coincidente con uno di quelli individuabili sulla base del funzionamento dei vari criteri di collegamento stabiliti dal codice di procedura civile per le controversie nascenti da contratto (Cass. S.U. ord. n. 14669 del 1° ottobre 2003).
La sentenza del giudice di pace che ha deciso in senso difforme da tale principio deve, pertanto, essere cassata con rinvio alla Corte di appello di Roma, territorialmente e funzionalmente competente.
Il giudice di rinvio provvederà anche in ordine alle spese del presente giudizio.

P.Q.M.

La Corte accoglie il ricorso. Cassa e rinvia, anche per le spese di questo giudizio, alla Corte di appello di Roma.









martedì 14 febbraio 2012

COMUNIONE LEGALE TRA I CONIUGI E PRELIMINARE DI VENDITA DELL’IMMOBILE: SE MANCA IL CONSENSO DEL CONIUGE IL CONTRATTO È VALIDO? Cassazione, Sez. II, 31 gennaio 2012 1385

COMUNIONE LEGALE TRA I CONIUGI E PRELIMINARE DI VENDITA DELL’IMMOBILE: SE MANCA IL CONSENSO DEL CONIUGE IL CONTRATTO È VALIDO?
Cassazione, Sez. II, 31 gennaio 2012 1385


1. In tema di comunione legale tra i coniugi tutti gli atti di disposizione di beni immobili o beni mobili registrati appartenenti alla comunione legale, compiuti da un solo coniuge senza il necessario consenso dell'altro, ovverosia in violazione della regola dell'amministrazione congiunta, sono validi ed efficaci e sottoposti alla sola sanzione dell'annullamento ai sensi dell'art. 184 c.c. in forza dell'azione proponibile dal coniuge (il cui consenso era necessario) entro i termini previsti dalla stessa norma.
2. A sostegno di tale principio di diritto militano numerose argomentazioni: è stato affermato in particolare che, a differenza della comunione ordinaria, la comunione legale tra i coniugi prescinde rigorosamente dal dato della intestazione formale dei beni, e che, d'altra parte, se le risultanze dei registri immobiliari sono indifferenti per quanto attiene all'accertamento circa l'appartenenza dei beni alla comunione legale, è del tutto arbitrario affermare che la norma in esame non riguardi qualsiasi atto, ma soltanto gli atti concernenti i beni intestati nei registri immobiliari al coniuge disponente.
3. Rilevato poi che, in mancanza di espresse disposizioni derogatorie, gli effetti della disposizione dell'intera cosa comune nella comunione tra i coniugi soggiacciono alle stesse regole stabilite per la comunione ordinaria, e che nessun argomento autorizza a ritenere che l'art. 184 c.c. preveda che gli atti di disposizione posti in essere da uno solo dei coniugi siano soggetti a sanzioni diverse dalla annullabilità e, quindi, sottoposti ad una disciplina diversa, per giurisprudenza pacifica, tale norma, per l'esigenza di tutelare la rapidità e la certezza della circolazione dei beni in regime di comunione legale, disciplina il conflitto tra il terzo ed il coniuge pretermesso in modo più favorevole al primo, con il regime degli effetti tendente alla conservazione del negozio.
4. In regime di comunione legale tra i coniugi, il contratto preliminare di vendita di bene immobile stipulato da un coniuge senza la partecipazione o il consenso dell'altro è soggetto alla disciplina dell'art. 184 primo comma c.c., e non è pertanto inefficace nei confronti della comunione, ma solamente esposto all'azione di annullamento da parte del coniuge non consenziente, nel breve termine prescrizionale entro cui è ristretto l'esercizio di tale azione, decorrente dalla conoscenza effettiva dell'atto, ovvero, in via sussidiaria, dalla trascrizione o dallo scioglimento della comunione.


Cassazione, Sez. II, 31 gennaio 2012 1385
(Pres. Schettino – Rel.. Mazzacane)

Svolgimento del processo
Con atto di citazione notificato il 21-12-2000 C.G. assumeva:
in data 24-6.1996 l'esponente aveva stipulato con T.F. un preliminare di compravendita immobiliare avente ad oggetto un fabbricato ed annesso terreno siti in (omissis) per il corrispettivo di lire 119.500.000 di cui lire 60.000.000 versati al momento della stipulazione, lire 20.000.000 in data 12-7-1996 e la residua somma di lire 39.5000.000 da pagare all'atto del rogito;
l'immobile oggetto del contratto era in comproprietà tra il T. e la moglie L.E. , impedita alla firma per le gravi condizioni di salute psicofisica nelle quali ella versava;
nel preliminare si dava atto del fatto che il T. aveva presentato un ricorso ex art. 183 c.c. per l'esclusione della moglie dall'amministrazione dei beni comuni, cosicché il preliminare stesso era sottoposto alla condizione risolutiva costituita dal rigetto del ricorso: (il T. aveva rinunciato alla suddetta procedura, ed in data 6-12-1996 era deceduto, mentre il ricorso ex art. 183 c.c. era stato riproposto dai suoi figli, che peraltro avevano invocato la risoluzione del contratto preliminare per il verificarsi della condizione risolutiva; l'attore era riuscito a stipulare il rogito notarile di compravendita con i figli G. , L. e T.P. , mentre il figlio T.V. (che era stato nominato tutore della madre, la quale era deceduta il xxxxxxxx) non si era presentato davanti al notaio.
Tanto premesso, il C. conveniva in giudizio T.V. dinanzi al Tribunale di Saluzzo chiedendo pronunciarsi sentenza costitutiva ex art. 2932 c.c. offrendo il pagamento della residua quota di prezzo spettante al convenuto; in via subordinata chiedeva la condanna del T. al risarcimento dei danni nella somma indicativa di lire 50.000.000.
Si costituiva in giudizio il convenuto contestando il fondamento delle domande attrici di cui chiedeva il rigetto.
Il Tribunale di Saluzzo con sentenza del 9-9-2002 respingeva le domande del C. .
Proposto gravame da parte di quest'ultimo cui resisteva il T. la Corte di Appello di Torino con sentenza del 14-2-2005 ha rigettato l'impugnazione, attribuendo rilevanza decisiva al fatto che dal rogito notarile prodotto risultava che intestataria formale degli immobili era solo la L. , moglie di T.F. ; orbene, avendo stipulato il suddetto preliminare soltanto quest'ultimo, non intestatario del bene, non poteva applicarsi l'art. 184 c.c. ipotizzando la possibilità di una azione di annullamento dell'atto da parte dell'altro coniuge, ma si doveva ritenere l'atto stesso inefficace, perché la parte interessata non era in grado di conoscerlo e, quindi, di attivarsi nel termine di un anno previsto dall'art. 184 c.c..
Per la cassazione di tale sentenza il C. ha proposto un ricorso basato su di un unico articolato motivo illustrato successivamente da una memoria cui il T. ha resistito con controricorso.
Motivi della decisione
Con l'unico motivo formulato il C. , denunciando violazione e/o falsa applicazione dell'art. 184 c.c. ed insufficiente e contraddittoria motivazione, assume che la tesi del giudice di appello -secondo cui l'operatività dell'art. 184 c.c. sarebbe esclusa sia nel caso in cui il bene oggetto di comunione legale tra i coniugi risulti intestato ad entrambi, sia nel caso in cui l'atto dispositivo del bene sia stato posto in essere dal solo coniuge non intestatario - non può essere condivisa sotto diversi profili.
Il ricorrente rileva anzitutto che il testo dell'art. 184 c.c. non autorizza a distinguere tra atti concernenti beni intestati nei registri immobiliari esclusivamente al coniuge disponente da un lato,
ed atti concernenti beni intestati alla comunione coniugale ovvero non intestati al disponente dall'altro, considerato che gli artt. 177 e seguenti c.c., a differenza di quanto attiene alla comunione ordinaria, fanno riferimento ai beni della comunione coniugale indipendentemente dalla loro formale intestazione; né ciò appare in contrasto con il principio della continuità delle trascrizioni, poiché, quando i coniugi operano congiuntamente, risulta disponente del bene anche il coniuge non indicato nell'atto di provenienza; inoltre, poiché in caso di acquisto di un bene operato da uno solo dei coniugi in regime di comunione l'acquisto opera automaticamente anche a vantaggio dell'altro, non si comprende perché lo stesso principio non debba valere anche nel caso di disposizione del bene medesimo.
Il ricorrente evidenzia poi l'infondatezza dell'ulteriore assunto della Corte territoriale secondo cui la sottoscrizione del preliminare suddetto da parte del solo T.F. non intestatario formale comporterebbe l'inefficacia dell'atto, e non la semplice azione di annullamento ex art. 184 c.c., anche per la ragione che il coniuge intestatario non sarebbe stato in grado di conoscere l'atto e di attivarsi quindi nel termine di un anno di cui all'art. 184 c.c.; invero il giudice di appello è incorso nell'equivoco di considerare il momento dai quale decorre il suddetto termine coincidente con la stipula dell'atto, laddove invece esso decorre dal momento in cui il coniuge pretermesso ha effettiva conoscenza dell'atto e, in via sussidiaria, entro un anno dalla trascrizione.
Il C. inoltre, sottolineando che l'art. 184 c.c. si limita a prevedere solo l'annullabilità (o la convalida) dell'atto di disposizione dell'intero bene da parte del singolo coniuge a richiesta del coniuge pretermesso, afferma che la norma suddetta presuppone la piena efficacia dell'atto di disposizione dell'intero immobile fin dall'origine, nell'ambito di una scelta legislativa di bilanciamento della tutela da un lato della posizione del coniuge pretermesso e dall'altro del terzo acquirente.
La censura è fondata.
La sentenza impugnata ha affermato che, poiché il contratto preliminare del 24-6-1996 riguardante un immobile oggetto di comunione legale tra i coniugi T.F. ed L.E. era stato stipulato dal solo marito, non intestatario del bene, si versava in una ipotesi non già di annullamento dell'atto ex art. 184 c.c., non essendo la parte interessata in grado di conoscerlo e quindi di attivarsi nel termine annuale ivi previsto, ma di sua inefficacia; a tal riguardo ha considerato tale caso assimilabile a quello di immobile che, pur appartenente alla comunione legale, sia intestato ad entrambi i coniugi, dove pure si determinerebbe una situazione di inefficacia dell'atto, richiamando a conforto di tale assunto - secondo cui quindi l'art. 184 c.c. troverebbe applicazione solo nell'ipotesi di atto compiuto, nonostante il regime di comunione legale, dal coniuge intestatario del bene stesso -la pronuncia di questa Corte 2-2-1995 n. 1252.
Tale convincimento è frutto di un errata interpretazione dell'art. 184 c.c. ed anche di un palese fraintendimento della sentenza ora menzionata, che invero ha affermato un principio di diritto del tutto diverso rispetto a quello sostenuto dalla Corte territoriale.
Muovendo dunque con tale ultimo rilevante profilo, è bene sottolineare che con tale pronuncia si è ritenuto che in tema di comunione legale tra i coniugi tutti gli atti di disposizione di beni immobili o beni mobili registrati appartenenti alla comunione legale, compiuti da un solo coniuge senza il necessario consenso dell'altro, ovverosia in violazione della regola dell'amministrazione congiunta, sono validi ed efficaci e sottoposti alla sola sanzione dell'annullamento ai sensi dell'art. 184 c.c. in forza dell'azione proponibile dal coniuge (il cui consenso era necessario) entro i termini previsti dalla stessa norma, ed ha cassato la sentenza del giudice di merito, il quale aveva ritenuto che l'annullabilità prevista dall'art. 184 c.c. riguarderebbe la sola ipotesi in cui l'atto di disposizione sia compiuto dal coniuge che risulti unico intestatario del bene.
Occorre poi evidenziare che la motivazione della pronuncia 2-2-1995 n. 1252 di questa Corte offre esaurienti e convincerti argomentazioni a sostegno de! principio di diritto sopra enunciato; è stato invero ivi affermato in particolare che, a differenza della comunione ordinaria, la comunione legale tra i coniugi prescinde rigorosamente dal dato della intestazione formale dei beni, e che d'altra parte, se le risultanze dei registri immobiliari sono indifferenti per quanto attiene all'accertamento circa l'appartenenza dei beni alla comunione legale, è del tutto arbitrario affermare che la norma in esame non riguardi qualsiasi atto, ma soltanto gli atti concernenti i beni intestati nei registri immobiliari al coniuge disponente.
Rilevato poi che, in mancanza di espresse disposizioni derogatorie, gli effetti della disposizione dell'intera cosa comune nella comunione tra i coniugi soggiacciono alle stesse regole stabilite per la comunione ordinaria, e che nessun argomento autorizza a ritenere che l'art. 184 c.c. preveda che gli atti di disposizione posti in essere da uno solo dei coniugi siano soggetti a sanzioni diverse dalla annullabilità e, quindi, sottoposti ad una disciplina diversa, la sentenza impugnata ha concluso che tale norma, per l'esigenza di tutelare la rapidità e la certezza della circolazione dei beni in regime di comunione legale, disciplina il conflitto tra il terzo ed il coniuge pretermesso in modo più favorevole al primo, con il regime degli effetti tendente alla conservazione del negozio.
Alla luce di tali considerazioni si deve concludere che il convincimento della sentenza impugnata in ordine alla asserita inefficacia dell'atto di disposizione di un immobile oggetto di comunione legale tra i coniugi da parte del coniuge non intestatario del bene appare sprovvisto di ogni aggancio positivo ed in contrasto con il sistema di circolazione dei beni in regime di comunione legale come sopra delineato; del resto l'orientamento consolidato di questa Corte esclude una disciplina differenziata per tale ipotesi, ritenendo che, in regime di comunione legale tra i coniugi, il contratto preliminare di vendita di bene immobile stipulato da un coniuge senza la partecipazione o il consenso dell'altro è soggetto alla disciplina dell'art. 184 primo comma c.c., e non è pertanto inefficace nei confronti della comunione, ma solamente esposto all'azione di annullamento da parte del coniuge non consenziente, nel breve termine prescrizionale entro cui è ristretto l'esercizio di tale azione, decorrente dalla conoscenza effettiva dell'atto, ovvero, in via sussidiaria, dalla trascrizione o dallo scioglimento della comunione (Cass. 21-12-2001 n. 16177; Cass. 11-6-2010 n. 14093).
In definitiva in accoglimento del ricorso la sentenza impugnata deve essere cassata, e la causa deve essere rinviata da altra sezione della Corte di Appello di Torino che deciderà la controversia in conformità del principio di diritto sopra enunciato e che provvedere anche alla pronuncia sulle spese del presente giudizio.

P.Q.M.

La Corte Accoglie il ricorso, cassa la sentenza impugnata e rinvia la causa anche per la pronuncia sulle spese del presente giudizio ad altra sezione della Corte di Appello di Torino.

domenica 12 febbraio 2012

IL PEDONE HA SEMPRE RAGIONE Cassazione, sez. III, 3 maggio 2011, n. 9683

CIRCOLAZIONE STRADALE: IL PEDONE HA SEMPRE RAGIONE
Cassazione, sez. III, 3 maggio 2011, n. 9683


1. Il caso di investimento di pedone, la responsabilità del conducente prevista dall'art. 2054 c.c. è esclusa quando risulti provato che non vi era, da parte di quest'ultimo, alcuna possibilità di prevenire l'evento, situazione, questa, ricorrente allorché il pedone abbia tenuto una condotta imprevedibile e anormale, sicché l'automobilista si sia trovato nell'oggettiva impossibilità di avvistarlo e comunque di osservarne tempestivamente i movimenti.
2. Anche nel caso in cui il conducente impegni un incrocio regolato da semaforo con luce verde in suo favore, permane a suo carico un obbligo di diligenza nella condotta di guida che deve tradursi nella necessaria cautela richiesta dalla comune prudenza e dalle concrete condizioni esistenti all'incrocio


Cassazione, sez. III, 3 maggio 2011, n. 9683
(Pres. Trifone – Rel. Levi)


Fatto
Con atto di citazione regolarmente notificato S.O. conveniva in giudizio innanzi al Giudice di Pace di Roma, Sa.St.Pa. e la Meie-Aurora Assicurazioni S.p.A. per sentirli condannare in solido al risarcimento dei danni subiti nella misura di Euro 9.525,84, o in quella somma maggiore o minore ritenuta equa, a seguito del sinistro stradale verificatosi in (omissis).
Esponeva l'attrice che il 30.3.2000 si trovava a piedi in (omissis), lato Via dei …, ferma al segnale di via impedita. Al segnale di luce verde iniziava l'attraversamento sul passaggio pedonale e quando aveva quasi raggiunto lo spartitraffico centrale veniva violentemente investita dal veicolo Ford Escort, condotto da F.R. e di proprietà di Sa.St.Pa..
Si costituiva la Compagnia Assicuratrice contestando le deduzioni attoree, mentre rimaneva contumace il Sa. .
Istruita la causa con prove documentali, per testi e C.T.U. medico-legale, il G.d.P. di Roma con sentenza 29732 dell'11-30.9.2002 rigettava la domanda condannando l'attrice al. pagamento delle spese processuali.
Impugnava la predetta sentenza la S. avanti al Tribunale di Roma chiedendone la riforma.
Con sentenza n. 12726/05 dell'1.6-04.6.2005, il Tribunale di Roma confermava la sentenza di primo grado.
Propone ricorso per Cassazione S.O. con due motivi.
Resiste l'intimata Meie-Aurora Assicurazioni con controricorso e memoria ex art. 378 c.p.c..
Diritto
Con il primo motivo la ricorrente deduce erronea, insufficiente e contraddittoria motivazione circa un punto decisivo della controversia in relazione all'art. 360, n. 5 c.p.c. - Violazione del dovere di giudicare Insta alligata et probata. - Travisamento di un fatto oggetto di prova testimoniale.
Con il secondo motivo la ricorrente deduce violazione e falsa applicazione di norme di legge in relazione all'art. 360, n. 3 c.p.c. - Violazione artt. 2054 - 2043 c.c..
I motivi possono essere trattati congiuntamente.
Va osservato che nel caso il g.a. ha ritenuto la esclusiva responsabilità della ricorrente (la quale si trovava nella fase finale dell'attraversamento, sull'apposito passaggio pedonale, a breve distanza dallo spartitraffico), sul rilievo che la stessa -al momento dell'investimento - stava attraversando viale (omissis) con la luce semaforica rossa per i pedoni e la luce verde per il veicolo investitore, il quale non era quindi tenuto "ad accordare la precedenza".
Tuttavia il g.a. non ha accertato il carattere imprevedibile ed anomalo del suo comportamento e la impossibilità da parte del conducente del veicolo investitore, F.R., di prevenire l'evento e non ha accertato se l'attraversamento fosse avvenuto con luce semaforica rossa, senza quindi chiarire se all'inizio il semaforo fosse invece verde, come dichiarato dalla S. e come sembra doversi desumere dalla stessa deposizione del teste M., riportata dalla ricorrente nel ricorso.
Secondo la giurisprudenza della S.C., in caso di investimento di pedone, la responsabilità del conducente prevista dall'art. 2054 c.c. è esclusa quando risulti provato che non vi era, da parte di quest'ultimo, alcuna possibilità di prevenire l'evento, situazione, questa, ricorrente allorché il pedone abbia tenuto una condotta imprevedibile e anormale, sicché l'automobilista si sia trovato nell'oggettiva impossibilità di avvistarlo e comunque di osservarne tempestivamente i movimenti (Cass., n. 21249/2006).
E ancora, anche nel caso in cui il conducente impegni un incrocio regolato da semaforo con luce verde in suo favore, permane a suo carico un obbligo di diligenza nella condotta di guida che deve tradursi nella necessaria cautela richiesta dalla comune prudenza e dalle concrete condizioni esistenti all'incrocio (Cass., n. 8744/2000).
Il ricorso è fondato.
La sentenza impugnata va cassata con rinvio anche per le spese del giudizio di Cassazione al Tribunale di Roma in diversa composizione.

P.Q.M.

La Corte accoglie il ricorso. Cassa e rinvia al Tribunale di Roma in diversa composizione anche per le spese di cassazione.