lunedì 21 dicembre 2015
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La legge a portata di click: Pluralità di crediti e pignoramenti: ecco cosa acc...: “ C'è chi fa debiti per necessità, chi per leggerezza, chi per vizio. Solo il primo, di solito, li paga ” diceva Roberto Gervaso nel...
giovedì 10 dicembre 2015
Liquidazione dei compensi per l'attività difensiva svolta - TRIBUNALE DI LUCCA, ORD. 3 LUGLIO 2015
21 settembre 2015
http://www.eclegal.it/it/topic/procedimenti-speciali-e-adr
Liquidazione dei compensi per l’attività difensiva svolta
a cura di
Ubaldo Serra
Scarica l'ordinanza
Riduzione e semplificazione dei riti - Liquidazione degli onorari e diritti di avvocato - Procedimento sommario di cognizione – Mutamento del rito – Inammissibilità.(Cod. proc. civ., art. 702 bis; d. leg. 1° settembre 2011, n. 150, art. 15)
[1] Nel procedimento di cui all’art. 14 d. leg. 150/2011, finalizzato a definire esclusivamente controversie sul quantum degli onorari di avvocato, la proposizione in via riconvenzionale di una domanda volta a contestare la fondatezza della pretesa, impone, in mancanza della possibilità di mutamento del rito e di separazione della causa, la chiusura in rito del processo per inammissibilità della domanda.
CASO[1] Il provvedimento in epigrafe, relativo ad un procedimento instaurato ai sensi dell’art. 14 del d. Leg. 150/2011, nell’ambito del quale l’avvocato aveva domandato la liquidazione dei compensi per l’attività difensiva, la resistente, in via riconvenzionale, aveva contestato la fondatezza delle pretese, precisa, anzitutto, che il contenuto degli artt. 54, lett. b) n. 2 l. 69/2009, e 3 e 4 del d. leg. 150/2011 esclude per tali procedimenti la possibilità di conversione del rito da sommario ad ordinario, e che non è possibile la separazione del giudizio introdotto dal convenuto cliente per presunte inadempienze o negligenze da parte del professionista, poiché, per ragioni di speditezza ed opportunità la normativa in vigore non autorizza il giudice ad applicare la regola del solve et repete (art. 1462 c.c.) né a pronunciare condanna con riversa delle eccezioni del convenuto.
Pertanto, il collegio giudicante afferma che le controversie disciplinate dall’art. 28 l. 794/1942 ed oggi regolate dallo stesso art. 14 d. leg. 150/2011 riguardano esclusivamente la quantificazione degli onorari dell’avvocato e non anche i presupposti del diritto al compenso. Consegue che quando sono contestati quest’ultimi, come nel caso di specie, la trattazione e la decisione della lite devono seguire il rito ordinario.
SOLUZIONE[1] Il collegio giudicante, per la vexata quaestio, ritiene che la domanda proposta dal ricorrente ai sensi dell’art. 14 d. leg. 150/2011 sia inammissibile. Il convenuto ha contestato non solo la correttezza della quantificazione dei compensi operata in ricorso, ma anche l’esatto adempimento del mandato defensionale da parte del ricorrente, oltre ai presupposti della spettanza dei compensi. Alla luce del fatto che l’oggetto delle controversie disciplinate dapprima dall’art. 28 l. 794/42 e poi dal d. leg. 150/2011 non possono essere estese anche ai presupposti dei diritti al compenso, essendo questi ultimi, nel caso di specie, contestati dal resistente, ne consegue che la trattazione e la decisione della lite devono seguire il rito ordinario.
Pertanto considerato che non è possibile disporre il mutamento di rito, né separare le domande, il ricorso è dichiarato inammissibile; l’art. 4 d. leg. 150/2011 prevede, infatti, la possibilità di mutamento del rito nel caso in cui una controversia «viene promossa in forme diverse da quelle previste dal presente decreto» che non ricorre nel caso de quo, in cui la causa è stata, invece, correttamente promossa nelle forme dell’art. 14 d. leg. 150/2011.
QUESTIONI[1] Secondo l’art. 28 l. 13 giugno 1942, n. 794, espressamente abrogato dall’art. 34 del d. leg. 150/2011, «per la liquidazione delle spese, degli onorari e dei diritti nei confronti del proprio cliente l’avvocato, dopo la decisione della causa o l’estinzione della procura, se non intende seguire il procedimento di cui agli artt. 633 e seguenti del codice di procedura civile, procede ai sensi dell’art. 14 del d. Leg. 150/2011» (cfr. Cass. 29 gennaio 1996, n. 672, in Giur. it., 1997, I, 1, 226).
L’art. 14 del medesimo decreto inoltre prevede che: «1. Le controversie previste dall'articolo 28 della legge 13 giugno 1942, n. 794, e l'opposizione proposta a norma dell'articolo 645 del codice di procedura civile contro il decreto ingiuntivo riguardante onorari, diritti o spese spettanti ad avvocati per prestazioni giudiziali sono regolate dal rito sommario di cognizione, ove non diversamente disposto dal presente articolo. 2. E' competente l'ufficio giudiziario di merito adito per il processo nel quale l'avvocato ha prestato la propria opera. Il tribunale decide in composizione collegiale. 3. Nel giudizio di merito le parti possono stare in giudizio personalmente. 4. L'ordinanza che definisce il giudizio non è appellabile».
Pertanto tale disciplina si applica esclusivamente nelle controversie che hanno ad oggetto l’esatta determinazione degli onorari derivanti da prestazioni giudiziali con l’esclusione di quelle riguardanti i presupposti del diritto al compenso, o altresì, alla sussistenza di cause estintive o limitative.
Il professionista che abbia intenzione di proporre domanda giudiziale per la liquidazione delle spese, degli onorari e dei diritti nei confronti del proprio cliente, deve avvalersi del rito sommario di cognizione ex art. 702 bis c.p.c. (C. Consolo, Prime osservazioni introduttive sul d. leg. n. 150/2011 di riordino - e relativa “semplificazione” - dei riti settoriali, in Corriere giur., 2011, 11).
Lo stesso art.14 d. leg. 150/2011 regola l’ipotesi in cui, a seguito di ricorso ex art. 28 della l. 794/1942, si controverta unicamente in ordine alla misura del compenso previsto per l’avvocato, il che giustifica le peculiarità del procedimento (cfr. Corte cost. 1 aprile 2014 n. 65, che ha dichiarato non fondata la questione di legittimità costituzionale degli artt. 3, 1° comma, e 14, 2° comma, sollevata in riferimento all’art. 76 Cost.).
Dunque, vi è un chiaro dato normativo che induce a ritenere che possa trovare tuttora applicazione l’indirizzo più rigoroso, nato e sviluppatosi con riguardo alla disciplina previgente, secondo il quale l’ampliamento del giudizio all’an della pretesa rende inammissibile il ricorso (sul tema G. Balena, Commento all’art. 14 in Codice di procedura civile commentato. La “semplificazione” dei riti e altre riforme processuali 2010-2011 diretto da C. Consolo, Milano, 2012, 192).
Occorre precisare che l’interpretazione così rigidamente ortodossa e formalista sembra dar vita ad una chiara aporia del sistema, giacché consente al convenuto di paralizzare l’azione e ottenere la chiusura in rito del processo, anche con finalità strumentali, semplicemente opponendo una domanda riconvenzionale (ex plurimis, cfr. Cass.,20 luglio 2012, n. 12609, Foro it., 2012, I, 2649; Cass. 5 maggio 2011, n. 17053, id., Rep. 2011, voce Avvocato, n. 182; tra le prununce di merito, v. Trib. Mantova, ord. 16 dicembre 2014; Trib. Verona, ord. 3 maggio 2013).
mercoledì 18 novembre 2015
Avv. Gennaro De Natale - Salerno: MEMORIA DI COSTITUZIONE E RISPOSTA
Avv. Gennaro De Natale - Salerno: MEMORIA DI COSTITUZIONE E RISPOSTA: TRIBUNALE DI SALERNO MEMORIA DI COSTITUZIONE E RISPOSTA Per I Sigg.ri ************* , rappresentate e difese dall’avv. Massimili...
mercoledì 21 ottobre 2015
Omessa indicazione della PCE nell'atto giudiziario Cassazione VI Civile – 2, ordinanza 11 dicembre 2014 – 4 maggio 2015, n. 8870
mercoledì 29 luglio 2015
giovedì 9 luglio 2015
Nesso eziologico e responsabilità aquiliana Corte di Cassazione, sezione III Civile Sentenza 21 aprile – 23 giugno 2015, n. 12923
Nesso eziologico e responsabilità aquiliana
Corte di Cassazione, sezione III Civile
Sentenza 21 aprile – 23 giugno 2015, n. 12923
Corte di Cassazione, sezione III Civile
Sentenza 21 aprile – 23 giugno 2015, n. 12923
Corte di Cassazione, sezione III Civile
Sentenza 21 aprile – 23 giugno 2015, n. 12923
Presidente Segreto – Relatore Lanzillo
Sentenza 21 aprile – 23 giugno 2015, n. 12923
Presidente Segreto – Relatore Lanzillo
Svolgimento del processo
Il (omissis) è deceduto G.V. , a seguito
di un incidente stradale provocato dall’automobile di T.M. , che ha
tamponato il ciclomotore condotto dall’infortunato. La moglie del G. ,
L.D. , che era ricoverata in Ospedale per un tumore terminale
addominale, informata dell’accaduto, ha chiesto di essere dimessa e –
giunta a casa – è deceduta la sera dello stesso giorno, per collasso
cardiocircolatorio. I figli, G.S. , W. e A. , nonché i fratelli di G.V. ,
Sa. , M. e G.G. , hanno proposto al Tribunale domanda di risarcimento
dei danni nei confronti del responsabile e della sua assicuratrice
s.p.a. Liguria Ass.ni. Esperita l’istruttoria nel contraddittorio con la
compagnia assicuratrice, il Tribunale ha attribuito l’esclusiva
responsabilità del sinistro al T. e ha condannato i convenuti in via
solidale al risarcimento dei danni, quantificati in Euro 430.382,97
(detratto l’acconto versato dalla compagnia) in favore dei figli per la
morte del padre, e in Euro 99.125,77 complessivi in favore dei fratelli
di G.V. , oltre ai due terzi delle spese del giudizio.
I danneggiati hanno proposto appello, facendo valere, fra l’altro: i figli il mancato risarcimento dei danni morali subiti dalla madre per la morte del marito – diritto loro pervenuto iure haereditario – ed il risarcimento dei danni da essi stessi subiti iure proprio per la morte della madre; i fratelli l’insufficiente liquidazione dei danni morali.
Con sentenza 11 – 26 maggio 2011 n. 1556 la Corte di appello di Milano ha riconosciuto il diritto della L. al risarcimento dei danni morali, per il breve tempo in cui è sopravvissuta al marito, danni che ha quantificato in Euro 21.000,00. Ha escluso la sussistenza del nesso causale fra l’incidente stradale e la morte della L. e ha confermato nel resto la sentenza impugnata, ponendo a carico di Gr.Sa. , M. e G. un quarto delle spese di appello.
I danneggiati hanno proposto appello, facendo valere, fra l’altro: i figli il mancato risarcimento dei danni morali subiti dalla madre per la morte del marito – diritto loro pervenuto iure haereditario – ed il risarcimento dei danni da essi stessi subiti iure proprio per la morte della madre; i fratelli l’insufficiente liquidazione dei danni morali.
Con sentenza 11 – 26 maggio 2011 n. 1556 la Corte di appello di Milano ha riconosciuto il diritto della L. al risarcimento dei danni morali, per il breve tempo in cui è sopravvissuta al marito, danni che ha quantificato in Euro 21.000,00. Ha escluso la sussistenza del nesso causale fra l’incidente stradale e la morte della L. e ha confermato nel resto la sentenza impugnata, ponendo a carico di Gr.Sa. , M. e G. un quarto delle spese di appello.
G.S. , W. e A. propongono quattro motivi di ricorso per cassazione.
Gli intimati non hanno depositato difese
Gli intimati non hanno depositato difese
Motivi della decisione
1.- Con il primo e il secondo motivo –
che possono essere congiuntamente esaminati perché connessi – i figli
del defunto G.V. denunciano insufficiente motivazione nei capi in cui la
sentenza di appello ha proceduto alla valutazione equitativa dei danni
non patrimoniali da essi subiti iure proprio per la morte del padre
(primo motivo), nonché alla valutazione equitativa dei danni morali
subiti dalla defunta madre in conseguenza della morte del marito, danni
che essi hanno fatto valere iure haereditario (secondo motivo).
Addebitano alla sentenza impugnata, nella sostanza, di avere proceduto alla quantificazione dei danni in termini inadeguati, omettendo di tenere conto di dati rilevanti, quali la circostanza che i figli hanno perso contemporaneamente entrambi i genitori e sono stati fortemente traumatizzati dalle modalità tragiche e cruente che hanno caratterizzato la morte del padre.
2.- I motivi sono infondati se non anche inammissibili, in quanto investono valutazioni equitative della Corte di merito, quali sono quelle che attengono alla quantificazione dei danni non patrimoniali.
È noto che tale quantificazione comporta sempre ed inevitabilmente un certo margine di opinabilità del giudizio, a causa dell’impossibilità di tradurre in termini di denaro dolori, traumi e ferite che attengono ai sentimenti delle persone ed ai loro rapporti affettivi, la cui intensità varia anche in relazione alle rispettive sensibilità e condizioni soggettive.
In considerazione di ciò il sistema giuridico si propone di salvaguardare quanto meno il principio della certezza delle valutazioni, mediante il ricorso alle tabelle di valutazione dei danni non patrimoniali, elaborate dalla Corti sulla base delle decisioni assunte nei casi simili; mentre la giurisprudenza sollecita gli interpreti ad uniformarsi ai valori espressi nelle tabelle di un unico Tribunale (per l’appunto il Tribunale di Milano, che ha deciso il caso in esame) (Cass. civ. S.U.).
2.1.- Ciò premesso, i ricorrenti ammettono che le somme liquidate a ciascun figlio per la morte del padre (Euro 130.000,00) sono oggettivamente comprese nell’ambito dei valori tabellari, ma lamentano nella sostanza che esse siano state quantificate in termini lontani dai massimi, nonostante le peculiarità del caso.
Le censure sono inammissibili in quanto attengono a valutazioni essenzialmente in fatto, rimesse alla discrezionalità delle Corti di merito e non suscettibili di riesame in sede di legittimità, e che sono comunque ingiustificate, ove si consideri che le somme liquidate sono tutt’altro che irrisorie e che sono state adeguatamente motivate dalla sentenza impugnata, con riferimento all’età non giovane del genitore (66 anni); al fatto che i tre figli erano tutti adulti (due di essi ultraquarantenni); che nessuno dei tre era più convivente con il padre e che due di essi vivevano addirittura in un’altra città (Sentenza, pag. 15).
Neppure é incongruente od illogica l’attribuzione della stessa somma a tutti i figli, anche alla figlia non trasferitasi altrove, ma comunque non convivente con i genitori, su cui i ricorrenti ripetutamente insistono.
A parte l’impossibilità di istituire una diretta correlazione fra la distanza chilometrica e l’intensità dei vincoli affettivi fra le parti, la valorizzazione della circostanza è inidonea a giustificare le censure proposte, poiché una diversa valutazione avrebbe potuto giustificare l’attribuzione alla figlia “vicina” di una somma maggiore di quella di fatto liquidata (come presumibilmente auspicato dai ricorrenti), ma anche l’assegnazione ai figli “lontani” di una somma inferiore, data l’insussistenza, si ripete, di una diretta correlazione fra i sentimenti personali e la loro traduzione in una somma di denaro determinata e prevedibile a priori.
In sintesi, le censure proposte non sono rilevanti al fine di dimostrare gli asseriti vizi di motivazione e, pur se rivestite di argomentazioni più o meno attendibili dal punto di vista della logica e del buon senso, nella sostanza sollecitano solo una nuova e diversa valutazione di merito in ordine alla quantificazione equitativa dei danni non patrimoniali.
2.2.- Analoghe considerazioni valgono quanto alla liquidazione dei danni non patrimoniali subiti dalla madre dei ricorrenti.
La somma di Euro 21.000,00, attribuita a questo titolo, è effettivamente inferiore ai valori tabellari che, in relazione alla fattispecie.
Resta il fatto che la Corte di appello ha motivato la riduzione dell’importo con il fatto che la donna è sopravvissuta al marito per una sola giornata e che a tale intervallo di tempo va rapportata l’entità del danno.
Trattasi di motivazione che obiettivamente non presta il fianco a censure di illogicità o di incongruenza.
3.- Con il terzo motivo i ricorrenti denunciano insufficiente o contraddittoria motivazione nel capo in cui la Corte di appello ha escluso la sussistenza del nesso causale fra l’incidente occorso al G. , cui ha fatto seguito la tragica morte di lui, ed il collasso cardiocircolatorio che ha causato la morte della sua vedova, alla fine della stessa giornata.
4. – Il motivo non è fondato.
Con valutazione di merito, anch’essa non suscettibile di riesame in questa sede, la Corte di appello ha escluso il nesso causale fra il comportamento dell’investitore e la morte della moglie dell’infortunato sulla base delle seguenti considerazioni:
a) l’arresto cardiocircolatorio che ha causato la morte della donna non può prescindere dalla grave malattia da cui la stessa era affetta e per la quale era stata ricoverata in ospedale (subocclusione intestinale con metastasi epatiche e peritoneali da carcinoma dell’endometrio), che ne avrebbero comunque causato la morte a breve distanza di tempo;
b) l’arresto cardiocircolatorio è riconducibile alla decisione libera e del tutto personale della donna di lasciare l’ospedale (pur se per ragioni, umanamente comprensibili) e ciò ha comportato il suo allontanamento dal luogo in cui sarebbe stata seguita e monitorata dai sanitari in modo da evitare che l’emozione del momento producesse l’esito letale: scelta autonoma, estranea alla prevedibilità del responsabile del sinistro, a cui va attribuito il ruolo di causa sopravvenuta condizionante il determinarsi dell’evento.
Trattasi di motivazione che manifesta in termini chiari e logicamente coerenti la convinzione della Corte di merito circa l’impossibilità di ravvisare un nesso di regolarità causale fra l’evento luttuoso e l’incidente stradale, quale suo antecedente, dovendo il decesso considerarsi evento indipendente dal comportamento del responsabile del sinistro e avulso da ogni sua possibilità di previsione e di controllo, quale conseguenza immediata e diretta dell’illecito.
La giurisprudenza di questa Corte ha più volte avvertito che, in tema di responsabilità civile extracontrattuale, il nesso causale tra la condotta illecita ed il danno è regolato dal principio di cui agli artt. 40 e 41 cod. pen., in base al quale un evento è da considerare causato da un altro se il primo non si sarebbe verificato in assenza del secondo, nonché dal criterio della cosiddetta causalità adeguata, sulla scorta del quale, all’interno della serie causale, occorre dare rilievo solo a quegli eventi che non appaiano – ad una valutazione “ex ante” – del tutto inverosimili. Ne consegue che, ai fini della riconducibilità dell’evento dannoso ad un determinato fatto o comportamento, non è sufficiente che tra l’antecedente ed il dato consequenziale sussista un rapporto di sequenza temporale, essendo invece necessario che tale rapporto integri gli estremi di una sequenza possibile, alla stregua di un calcolo di regolarità statistica, per cui l’evento appaia come una conseguenza non imprevedibile dell’antecedente (Cass. civ. Sez. 3, 31 maggio 2005 n. 11609; Cass. civ. Sez. Lav., 14 aprile 2010 n. 8885; Cass. civ. Sez. 1, 23 dicembre 2010 n. 26042; Cass. civ. Sez. 3, 21 luglio 2011 n. 15991).
Né vale osservare, come fanno i ricorrenti, che in tema di illecito civile il danneggiante risponde anche dei danni imprevedibili.
In ordine al problema in oggetto viene infatti in rilievo una nozione di prevedibilità che è diversa da quella che attiene alle conseguenze dannose, a cui si riferisce l’art. 1225 cod. civ., e che è diversa anche dalla prevedibilità posta a base del giudizio di colpa, poiché essa prescinde da ogni riferimento alla diligenza dell’uomo medio, ossia all’elemento soggettivo dell’illecito, e concerne invece le regole statistiche e probabilistiche necessarie per stabilire il collegamento di un certo evento ad un dato fatto o comportamento. Nell’ambito di tale nozione di prevedibilità, sono risarcibili in tema di responsabilità aquiliana i danni che siano un effetto normale dell’illecito, in base al suddetto criterio della causalità adeguata (Cass. civ. n. 11609/2005, cit.).
Salvo che sia fornita la prova specifica del contrario. Nella specie, pur se non si può in astratto escludere che l’improvvisa morte del marito possa avere provocato alla moglie un trauma psico-emotivo tale da concorrere a provocarne la morte, la circostanza non è stata positivamente accertata; né gli attori in giudizio hanno dedotto e dimostrato specifiche circostanze idonee a fornire guanto meno un principio di prova in tal senso, nei limiti di quanto avrebbe potuto giustificare l’ammissione di apposita CTU per il relativo accertamento, od offrire sufficiente argomento per ricorrere alla prova presuntiva.
In sintesi, la Corte di appello si è uniformata ai principi di legge in tema di causalità adeguata, come esplicitati dalla giurisprudenza sopra citata, ed ha congruamente motivato la sua decisione, in considerazione della mancanza di prova di un concreto ed effettivo collegamento fra l’illecito e il danno lamentato dai ricorrenti.
5.- Il quarto motivo, che attiene alla condanna alle spese, risulta assorbito.
6.- Considerata la natura della controversia e la problematicità delle questioni giuridiche trattate, si ravvisano giusti motivi per compensare le spese del presente giudizio.
Addebitano alla sentenza impugnata, nella sostanza, di avere proceduto alla quantificazione dei danni in termini inadeguati, omettendo di tenere conto di dati rilevanti, quali la circostanza che i figli hanno perso contemporaneamente entrambi i genitori e sono stati fortemente traumatizzati dalle modalità tragiche e cruente che hanno caratterizzato la morte del padre.
2.- I motivi sono infondati se non anche inammissibili, in quanto investono valutazioni equitative della Corte di merito, quali sono quelle che attengono alla quantificazione dei danni non patrimoniali.
È noto che tale quantificazione comporta sempre ed inevitabilmente un certo margine di opinabilità del giudizio, a causa dell’impossibilità di tradurre in termini di denaro dolori, traumi e ferite che attengono ai sentimenti delle persone ed ai loro rapporti affettivi, la cui intensità varia anche in relazione alle rispettive sensibilità e condizioni soggettive.
In considerazione di ciò il sistema giuridico si propone di salvaguardare quanto meno il principio della certezza delle valutazioni, mediante il ricorso alle tabelle di valutazione dei danni non patrimoniali, elaborate dalla Corti sulla base delle decisioni assunte nei casi simili; mentre la giurisprudenza sollecita gli interpreti ad uniformarsi ai valori espressi nelle tabelle di un unico Tribunale (per l’appunto il Tribunale di Milano, che ha deciso il caso in esame) (Cass. civ. S.U.).
2.1.- Ciò premesso, i ricorrenti ammettono che le somme liquidate a ciascun figlio per la morte del padre (Euro 130.000,00) sono oggettivamente comprese nell’ambito dei valori tabellari, ma lamentano nella sostanza che esse siano state quantificate in termini lontani dai massimi, nonostante le peculiarità del caso.
Le censure sono inammissibili in quanto attengono a valutazioni essenzialmente in fatto, rimesse alla discrezionalità delle Corti di merito e non suscettibili di riesame in sede di legittimità, e che sono comunque ingiustificate, ove si consideri che le somme liquidate sono tutt’altro che irrisorie e che sono state adeguatamente motivate dalla sentenza impugnata, con riferimento all’età non giovane del genitore (66 anni); al fatto che i tre figli erano tutti adulti (due di essi ultraquarantenni); che nessuno dei tre era più convivente con il padre e che due di essi vivevano addirittura in un’altra città (Sentenza, pag. 15).
Neppure é incongruente od illogica l’attribuzione della stessa somma a tutti i figli, anche alla figlia non trasferitasi altrove, ma comunque non convivente con i genitori, su cui i ricorrenti ripetutamente insistono.
A parte l’impossibilità di istituire una diretta correlazione fra la distanza chilometrica e l’intensità dei vincoli affettivi fra le parti, la valorizzazione della circostanza è inidonea a giustificare le censure proposte, poiché una diversa valutazione avrebbe potuto giustificare l’attribuzione alla figlia “vicina” di una somma maggiore di quella di fatto liquidata (come presumibilmente auspicato dai ricorrenti), ma anche l’assegnazione ai figli “lontani” di una somma inferiore, data l’insussistenza, si ripete, di una diretta correlazione fra i sentimenti personali e la loro traduzione in una somma di denaro determinata e prevedibile a priori.
In sintesi, le censure proposte non sono rilevanti al fine di dimostrare gli asseriti vizi di motivazione e, pur se rivestite di argomentazioni più o meno attendibili dal punto di vista della logica e del buon senso, nella sostanza sollecitano solo una nuova e diversa valutazione di merito in ordine alla quantificazione equitativa dei danni non patrimoniali.
2.2.- Analoghe considerazioni valgono quanto alla liquidazione dei danni non patrimoniali subiti dalla madre dei ricorrenti.
La somma di Euro 21.000,00, attribuita a questo titolo, è effettivamente inferiore ai valori tabellari che, in relazione alla fattispecie.
Resta il fatto che la Corte di appello ha motivato la riduzione dell’importo con il fatto che la donna è sopravvissuta al marito per una sola giornata e che a tale intervallo di tempo va rapportata l’entità del danno.
Trattasi di motivazione che obiettivamente non presta il fianco a censure di illogicità o di incongruenza.
3.- Con il terzo motivo i ricorrenti denunciano insufficiente o contraddittoria motivazione nel capo in cui la Corte di appello ha escluso la sussistenza del nesso causale fra l’incidente occorso al G. , cui ha fatto seguito la tragica morte di lui, ed il collasso cardiocircolatorio che ha causato la morte della sua vedova, alla fine della stessa giornata.
4. – Il motivo non è fondato.
Con valutazione di merito, anch’essa non suscettibile di riesame in questa sede, la Corte di appello ha escluso il nesso causale fra il comportamento dell’investitore e la morte della moglie dell’infortunato sulla base delle seguenti considerazioni:
a) l’arresto cardiocircolatorio che ha causato la morte della donna non può prescindere dalla grave malattia da cui la stessa era affetta e per la quale era stata ricoverata in ospedale (subocclusione intestinale con metastasi epatiche e peritoneali da carcinoma dell’endometrio), che ne avrebbero comunque causato la morte a breve distanza di tempo;
b) l’arresto cardiocircolatorio è riconducibile alla decisione libera e del tutto personale della donna di lasciare l’ospedale (pur se per ragioni, umanamente comprensibili) e ciò ha comportato il suo allontanamento dal luogo in cui sarebbe stata seguita e monitorata dai sanitari in modo da evitare che l’emozione del momento producesse l’esito letale: scelta autonoma, estranea alla prevedibilità del responsabile del sinistro, a cui va attribuito il ruolo di causa sopravvenuta condizionante il determinarsi dell’evento.
Trattasi di motivazione che manifesta in termini chiari e logicamente coerenti la convinzione della Corte di merito circa l’impossibilità di ravvisare un nesso di regolarità causale fra l’evento luttuoso e l’incidente stradale, quale suo antecedente, dovendo il decesso considerarsi evento indipendente dal comportamento del responsabile del sinistro e avulso da ogni sua possibilità di previsione e di controllo, quale conseguenza immediata e diretta dell’illecito.
La giurisprudenza di questa Corte ha più volte avvertito che, in tema di responsabilità civile extracontrattuale, il nesso causale tra la condotta illecita ed il danno è regolato dal principio di cui agli artt. 40 e 41 cod. pen., in base al quale un evento è da considerare causato da un altro se il primo non si sarebbe verificato in assenza del secondo, nonché dal criterio della cosiddetta causalità adeguata, sulla scorta del quale, all’interno della serie causale, occorre dare rilievo solo a quegli eventi che non appaiano – ad una valutazione “ex ante” – del tutto inverosimili. Ne consegue che, ai fini della riconducibilità dell’evento dannoso ad un determinato fatto o comportamento, non è sufficiente che tra l’antecedente ed il dato consequenziale sussista un rapporto di sequenza temporale, essendo invece necessario che tale rapporto integri gli estremi di una sequenza possibile, alla stregua di un calcolo di regolarità statistica, per cui l’evento appaia come una conseguenza non imprevedibile dell’antecedente (Cass. civ. Sez. 3, 31 maggio 2005 n. 11609; Cass. civ. Sez. Lav., 14 aprile 2010 n. 8885; Cass. civ. Sez. 1, 23 dicembre 2010 n. 26042; Cass. civ. Sez. 3, 21 luglio 2011 n. 15991).
Né vale osservare, come fanno i ricorrenti, che in tema di illecito civile il danneggiante risponde anche dei danni imprevedibili.
In ordine al problema in oggetto viene infatti in rilievo una nozione di prevedibilità che è diversa da quella che attiene alle conseguenze dannose, a cui si riferisce l’art. 1225 cod. civ., e che è diversa anche dalla prevedibilità posta a base del giudizio di colpa, poiché essa prescinde da ogni riferimento alla diligenza dell’uomo medio, ossia all’elemento soggettivo dell’illecito, e concerne invece le regole statistiche e probabilistiche necessarie per stabilire il collegamento di un certo evento ad un dato fatto o comportamento. Nell’ambito di tale nozione di prevedibilità, sono risarcibili in tema di responsabilità aquiliana i danni che siano un effetto normale dell’illecito, in base al suddetto criterio della causalità adeguata (Cass. civ. n. 11609/2005, cit.).
Salvo che sia fornita la prova specifica del contrario. Nella specie, pur se non si può in astratto escludere che l’improvvisa morte del marito possa avere provocato alla moglie un trauma psico-emotivo tale da concorrere a provocarne la morte, la circostanza non è stata positivamente accertata; né gli attori in giudizio hanno dedotto e dimostrato specifiche circostanze idonee a fornire guanto meno un principio di prova in tal senso, nei limiti di quanto avrebbe potuto giustificare l’ammissione di apposita CTU per il relativo accertamento, od offrire sufficiente argomento per ricorrere alla prova presuntiva.
In sintesi, la Corte di appello si è uniformata ai principi di legge in tema di causalità adeguata, come esplicitati dalla giurisprudenza sopra citata, ed ha congruamente motivato la sua decisione, in considerazione della mancanza di prova di un concreto ed effettivo collegamento fra l’illecito e il danno lamentato dai ricorrenti.
5.- Il quarto motivo, che attiene alla condanna alle spese, risulta assorbito.
6.- Considerata la natura della controversia e la problematicità delle questioni giuridiche trattate, si ravvisano giusti motivi per compensare le spese del presente giudizio.
P.Q.M.
La Corte di cassazione rigetta il ricorso e compensa le spese del giudizio di cassazione.
Terzo trasportato, cinture di sicurezza, risarcimento Suprema Corte di Cassazione III Sezione Civile Sentenza del 15 maggio 2012, n.7533
Sentenza – Terzo trasportato, cinture di sicurezza, risarcimento
Suprema Corte di Cassazione III Sezione Civile
Sentenza del 15 maggio 2012, n.7533
Suprema Corte di Cassazione III Sezione Civile
Sentenza del 15 maggio 2012, n.7533
Ritenuto in fatto
M.B., nella sua qualita’ di tutore del figlio C.B. convenne in
giudizio, dinanzi al Tribunale di Treviso, A.D.M., la s.r.l. D.M.
Assicurazioni e la s.p.a. W. Assicurazioni per ottenerne la condanna
solidale al risarcimento dei danni subiti dal figlio a causa di un
sinistro del quale attribuiva la responsabilita‘ al medesimo A.D.M., conducente dell’autovettura sulla quale lo stesso C.B. viaggiava in qualita’ di trasportato.
Si costituivano i convenuti deducendo che la condotta del
danneggiato era stata causa esclusiva dell’accaduto, in quanto C.B. si
era sporto con tutto il busto fuori dal veicolo sul quale era trasportato.
Il Tribunale rigettava la domanda attrice.
La Corte d’Appello confermava la sentenza di primo grado.
Propone ricorso per cassazione M.B., con tre motivi e presenta memoria.
Gli intimati non svolgono attivita’ difensiva.
Motivi della decisione
Con il primo motivo si denuncia «Violazione o falsa applicazione delle norme ex 360, n. 3, c.p.c. con riferimento agli artt. 2054, 1° comma, c.c. e 41 c.p.; violazione dell’ art. 360 n. 5 c.p.c. per contraddittoria motivazione. »
Secondo parte ricorrente la Corte
d’ Appello, prima di valutare se l’azione omessa (il non avere
arrestato il veicolo o il non aver deviato verso il centro della strada
oppure, ancor prima, il non aver imposto l’uso delle cinture di sicurezza) fu effettivamente idonea ad impedire l’evento (e quindi l’urto del B. contro il palo) avrebbe dovuto chiedersi se l’azione che ci si sarebbe potuta attendere dal conducente sarebbe stata di per se’ idonea ad impedire l’evento.
A questa stregua la Corte avrebbe dovuto prima valutare l’esistenza del nesso causale tra l’omissione e
l’evento e poi considerare se fosse stata sussistente una idonea prova
liberatoria in termini di prevedibilita’ ed evitabilita’ dell’evento
stesso.
Con il secondo motivo si lamenta « Violazione o falsa applicazione delle norme ex 360, n. 3, c.p.c., con riferimento agli artt. 2054, 1° comma, c.c. e 169 c.d.s.; violazione dell’art. 360 n. 5 c.p.c. per contraddittoria motivazione su un punto decisivo della controversia, riguardante il tempo trascorso dalla percezione del pericolo da parte del D.M. e l’evento, e dunque riguardante la possibilita’ di porre in essere manovre eversive; erroneo superamento della presunzione diresponsabilita‘ di cui all’art. 2054, 1° comma, c.c.».
Secondo parte ricorrente la Corte
ha falsamente applicato il primo comma dell’art. 2054 c.c. ed ha
violato l’art. 169 del codice della strada ritenendo, in maniera del
tutto erronea e con motivazione contraddittoria, superata la presunzione dello stesso art. 2054 c.c.
Con il terzo motivo si denuncia «Violazione o falsa applicazione delle norme ex 360, n. 3 c.p.c. con riferimento agli e artt. 116 c.p.c. e 2733 c.c.; violazione dell’art. 360, n. 5 c.p.c. per omessa motivazione su un punto decisivo della controversia,riguardante il valore probatorio della confessione resa dal convenuto D.M.»
Secondo parte ricorrente la Corte
ha completamente omesso di attribuire alla confessione del D.M. il
giusto valore di prova legale di prova legale valorizzando invece le
testimonianze, ma omettendo completamente ogni riferimento al valore
confessorio delle dichiarazioni rese dal D.M. in sede di interrogatorio
formale.
I tre motivi, che per la loro stretta connessione devono essere congiuntamente esaminati, sono fondati.
Qualora infatti la messa in circolazione dell’autoveicolo in condizioni di insicurezza (e tale e’ la circolazione senza che iltrasportato abbia allacciato le cinture di sicurezza), sia ricollegabile all’azione od omissione non solo del trasportato, ma anche del conducente (che
prima di iniziare e proseguire la marcia deve controllare che essa
avvenga in conformita’ della normali norme di prudenza e sicurezza), fra costoro si e’ formato il consenso alla circolazione medesima con consapevole partecipazione di ciascuno alla condotta colposa dell’altro ed accettazione dei relativi rischi; pertanto si verifica un’ipotesi dicooperazione nel fatto colposo, cioe’ di cooperazione nell’azione
produttiva dell’evento (diversa da quella in cui distinti fatti colposi
convergano autonomamente nella produzione dell’evento). In tale
situazione, deve ritenersi risarcibile, a carico delconducente del
suddetto veicolo e secondo la normativa generale degli artt. 2043,
2056, 1227 c.c., anche il pregiudizio all’integrita’ fisica che il trasportato abbia subito in conseguenza dell’incidente, tenuto conto che il comportamento dello stesso, nell’ambito dell’indicata cooperazione, non puo’ valere ad interrompere il nesso causale tra la condotta delconducente ed
il danno, ne’ ad integrare un valido consenso alla lesione ricevuta,
vertendosi in materia di diritti indisponibili (Cass., 11 marzo 2004, n.
4993).
Nel caso in esame la Corte d’Appello,
dopo aver accertato il mancato uso delle cinture di sicurezza da parte
del B., non poteva escludere il nesso di causalita’ tra l’omissione del conducente e l’evento lesivo subito dello stesso B.
L’uso della cintura avrebbe infatti impedito a quest’ultimo di sporgersi dal finestrino e di subire il relativo danno.
La corte territoriale ha poi ritenuto che sia l’imprevedibilita’ e la repentinita’ della condotta di C.B., sia il brevissimo lasso temporale intercorso fra l’uscita dall’abitacolo e la collisione erano insufficienti a consentire al Q. di ritrarre il ragazzo all’interno dell’auto. Tale circostanza per la Corte e’ decisiva considerando il fatto che il conducente della vettura, una volta intimato al trasportato di rientrare nell’abitacolo poteva aspettarsi un ravvedimento dello stesso.
La motivazione non puo’ essere condivisa in quanto illogica e contraddittoria poiche’ esclude la responsabilita‘ delconducente ritenendo che egli abbia fornito la prova liberatoria di aver fatto tutto il possibile per evitare il danno.
Nella fattispecie in esame invece l’ampiezza della carreggiata era tale da consentire al conducente di allontanarsi dal margine destro senza invadere l’altra corsia.
Inoltre dalla dichiarazione confessoria riportata dal convenuto D.M.
risulta che egli aveva visto sporgersi dal finestrino C.B. e lo aveva
richiamato; dopo, guardando la strada aveva notato il palo
dell’illuminazione collocato fuori dal marciapiedi ad una distanza
inferiore a 300 metri.
In questo margine di tempo era possibile
sterzare a sinistra o comunque mettere in atto una manovra d’emergenza
per evitare l’impatto.
In conclusione, per tutte le ragioni che
precedono, il ricorso deve essere accolto con conseguente cassazione
dell’impugnata sentenza e rinvio alla Corte d’Appello di Venezia che, in
diversa composizione, decidera’ anche sulle spese nel giudizio di
cassazione.
P.Q.M.
La Corte accoglie il ricorso, cassa e
rinvia alla Corte d’Appello di Venezia in diversa composizione, anche
per le stese del giudizio in cassazione
venerdì 5 giugno 2015
Risarcimento danni Terzo Trasportato. Cass. sez. III Civile, sentenza 26 gennaio – 16 aprile 2015, n. 7704
La Cassazione nell'esaminare un acaso di risarcimento dei danni patiti in conseguenza di un incidente stradale dal terzo trasportato, ricorda che “in tema di sinistri derivanti dalla
circolazione stradale, l’apprezzamento del giudice di merito relativo
alla ricostruzione della dinamica dell’incidente, all’accertamento della
condotta dei conducenti dei veicoli, alla sussistenza o meno della
colpa dei soggetti coinvolti e alla loro eventuale graduazione, al pari
dell’accertamento dell’esistenza o dell’esclusione del rapporto di
causalità tra i comportamenti dei singoli soggetti e l’evento dannoso,
si concreta in un giudizio di mero fatto, che resta sottratto al
sindacato di legittimità, qualora il ragionamento posto a base delle
conclusioni sia caratterizzato da completezza, correttezza e coerenza
dal punto di vista logico-giuridico“
Corte di Cassazione, sezione III Civile,
sentenza 26 gennaio – 16 aprile 2015, n. 7704
Presidente Amendola – Relatore Cirillo
Svolgimento del processo
1. C.C. e Ge. nonché D.E. convennero in
giudizio, davanti al Tribunale di Reggio Calabria, G.V. e la SAI
Assicurazioni s.p.a., chiedendo il risarcimento dei danni patiti in un
sinistro stradale nel quale il motociclo condotto dal D. , di proprietà
di Ca.Ge. e sul quale viaggiava come trasportato C.C. , era stato urtato
dalla vettura condotta dal G. la quale, nell’assunto degli attori, si
era spostata improvvisamente verso la parte sinistra della carreggiata
tagliando la strada al motociclo.
Si costituì la sola società assicuratrice la quale chiese il rigetto della domanda e, in via riconvenzionale, la condanna del D. e di C.G. per non aver ottemperato agli obblighi di cui all’art. 2048 del codice civile.
Espletata c.t.u. e svolta prova per testi, il Tribunale addebitò la responsabilità del sinistro nella misura del settanta per cento a carico del D. e del trenta per cento a carico del G. ; liquidò quindi il risarcimento dei danni in favore degli attori e compensò per metà le spese di lite, ponendo la restante metà a carico dei convenuti in solido.
2. La pronuncia è stata appellata in via principale da D.E. , C.C. , C.G. e I.C. , nella qualità di eredi del defunto Ca.Ge. , ed in via incidentale dalla società assicuratrice.
La Corte d’appello di Reggio Calabria, con sentenza dell’8 settembre 2010, in parziale riforma della pronuncia del Tribunale, ha posto la responsabilità dell’incidente nella misura dell’ottanta per cento a carico del conducente della vettura (G. ) e del venti per cento a carico del conducente del motociclo (D. ); ha quindi nuovamente liquidato i danni, riconoscendo a C.C. le somme di Euro 150.580,34 a titolo di danno non patrimoniale e di Euro 17.620,97 a titolo di danno patrimoniale; ha compensato le spese del doppio grado nella misura di un quarto ed ha posto a carico della Fondiaria SAI s.p.a. i rimanenti tre quarti delle medesime.
Ha osservato la Corte territoriale, per quanto ancora di interesse in questa sede, che il Tribunale aveva errato nel valutare le prove esistenti, le quali non erano fra loro in contrasto. Dall’esame complessivo delle deposizioni testimoniali, infatti, era emerso che la causa “prima ed autosufficiente del sinistro” era costituita dalla condotta imprudente di guida del G. , il quale “si era spostato nella sua direzione di marcia da destra a sinistra, di fatto invadendo repentinamente la corsia impegnata dal ciclomotore (…) e non avvedendosi, come avrebbe dovuto fare, dell’arrivo dello stesso”. A carico del conducente del ciclomotore, tuttavia, era da ravvisare un concorso di colpa nella misura del venti per cento, “a cagione della incontestata circostanza fattuale del trasporto sul motociclo (omologato solo per una persona) di altro passeggero, oltre al conducente”; e ciò in quanto la presenza di un ulteriore passeggero aveva reso comunque il mezzo più instabile.
In relazione all’entità del risarcimento, poi, la Corte d’appello ha posto in evidenza che C.C. non avrebbe potuto comunque beneficiare dell’integrale risarcimento nella sua qualità di trasportato, e ciò per il fatto che “la relativa eccezione era stata sollevata non già nell’atto di appello (…), ma solo in comparsa conclusionale in questo grado di giudizio”.
3. Avverso la sentenza della Corte d’appello di Reggio Calabria propone ricorso C.C. , con atto affidato a tre motivi.
Resiste la Fondiaria SAI s.p.a. con controricorso.
Si costituì la sola società assicuratrice la quale chiese il rigetto della domanda e, in via riconvenzionale, la condanna del D. e di C.G. per non aver ottemperato agli obblighi di cui all’art. 2048 del codice civile.
Espletata c.t.u. e svolta prova per testi, il Tribunale addebitò la responsabilità del sinistro nella misura del settanta per cento a carico del D. e del trenta per cento a carico del G. ; liquidò quindi il risarcimento dei danni in favore degli attori e compensò per metà le spese di lite, ponendo la restante metà a carico dei convenuti in solido.
2. La pronuncia è stata appellata in via principale da D.E. , C.C. , C.G. e I.C. , nella qualità di eredi del defunto Ca.Ge. , ed in via incidentale dalla società assicuratrice.
La Corte d’appello di Reggio Calabria, con sentenza dell’8 settembre 2010, in parziale riforma della pronuncia del Tribunale, ha posto la responsabilità dell’incidente nella misura dell’ottanta per cento a carico del conducente della vettura (G. ) e del venti per cento a carico del conducente del motociclo (D. ); ha quindi nuovamente liquidato i danni, riconoscendo a C.C. le somme di Euro 150.580,34 a titolo di danno non patrimoniale e di Euro 17.620,97 a titolo di danno patrimoniale; ha compensato le spese del doppio grado nella misura di un quarto ed ha posto a carico della Fondiaria SAI s.p.a. i rimanenti tre quarti delle medesime.
Ha osservato la Corte territoriale, per quanto ancora di interesse in questa sede, che il Tribunale aveva errato nel valutare le prove esistenti, le quali non erano fra loro in contrasto. Dall’esame complessivo delle deposizioni testimoniali, infatti, era emerso che la causa “prima ed autosufficiente del sinistro” era costituita dalla condotta imprudente di guida del G. , il quale “si era spostato nella sua direzione di marcia da destra a sinistra, di fatto invadendo repentinamente la corsia impegnata dal ciclomotore (…) e non avvedendosi, come avrebbe dovuto fare, dell’arrivo dello stesso”. A carico del conducente del ciclomotore, tuttavia, era da ravvisare un concorso di colpa nella misura del venti per cento, “a cagione della incontestata circostanza fattuale del trasporto sul motociclo (omologato solo per una persona) di altro passeggero, oltre al conducente”; e ciò in quanto la presenza di un ulteriore passeggero aveva reso comunque il mezzo più instabile.
In relazione all’entità del risarcimento, poi, la Corte d’appello ha posto in evidenza che C.C. non avrebbe potuto comunque beneficiare dell’integrale risarcimento nella sua qualità di trasportato, e ciò per il fatto che “la relativa eccezione era stata sollevata non già nell’atto di appello (…), ma solo in comparsa conclusionale in questo grado di giudizio”.
3. Avverso la sentenza della Corte d’appello di Reggio Calabria propone ricorso C.C. , con atto affidato a tre motivi.
Resiste la Fondiaria SAI s.p.a. con controricorso.
Motivi della decisione
1. Con il primo motivo di ricorso si
lamenta, in riferimento all’art. 360, primo comma, n. 3) e n. 5), cod.
proc. civ., violazione e falsa applicazione degli artt. 1227, 2043 e
2054 cod. civ., oltre a contraddittoria motivazione circa un punto
decisivo della controversia.
Secondo il ricorrente, la Corte d’appello avrebbe errato nel porre a carico del conducente del motociclo il venti per cento della responsabilità del sinistro. La circostanza che su di un ciclomotore viaggino due persone anziché una sola, come imposto dalla relativa omologazione, può avere rilievo, infatti, solo se tale circostanza sia ritenuta influente ai fini della decisione.
Nella specie, al contrario, la sentenza ha riconosciuto che il comportamento di guida tenuto dal G. aveva avuto una efficacia causale autosufficiente nella determinazione dell’incidente, sicché sarebbe contraddittoria la successiva affermazione riguardante il riconoscimento di una responsabilità concorrente anche del D. .
1.1. Il motivo non è fondato.
Occorre innanzitutto rilevare che costituisce costante giurisprudenza di questa Corte il principio secondo cui, in tema di sinistri derivanti dalla circolazione stradale, l’apprezzamento del giudice di merito relativo alla ricostruzione della dinamica dell’incidente, all’accertamento della condotta dei conducenti dei veicoli, alla sussistenza o meno della colpa dei soggetti coinvolti e alla loro eventuale graduazione, al pari dell’accertamento dell’esistenza o dell’esclusione del rapporto di causalità tra i comportamenti dei singoli soggetti e l’evento dannoso, si concreta in un giudizio di mero fatto, che resta sottratto al sindacato di legittimità, qualora il ragionamento posto a base delle conclusioni sia caratterizzato da completezza, correttezza e coerenza dal punto di vista logico-giuridico (v., tra le altre, le sentenze 23 febbraio 2006, n. 4009, e 25 gennaio 2012, n. 1028).
Nel caso in esame, la Corte d’appello ha riconosciuto la valenza primaria ed autosufficiente del comportamento del G. , conducente della vettura, nella determinazione del sinistro ed ha tuttavia ravvisato, come si è detto, un modesto concorso di colpa a carico del conducente del motociclo, nella misura del 20 per cento, in conseguenza del fatto che su quel mezzo, omologato per il trasporto di una persona, ne viaggiavano invece due, con conseguente necessaria maggiore instabilità del mezzo stesso.
1.2. L’affermazione è contestata dal ricorrente nei termini suindicati, in particolare con il richiamo, a sostegno della propria tesi, della sentenza 8 aprile 2010, n. 8366, di questa Corte, secondo la quale la violazione di una norma disciplinante la circolazione stradale – nella specie si trattava dello stesso problema (motociclo omologato per una persona sul quale ne viaggiavano due) – può essere fonte di responsabilità o di limitazione di responsabilità a condizione che abbia esplicato un’incidenza causale sull’evento dannoso. In quella pronuncia, però, si trattava di un sinistro nel quale il motociclo era finito contro il guard-rail, cioè contro un ostacolo fisso, a causa di un abbagliamento; e la sentenza di merito fu cassata per non aver chiarito l’efficacia causale della presenza di due persone sul motociclo al fine di determinare un concorso di colpa allora quantificato nella misura del 50 per cento.
L’argomento, però, è stato affrontato anche nella più recente sentenza 29 novembre 2011, n. 25218, nella quale questa Corte ha affermato che non è revocabile in dubbio, al punto da costituire una massima di esperienza, il fatto che l’impianto frenante di un ciclomotore progettato per una sola persona abbia un’efficacia “ben minore quando il mezzo sia appesantito per effetto del maggior peso determinato dalla presenza di un passeggero a bordo”.
Ritiene il Collegio che questa seconda pronuncia sia da condividere, anche in considerazione dei termini della vicenda odierna per come delineati dal giudice di merito. Ed infatti il sinistro non è stato determinato dall’impatto contro un ostacolo fisso, bensì dall’urto del motociclo contro un veicolo che aveva effettuato un’improvvisa e scorretta manovra; di talché la presenza di due persone sul mezzo omologato per una persona ben può avere avuto efficacia causale rilevante ai sensi dell’art. 1227, primo comma, cod. civ., peraltro individuata dal giudice di merito nella misura del 20 per cento, stante l’evidente minore efficacia del sistema frenante.
Da tanto consegue che la lamentata violazione di legge non sussiste, così come non è configurabile un vizio di motivazione, perché il ragionamento reso dalla sentenza impugnata, assunto nella sua globalità, da ben ragione del motivo per cui si sia attribuita una valenza largamente prevalente, ma tuttavia non esclusiva, alla colpa del conducente della vettura.
Da tanto deriva il rigetto del primo motivo.
2. Con il secondo motivo di ricorso si lamenta, in riferimento all’art. 360, primo comma, n. 3) e n. 5), cod. proc. civ., violazione e falsa applicazione dell’art. 100 cod. proc. civ., degli artt. 1227, 2043, 2054, 2055 e 2056 cod. civ., oltre ad illogicità della motivazione circa un punto decisivo della controversia.
Rileva il ricorrente che la sentenza sarebbe errata nella parte in cui ha escluso il diritto del medesimo a conseguire l’integrale risarcimento del danno quale soggetto trasportato. Si osserva, invece, che C.C. aveva chiesto fin dal primo grado il risarcimento del danno integrale patito a causa dell’incidente stradale e che la sentenza del Tribunale era stata da lui appellata chiedendo che fosse riconosciuta l’assenza di ogni concorso di colpa da parte sua. La Corte d’appello, pur ammettendo che il trasportato ha diritto all’integrale risarcimento, l’ha poi nella sostanza negato, senza considerare che tale diritto è pacificamente riconosciuto dalla giurisprudenza di legittimità.
3. Con il terzo motivo di ricorso si lamenta, in riferimento all’art. 360, primo comma, n. 5), cod. proc. civ., illogicità della motivazione nella parte in cui ha escluso l’integralità del risarcimento, osservando che l’accoglimento dei precedenti motivi darebbe diritto al ricorrente di percepire il risarcimento senza alcuna riduzione, com’è invece avvenuto.
4. I due motivi, da trattare congiuntamente in considerazione della stretta connessione che li unisce, sono entrambi privi di fondamento.
4.1. Il punto di partenza dal quale essi muovono – in particolare il secondo, poiché il terzo non è neppure tale, ma solo una conseguenza delle ragioni prospettate nel secondo – è costituito dal fatto che C.C. , essendo un trasportato a bordo del motociclo condotto dal D. , aveva comunque diritto all’integrale risarcimento, per cui la sentenza impugnata sarebbe da cassare per il fatto di aver riconosciuto come operativo anche nei suoi confronti il concorso di colpa posto a carico del conducente del mezzo.
4.2. Osserva il Collegio che la premessa teorica è esatta, ma non altrettanto le conseguenze che se ne traggono in relazione alla vicenda concreta.
Il diritto del trasportato all’integrale risarcimento del danno costituisce una pacifica acquisizione della giurisprudenza di questa Corte (v., tra le altre, le sentenze 31 marzo 2008, n. 8292, e 20 ottobre 2014, n. 22228), a condizione che questi non sia anche proprietario del mezzo (in questo senso va rettamente intesa la sentenza 25 novembre 2008, n. 28062, citata dalla Corte d’appello). È necessario, però, che tale risarcimento sia richiesto utilizzando come causa petendi la posizione di trasportato; e ciò sia che venga fatto valere il proprio diritto al risarcimento dei danni nei confronti del solo conducente del mezzo sul quale la vittima viaggiava, sia che venga fatto valere nei confronti del conducente del mezzo antagonista, sia, infine, nell’ipotesi in cui si agisca nei confronti di entrambi. In altri termini, il danneggiato deve indicare che, proprio in quanto trasportato, egli ha diritto all’integrale risarcimento e può chiederlo, a sua scelta, a ciascuno dei responsabili.
Nel caso in esame, però, come la Corte d’appello ha posto in luce con sufficiente chiarezza, la domanda giudiziale non è stata posta in questi termini; e lo stesso ricorrente indica in ricorso che l’atto di appello aveva rassegnato le proprie conclusioni nel senso di riconoscere che “nessuna responsabilità è da ascrivere agli appellanti in riferimento al sinistro per cui è causa e, pertanto, nessun concorso di colpa è loro attribuibile”.
La sentenza in esame, infatti, sia pure con un linguaggio tecnicamente non impeccabile – la pronuncia a p. 10 parla di eccezione, il che non è corretto – ha detto che C.C. non poteva comunque beneficiare dell’integrale risarcimento “quale trasportato” perché tale domanda era stata proposta non nell’atto di appello, ma solo nella comparsa conclusionale del giudizio di secondo grado, benché l’argomento fosse stato affrontato dal Tribunale. Tale ratio decidendi della sentenza non è, in effetti, superata dai motivi di ricorso in esame, che si limitano a ribadire che il trasportato ha diritto all’integrale risarcimento; ciò, come si è detto, è esatto, ma occorre che la domanda giudiziale sia stata indirizzata in tal senso fin dal giudizio di primo grado.
Per quanto è dato comprendere dal ricorso, invece, la causa è stata impostata con l’obiettivo di ottenere il riconoscimento della responsabilità esclusiva del conducente della vettura, con esclusione di ogni colpa da parte del conducente del motociclo sul quale l’odierno ricorrente viaggiava come trasportato; il C. ed il D. , in altre parole, hanno agito chiedendo entrambi che fosse dichiarata l’esclusiva responsabilità del G. . Impostato il giudizio in questi termini, è palese che chiedere in appello il riconoscimento del proprio diritto all’integrale risarcimento per la condizione di trasportato comporta un mutamento della causa petendi ed una sostanziale alterazione dei termini della domanda giudiziale, inammissibile in grado di appello. Che è, in sostanza, quello che la Corte d’appello ha affermato, anche se con motivazione non del tutto limpida; ma la presente pronuncia vale, per quanto necessario, anche come correzione ed integrazione della motivazione della sentenza impugnata.
Da tanto deriva l’infondatezza del secondo motivo e, come automatica conseguenza, anche del terzo.
5. In conclusione, il ricorso è rigettato.
A tale pronuncia segue la condanna del ricorrente al pagamento delle spese del giudizio di cassazione, liquidate in conformità ai soli parametri introdotti dal decreto ministeriale 10 marzo 2014, n. 55, sopravvenuto a disciplinare i compensi professionali.
Secondo il ricorrente, la Corte d’appello avrebbe errato nel porre a carico del conducente del motociclo il venti per cento della responsabilità del sinistro. La circostanza che su di un ciclomotore viaggino due persone anziché una sola, come imposto dalla relativa omologazione, può avere rilievo, infatti, solo se tale circostanza sia ritenuta influente ai fini della decisione.
Nella specie, al contrario, la sentenza ha riconosciuto che il comportamento di guida tenuto dal G. aveva avuto una efficacia causale autosufficiente nella determinazione dell’incidente, sicché sarebbe contraddittoria la successiva affermazione riguardante il riconoscimento di una responsabilità concorrente anche del D. .
1.1. Il motivo non è fondato.
Occorre innanzitutto rilevare che costituisce costante giurisprudenza di questa Corte il principio secondo cui, in tema di sinistri derivanti dalla circolazione stradale, l’apprezzamento del giudice di merito relativo alla ricostruzione della dinamica dell’incidente, all’accertamento della condotta dei conducenti dei veicoli, alla sussistenza o meno della colpa dei soggetti coinvolti e alla loro eventuale graduazione, al pari dell’accertamento dell’esistenza o dell’esclusione del rapporto di causalità tra i comportamenti dei singoli soggetti e l’evento dannoso, si concreta in un giudizio di mero fatto, che resta sottratto al sindacato di legittimità, qualora il ragionamento posto a base delle conclusioni sia caratterizzato da completezza, correttezza e coerenza dal punto di vista logico-giuridico (v., tra le altre, le sentenze 23 febbraio 2006, n. 4009, e 25 gennaio 2012, n. 1028).
Nel caso in esame, la Corte d’appello ha riconosciuto la valenza primaria ed autosufficiente del comportamento del G. , conducente della vettura, nella determinazione del sinistro ed ha tuttavia ravvisato, come si è detto, un modesto concorso di colpa a carico del conducente del motociclo, nella misura del 20 per cento, in conseguenza del fatto che su quel mezzo, omologato per il trasporto di una persona, ne viaggiavano invece due, con conseguente necessaria maggiore instabilità del mezzo stesso.
1.2. L’affermazione è contestata dal ricorrente nei termini suindicati, in particolare con il richiamo, a sostegno della propria tesi, della sentenza 8 aprile 2010, n. 8366, di questa Corte, secondo la quale la violazione di una norma disciplinante la circolazione stradale – nella specie si trattava dello stesso problema (motociclo omologato per una persona sul quale ne viaggiavano due) – può essere fonte di responsabilità o di limitazione di responsabilità a condizione che abbia esplicato un’incidenza causale sull’evento dannoso. In quella pronuncia, però, si trattava di un sinistro nel quale il motociclo era finito contro il guard-rail, cioè contro un ostacolo fisso, a causa di un abbagliamento; e la sentenza di merito fu cassata per non aver chiarito l’efficacia causale della presenza di due persone sul motociclo al fine di determinare un concorso di colpa allora quantificato nella misura del 50 per cento.
L’argomento, però, è stato affrontato anche nella più recente sentenza 29 novembre 2011, n. 25218, nella quale questa Corte ha affermato che non è revocabile in dubbio, al punto da costituire una massima di esperienza, il fatto che l’impianto frenante di un ciclomotore progettato per una sola persona abbia un’efficacia “ben minore quando il mezzo sia appesantito per effetto del maggior peso determinato dalla presenza di un passeggero a bordo”.
Ritiene il Collegio che questa seconda pronuncia sia da condividere, anche in considerazione dei termini della vicenda odierna per come delineati dal giudice di merito. Ed infatti il sinistro non è stato determinato dall’impatto contro un ostacolo fisso, bensì dall’urto del motociclo contro un veicolo che aveva effettuato un’improvvisa e scorretta manovra; di talché la presenza di due persone sul mezzo omologato per una persona ben può avere avuto efficacia causale rilevante ai sensi dell’art. 1227, primo comma, cod. civ., peraltro individuata dal giudice di merito nella misura del 20 per cento, stante l’evidente minore efficacia del sistema frenante.
Da tanto consegue che la lamentata violazione di legge non sussiste, così come non è configurabile un vizio di motivazione, perché il ragionamento reso dalla sentenza impugnata, assunto nella sua globalità, da ben ragione del motivo per cui si sia attribuita una valenza largamente prevalente, ma tuttavia non esclusiva, alla colpa del conducente della vettura.
Da tanto deriva il rigetto del primo motivo.
2. Con il secondo motivo di ricorso si lamenta, in riferimento all’art. 360, primo comma, n. 3) e n. 5), cod. proc. civ., violazione e falsa applicazione dell’art. 100 cod. proc. civ., degli artt. 1227, 2043, 2054, 2055 e 2056 cod. civ., oltre ad illogicità della motivazione circa un punto decisivo della controversia.
Rileva il ricorrente che la sentenza sarebbe errata nella parte in cui ha escluso il diritto del medesimo a conseguire l’integrale risarcimento del danno quale soggetto trasportato. Si osserva, invece, che C.C. aveva chiesto fin dal primo grado il risarcimento del danno integrale patito a causa dell’incidente stradale e che la sentenza del Tribunale era stata da lui appellata chiedendo che fosse riconosciuta l’assenza di ogni concorso di colpa da parte sua. La Corte d’appello, pur ammettendo che il trasportato ha diritto all’integrale risarcimento, l’ha poi nella sostanza negato, senza considerare che tale diritto è pacificamente riconosciuto dalla giurisprudenza di legittimità.
3. Con il terzo motivo di ricorso si lamenta, in riferimento all’art. 360, primo comma, n. 5), cod. proc. civ., illogicità della motivazione nella parte in cui ha escluso l’integralità del risarcimento, osservando che l’accoglimento dei precedenti motivi darebbe diritto al ricorrente di percepire il risarcimento senza alcuna riduzione, com’è invece avvenuto.
4. I due motivi, da trattare congiuntamente in considerazione della stretta connessione che li unisce, sono entrambi privi di fondamento.
4.1. Il punto di partenza dal quale essi muovono – in particolare il secondo, poiché il terzo non è neppure tale, ma solo una conseguenza delle ragioni prospettate nel secondo – è costituito dal fatto che C.C. , essendo un trasportato a bordo del motociclo condotto dal D. , aveva comunque diritto all’integrale risarcimento, per cui la sentenza impugnata sarebbe da cassare per il fatto di aver riconosciuto come operativo anche nei suoi confronti il concorso di colpa posto a carico del conducente del mezzo.
4.2. Osserva il Collegio che la premessa teorica è esatta, ma non altrettanto le conseguenze che se ne traggono in relazione alla vicenda concreta.
Il diritto del trasportato all’integrale risarcimento del danno costituisce una pacifica acquisizione della giurisprudenza di questa Corte (v., tra le altre, le sentenze 31 marzo 2008, n. 8292, e 20 ottobre 2014, n. 22228), a condizione che questi non sia anche proprietario del mezzo (in questo senso va rettamente intesa la sentenza 25 novembre 2008, n. 28062, citata dalla Corte d’appello). È necessario, però, che tale risarcimento sia richiesto utilizzando come causa petendi la posizione di trasportato; e ciò sia che venga fatto valere il proprio diritto al risarcimento dei danni nei confronti del solo conducente del mezzo sul quale la vittima viaggiava, sia che venga fatto valere nei confronti del conducente del mezzo antagonista, sia, infine, nell’ipotesi in cui si agisca nei confronti di entrambi. In altri termini, il danneggiato deve indicare che, proprio in quanto trasportato, egli ha diritto all’integrale risarcimento e può chiederlo, a sua scelta, a ciascuno dei responsabili.
Nel caso in esame, però, come la Corte d’appello ha posto in luce con sufficiente chiarezza, la domanda giudiziale non è stata posta in questi termini; e lo stesso ricorrente indica in ricorso che l’atto di appello aveva rassegnato le proprie conclusioni nel senso di riconoscere che “nessuna responsabilità è da ascrivere agli appellanti in riferimento al sinistro per cui è causa e, pertanto, nessun concorso di colpa è loro attribuibile”.
La sentenza in esame, infatti, sia pure con un linguaggio tecnicamente non impeccabile – la pronuncia a p. 10 parla di eccezione, il che non è corretto – ha detto che C.C. non poteva comunque beneficiare dell’integrale risarcimento “quale trasportato” perché tale domanda era stata proposta non nell’atto di appello, ma solo nella comparsa conclusionale del giudizio di secondo grado, benché l’argomento fosse stato affrontato dal Tribunale. Tale ratio decidendi della sentenza non è, in effetti, superata dai motivi di ricorso in esame, che si limitano a ribadire che il trasportato ha diritto all’integrale risarcimento; ciò, come si è detto, è esatto, ma occorre che la domanda giudiziale sia stata indirizzata in tal senso fin dal giudizio di primo grado.
Per quanto è dato comprendere dal ricorso, invece, la causa è stata impostata con l’obiettivo di ottenere il riconoscimento della responsabilità esclusiva del conducente della vettura, con esclusione di ogni colpa da parte del conducente del motociclo sul quale l’odierno ricorrente viaggiava come trasportato; il C. ed il D. , in altre parole, hanno agito chiedendo entrambi che fosse dichiarata l’esclusiva responsabilità del G. . Impostato il giudizio in questi termini, è palese che chiedere in appello il riconoscimento del proprio diritto all’integrale risarcimento per la condizione di trasportato comporta un mutamento della causa petendi ed una sostanziale alterazione dei termini della domanda giudiziale, inammissibile in grado di appello. Che è, in sostanza, quello che la Corte d’appello ha affermato, anche se con motivazione non del tutto limpida; ma la presente pronuncia vale, per quanto necessario, anche come correzione ed integrazione della motivazione della sentenza impugnata.
Da tanto deriva l’infondatezza del secondo motivo e, come automatica conseguenza, anche del terzo.
5. In conclusione, il ricorso è rigettato.
A tale pronuncia segue la condanna del ricorrente al pagamento delle spese del giudizio di cassazione, liquidate in conformità ai soli parametri introdotti dal decreto ministeriale 10 marzo 2014, n. 55, sopravvenuto a disciplinare i compensi professionali.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso e condanna
il ricorrente al pagamento delle spese del giudizio di cassazione,
liquidate in complessivi Euro 4.800, di cui Euro 200 per spese, oltre
spese generali ed accessori di legge.
martedì 28 aprile 2015
http://www.altalex.com/index.php?idnot=68718
Terrazza copre l’intero fabbricato? Tutti i condomini concorrono alle spese
Cassazione civile , sez. III, sentenza 25.08.2014 n° 18164 (Enrica Maria Crimi)
Spetta a tutti i condomini concorrere al pagamento delle spese
necessarie per la riparazione o la ricostruzione delle terrazze a
livello, avendo esse la funzione di copertura del fabbricato.
Il criterio dell’utilitas infatti prevale su quello della proprietà.
Lo ha affermato la Suprema Corte, nella sentenza 25 agosto 2014, n.
18164 specificando che per stabilire la ripartizione delle spese delle
terrazze a livello con funzioni di copertura non si fa riferimento al
diritto di proprietà delle terrazze medesime, ma al principio “in base
al quale i condomini sono tenuti a contribuire alle spese in ragione
dell’utilitas che la cosa da riparare o da ricostruire è destinata a
dare ai singoli appartamenti sottostanti.”
Nel caso di specie, il condomino F. V. proprietario di un appartamento
agiva in giudizio a causa dei danni da infiltrazioni d’acqua provenienti
dal soprastante terrazzo di proprietà esclusiva dell’altro condomino A.
N., convenuto in giudizio. Chiedeva il risarcimento dei danni prodotti
nell’immobile di sua proprietà, oltrechè l’esecuzione delle opere idonee
ad evitare il ripetersi di infiltrazioni dannose.
Il convenuto chiedeva il rigetto della domanda attorea, e, in via
subordinata, che l’attore venisse condannato a partecipare al
risarcimento dei danni ed alle spese per i lavori da eseguire ai sensi
dell’art. 1126 c.c.
Il Tribunale di Napoli condannava il convenuto al pagamento del
risarcimento dei danni e all’esecuzione delle opere necessarie ad
evitare infiltrazioni future ed alle spese di lite.
La Corte d’appello ribaltava la sentenza sulla base di quanto disposto dall’art. 1126 c.c., stabilendo che il costo delle riparazioni spettava per due terzi al signor F. e per un terzo al signor A.
Ricorreva per Cassazione il signor F affidandosi a tre motivi, tutti ritenuti infondati.
La Suprema Corte stabiliva che l’obbligo di provvedere alla riparazione
e alla costruzione spetta a tutti i condomini, in concorso con il
proprietario superficiario o con il titolare del diritto di uso
esclusivo, sulla base del fatto che le terrazze dell’edificio svolgono
la funzione di copertura del fabbricato anche se appartengono in
proprietà superficiaria o sono attribuite in uso esclusivo ad uno dei
condomini.
Aggiungeva, richiamando giurisprudenza precedente, che dei “danni
cagionati all’appartamento sottostante per le infiltrazioni d’acqua
provenienti dal lastrico, deteriorato per difetto di manutenzione,
rispondono tutti gli obbligati, inadempienti alla funzione di
conservazione, secondo le proporzioni stabilite dal citato art. 1126 c.c. (Cass. n. 3672/1997)”.
A nulla rileva che tali infiltrazioni siano state causate da difetti
collegati alle caratteristiche costruttive. Neppure è stato accolto il
tentativo del signor F di far passare il terrazzo come prolungamento
all’esterno dell’alloggio posto sullo stesso piano, per convincere la
Suprema Corte che la funzione di copertura non fosse principale ma
sussidiaria.
Ma la Cassazione risponde confermando il rigetto del ricorso sulla base
della seguente motivazione: l’obbligo dei condomini di concorrere alle
spese delle terrazze a livello trova fondamento non già nel diritto di
proprietà, ma nel principio in base al quale i condomini sono tenuti a
contribuire alle spese in ragione dell’utilitas che la cosa da riparare o
da ricostruire è destinata a dare ai singoli appartamenti sottostanti.
Altalex, 22 settembre 2014. Nota di Enrica Maria Crimi)
SUPREMA CORTE DI CASSAZIONE
SEZIONE III CIVILE
Sentenza 27 maggio - 25 agosto 2014, n. 18164
REPUBBLICA ITALIANAIN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE TERZA CIVILE
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. AMATUCCI Alfonso - Presidente -
Dott. SPIRITO Angelo - Consigliere -
Dott. D'AMICO Paolo - rel. Consigliere -
Dott. CARLUCCIO Giuseppa - Consigliere -
Dott. ROSSETTI Marco - Consigliere -
ha pronunciato la seguente:
sentenza
sul ricorso 22001-2008 proposto da:F.V., considerato domiciliato ex lege in ROMA, presso la CANCELLERIA DELLA CORTE DI CASSAZIONE, rappresentato e difeso dagli avvocati PARLATO GUIDO, DI CATALDO GIOVANNI, IERVOLINO ANGELO ANTONIO giusta procura a margine del ricorso;
- ricorrente -
contro
A.N., elettivamente domiciliato in ROMA, VIA CIPRO 77, presso lo studio dell'avvocato RUSSILLO GERARDO, rappresentato e difeso dall'avvocato RUSSILLO FELICETTO giusta procura a margine del ricorso;
- controricorrente -
avverso la sentenza n. 582/2008 della CORTE D'APPELLO di NAPOLI, depositata il 14/02/2008 R.G.N. 717/2005;
udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 27/05/2014 dal Consigliere Dott. PAOLO D'AMICO;
udito l'Avvocato GERARDO RUSSILLO;
udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. SERVELLO Gianfranco che ha concluso per il rigetto del ricorso.
Svolgimento del processo
1.- Con atto notificato nel novembre 2001 F.V. convenne in giudizio
A.N., deducendo di essere proprietario di un appartamento, sito al piano
terra del fabbricato facente parte del Condominio (OMISSIS), e di
subire da molto tempo danni da infiltrazioni d'acqua provenienti dal
soprastante terrazzo a livello, di pertinenza e di proprietà esclusiva
del convenuto.L'attore chiese la condanna dell' A. al risarcimento dei danni prodotti nell'immobile di sua proprietà, quantificati in L. 14.125.000, nonchè all'esecuzione delle opere idonee ad evitare il ripetersi di infiltrazioni dannose.
Si costituì in giudizio il convenuto che contestò la domanda attrice, chiedendone il rigetto. Lo stesso eccepì in via preliminare la propria carenza di legittimazione passiva e, in via subordinata, chiese che anche l'attore fosse condannato a partecipare al risarcimento dei danni ed alle spese per i lavori da eseguire ai sensi dell'art. 1226 c.c..
Il Tribunale di Napoli, con sentenza del 28/4-13/5/2004, dichiarò il convenuto responsabile dei danni e lo condannò al pagamento della somma di Euro 9.145,89, oltre interessi dalla domanda, a titolo di risarcimento dei danni, nonchè all'esecuzione delle opere necessarie ad evitare infiltrazioni future ed alle spese di lite.
2.- La Corte d'appello di Napoli, decidendo sul gravame dell' A., ha ritenuto che, avendo il terrazzo di proprietà esclusiva dell'appellante funzione di copertura dell'appartamento del F., il costo delle riparazioni dovesse essere ripartito a norma dell'art. 1126 c.c. e dovesse dunque far carico per 1/3 sull' A. e per 2/3 sul F. (ad eccezione della fornitura e messa in opera delle piastrelle del terrazzo).
Ha dunque condannato A.N. al pagamento, in favore di F.V., della somma di Euro 872,07, oltre rivalutazione e interessi (escludendo i non provati danni alle cose).
3.- Ricorre per cassazione F.V., affidandosi a tre motivi.
Resiste con controricorso A.N., che ha anche depositato memoria.
Motivi della decisione
1.- Con il primo motivo il ricorrente denuncia "violazione e falsa
applicazione dell'art. 1126 c.c. - omessa e/o insufficiente e/o
contraddittoria motivazione circa un fatto controverso decisivo per il
giudizio (art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 3 e 5)".La Corte d'appello di Napoli - assume - ha erroneamente ritenuto che il terrazzo a livello, di proprietà di A., fungesse anche da copertura dell'appartamento sottostante, trattandosi invece di prolungamento all'esterno dell'alloggio posto sullo stesso piano, con funzione meramente sussidiaria di copertura dei piani sottostanti.
Ne conseguirebbe che l'obbligazione risarcitoria per i danni da infiltrazioni nei terrazzi a livello di proprietà esclusiva potrebbe ravvisarsi solo in caso di responsabilità aquiliana, essendo per contro inapplicabili le disposizioni in materia di ripartizione delle spese dettate per il condominio degli edifici.
2.- Con il secondo motivo si denuncia "violazione e falsa applicazione del disposto degli artt. 1123 e 1126 c.c. in relazione all'art. 2051 c.c. - omessa e/o insufficiente e/o contraddittoria motivazione circa un fatto controverso decisivo per il giudizio (art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 3 e 5)".
Ad avviso del ricorrente l'obbligo di provvedere all'eliminazione delle cause del danno ed al risarcimento dello stesso non si fonda tanto sull'art. 1126 c.c., bensì sull'art. 2051 c.c.. La negligente omissione, da parte del proprietario del terrazzo, dell'esecuzione di opere atte ad eliminare una fonte di danni dovuta non a vetustà o a difetto di manutenzione, bensì a vizi originari delle opere realizzate, costituirebbe una condotta illegittima, imputabile solo al medesimo proprietario. Derivando la necessità delle riparazioni del terrazzo dalla cattiva esecuzione delle opere e dalla mancanza di manutenzione e quindi da colpa dell' A., la responsabilità avrebbe dovuto far carico solo sull' A., in quanto utente esclusivo del terrazzo.
3.- Con il terzo motivo si denuncia "violazione e falsa applicazione degli artt. 61 e 115 c.p.c. in relazione all'art. 116 c.p.c. - omessa e/o insufficiente e/o contraddittoria motivazione circa un fatto controverso decisivo per il giudizio (art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 3 e 5)".
Ritiene il ricorrente che in mancanza di specifica impugnazione della parte controinteressata ed in presenza di rilievi precisi e circostanziati, fatti anche propri dal consulente tecnico d'ufficio, la consulenza tecnica di parte, nella specie giurata, ben può assurgere a mezzo di prova.
4.- I tre motivi, che per la stretta connessione che li connota vanno congiuntamente esaminati, sono infondati.
Secondo la giurisprudenza di questa Corte, infatti, poichè il lastrico solare dell'edificio svolge la funzione di copertura del fabbricato anche se appartiene in proprietà superficiaria o se è attribuito in uso esclusivo ad uno dei condomini, all'obbligo di provvedere alla sua riparazione o alla sua ricostruzione sono tenuti tutti i condomini, in concorso con il proprietario superficiario o con il titolare del diritto di uso esclusivo.
Ne consegue che dei danni cagionati all'appartamento sottostante per le infiltrazioni d'acqua provenienti dal lastrico, deteriorato per difetto di manutenzione, rispondono tutti gli obbligati, inadempienti alla funzione di conservazione, secondo le proporzioni stabilite dal citato art. 1126 c.c. (Cass., 29 aprile 1997, n. 3672). Nè, ai fini della ripartizione delle spese fra i condomini, rileva che le infiltrazioni possano essere state provocate da difetti in ipotesi ricollegabili alle caratteristiche costruttive.
L'obbligo dei condomini cui il lastrico solare serve di copertura di concorrere in dette spese trova infatti fondamento non già nel diritto di proprietà del lastrico medesimo, ma nel principio in base al quale i condomini sono tenuti a contribuire alle spese in ragione dell'utilitas che la cosa da riparare o ricostruire è destinata a dare ai singoli appartamenti sottostanti.
Nel caso in esame la Corte d'appello di Napoli ha applicato correttamente detti principi.
Infondate sono le censure anche nell'aspetto afferente ai danni verificatisi nell'appartamento del F., avendo l'impugnata sentenza correttamente omesso di conferire valenza probatoria alla relazione di perizia stragiudiziale prodotta che, per quanto "giurata", comunque costituisce un atto di parte, anche in ordine ai fatti che il consulente asserisce di aver direttamente accertato.
E' principio consolidato che la valutazione delle prove investe il merito e non è deducibile in sede di legittimità, in presenza di una congrua e logica motivazione, quale sussiste nel caso in esame.
5.- In conclusione, il ricorso deve essere rigettato.
Le spese del giudizio di legittimità possono compensarsi in relazione alle particolarità del caso ed alla difformità tra le decisioni di merito.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso e compensa le spese del giudizio di cassazione.Così deciso in Roma, il 27 maggio 2014.
Depositato in Cancelleria il 25 agosto 2014.
martedì 21 aprile 2015
Giudice di Pace Pozzuoli. 10 giugno 2009 al n. 1613
“In tema di responsabilità da sinistri derivanti dalla circolazione stradale, la ricostruzione delle mPozzuoli e depositata in originale il giorno 10 giugno 2009 al n. 1613odalità del fatto generatore del danno, la valutazione della condotta dei singoli soggetti che vi sono coinvolti, l'accertamento e la graduazione della colpa, l'esistenza o l'esclusione del rapporto di causalità tra i comportamenti dei singoli soggetti e l'evento dannoso, l’ubicazione dei danni e la loro entità, integrano altrettanti giudizi di merito che spettano solo al Giudice investito del giudizio instaurato dal danneggiato nei confronti del danneggiante e/o della sua Compagnia di assicurazione o nei confronti della propria Compagnia di assicurazione nell’azione diretta di cui all’art. 149 del D.L.vo n.209/05 e devono essere provati in giudizio;- la fase stragiudiziale intercorsa tra il danneggiato e la propria assicurazione non può entrare nel giudizio di merito come prova del fatto dedotto in giudizio ma, solo sotto il limitato profilo della proponibilità/improponibilità della domanda”.
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
L’avv. Italo BRUNO,Giudice di Pace del Mandamento di Pozzuoli,ha pronunciato la seguente S E N T E N Z A
nella causa iscritta al n.3848/08 R.G. - Affari Contenziosi Civili - avente ad oggetto:Risarcimento danni da circolazione stradale.T R A(…) Pasquale, nato a (…) il (…) e res.te in (…) alla Via (…) n.(…) – c.f. (…);
ATTORE
(…) Rosario, nato a (…) il (…) e res.te in (…) alla Via (…) n.(…) – c.f. (…);
ATTORE
- elett.te dom.ti in (…) alla Via (…) n.(…) presso lo studio dell’avv. Fabio(…) che li rapp.ta e difende giusta mandati a margine dell’atto di citazione;
E(…) Francesco, nato a (…) il (…) e res.te in (…) alla Via (…) n.(…) – c.f. (…);
CONVENUTO-CONTUMACE
NONCHÉS.p.A. (ZETA), in persona del legale rapp.te pro-tempore, dom.ta in (…) alla Via (…) n.(…) - elett.te dom.ta in (…) alla Via (…) n.(…) presso lo studio dell’avv. Giampaolo (…) che la rapp.ta e difende giusta mandato in calce alla copia notificata dell’atto di citazione;
CONVENUTA
CONCLUSIONI Per gli attori: dichiarare l’esclusiva responsabilità di (…) Francesco in ordine al sinistro per cui è causa e, per l’effetto condannare la Spa (Zeta), in persona del legale rapp.te pro-tempore, al pagamento in suo favore della somma di € 991,36, quale differenza tra l’importo della perizia tecnica e quello inviato dalla Società (Zeta) e trattenuto in acconto, oltre interessi e rivalutazione, nonché spese, diritti ed onorari di giudizio da liquidarsi in favore del procuratore anticipatario.Per la convenuta: rigettare la domanda in quanto inammissibile, improponibile, improcedibile, infondata in fatto ed in diritto e non provata; vittoria di spese, diritti ed onorari di giudizio.
SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
(…) Pasquale e (…) Rosario, con atti di citazione ritualmente notificati il 5-21/4/08 a (…) Francesco ed alla S.p.A. (ZETA), convenivano innanzi a questo Giudice i predetti soggetti affinché - previa declaratoria dell’esclusiva responsabilità del convenuto (…) Francesco nella produzione del sinistro avvenuto il 27/12/07 in Quarto (NA) alla Via Campana, in occasione del quale l’auto Ford Fiesta tg.(…) di sua proprietà, veniva investita dall’auto Hyundai Getz tg.(…) di proprietà del convenuto ed assicurata con la Spa (Ipslon) - fosse dichiarata l’esclusiva responsabilità di (…) Francesco e condannata la Spa (Zeta), in persona del legale rapp.te pro-tempore, al risarcimento dei danni.
A tal fine nel detto atto introduttivo premettevano:- che in dipendenza dell’investimento subito, la sua auto riportava danni per le cui riparazioni è stata preventivata la spesa di € 2.091,36, come da relazione tecnica prodotta;- che il suo veicolo era assicurato per RCA presso la Spa (Zeta) che, ritualmente invitata a risarcire i danni, ex art. 149 del D.L.vo 209/05, con racc.ta a.r. n…. ricevuta l’1/2/08 (inviata anche per conoscenza alla Spa (Ipslon) con racc.ta a.r. n…. ricevuta il 31/1/08), in data 28/3/08 inviava la somma di € 1.100,00 che, veniva trattenuta in acconto del maggior danno.
Instauratosi il procedimento, risultato contumace il convenuto (…) Francesco, si costituiva la Spa Zeta) che, preliminarmente eccepiva l’improponibilità della domanda e, nel merito la contestava sia nell’an che nel quantum debeatur. Esperito inutilmente il tentativo di conciliazione, veniva articolata, ammessa ed espletata prova per testi.Sulle rassegnate conclusioni, all’udienza del 18/5/09, la causa veniva assegnata a sentenza.
MOTIVI DELLA DECISIONE
Preliminarmente va dichiarata la contumacia del convenuto (…) Francesco regolarmente citato e non costituitosi e dichiarata la sua carenza di "legitimatio ad causam" passiva, ai sensi dell’art. 149 del D.L.vo 209/05.La procedura di risarcimento diretto di cui si sono avvalsi gli attori (art. 149 del D.L.vo 209/05), opera unicamente in caso di sinistro tra due veicoli a motore identificati ed assicurati per la responsabilità civile obbligatoria; riguarda solo i danni al veicolo nonché i danni alle cose trasportate di proprietà dell’assicurato o del conducente e, nel caso di lesioni, si applica solo al danno alle persone subito dal conducente non responsabile, posto che questo danno rientri tra lesioni di lieve entità di cui all’articolo 139.
Detta procedura, costituisce un’alternativa alla disciplina “ordinaria” di cui all’art. 144 CdA. Infatti, la Corte Costituzionale, con ordinanza n. 205 del 13 giugno 2008, ha dichiarato inammissibili le questioni di legittimità costituzionale degli articoli 141 e 149 del CdA sollevate dai GdP di Pavullo e Montepulciano. Essa Corte non ha ritenuto infondate le questioni sollevate ma, si è limitata a dettare il criterio dell’interpretazione costituzionalmente orientata delle norme, alla quale il giudice di merito si deve attenere. Secondo la Corte, le norme di cui agli articoli 141 e 149 del CdA vanno interpretate nel senso che, esse si limitano a rafforzare la posizione del danneggiato, considerato soggetto debole, legittimandolo ad agire direttamente nei confronti della propria compagnia di assicurazione, senza peraltro togliergli la possibilità di fare valere i diritti derivanti dal rapporto obbligatorio nato dalla responsabilità civile dell'autore del fatto dannoso”.
La Corte ha, difatti, suggerito l’interpretazione costituzionalmente orientata in riferimento all’impugnazione delle norme fatte dai giudici remittenti nella parte in cui “escluderebbero che il trasportato o danneggiato possono agire nei confronti del vero responsabile del danno, così come previsto dal sistema degli artt.1917, 2043 e 2054 del codice civile”. E’, quindi, del tutto evidente che, ogni altra interpretazione della normativa di cui agli articoli 141 e 149 del CdA, nel senso che tali norme, anziché limitarsi ad aggiungere nuove e semplificate azioni al danneggiato, lo avrebbero privato della generale azione diretta prevista in sede comunitaria come livello di tutela minimale, non ha incontrato il favore della Corte.
Tale autorevole interpretazione non fa che confermare l’orientamento sinora maggioritario della giurisprudenza di merito, che proprio nel senso di quell’interpretazione costituzionalmente orientata della normativa del D.L.vo 209 del 2005 va ritenendo che, nel sistema del Codice delle assicurazioni, al danneggiato non sia stata affatto tolta la generale azione diretta ex 144 ma, siano state in realtà aggiunte le due speciali azioni ex 141 e 149 ultimo comma.Pertanto, alla luce dell’ordinanza della Corte Costituzionale, una volta esperita infruttuosamente la procedura stragiudiziale nei confronti della propria compagnia di assicurazione (art. 149) e di quella del vettore (art. 141) - in caso di comunicazione dei motivi che impediscono il risarcimento diretto, ovvero nel caso di mancata comunicazione di offerta o di diniego di offerta entro i termini previsti dall’articolo 148, o di mancato accordo, il danneggiato PUO’ proporre l’azione giudiziale di cui all’articolo 145, comma 2, NEI SOLI confronti della propria compagnia di assicurazione o di quella del vettore.
Infatti, in applicazione della norma di cui all’art. 12, comma 1, delle Disposizioni sulla legge in generale del c.c. che dispone: nell’applicare la legge non si può ad essa attribuire altro senso che quello fatto palese del significato proprio delle parole secondo la connessione di esse, e dalla intenzione del legislatore, l’interpretazione letterale della norma di cui agli articoli 141 e 149 esclude la legittimazione passiva del responsabile civile rispetto alla pretesa creditoria del danneggiato nei confronti della propria compagnia di assicurazione e di quella del vettore.
Il significato letterale del verbo PUO’ di cui all’art. 149, si deve interpretare nel senso che il danneggiato non è obbligato a proporre l’azione giudiziaria nei confronti della propria compagnia d’assicurazione ma, può, in alternativa, (con un’interpretazione costituzionalmente orientata) scegliere, ex articolo 144, di evocare in giudizio la compagnia del responsabile civile e quest’ultimo quale litisconsorte necessario.In assenza di espresse modifiche, non appare dubitabile che il danneggiato ha la facoltà di agire in giudizio nei soli confronti del danneggiante (avendolo, però, preventivamente messo in mora) o congiuntamente con la sua compagnia d’assicurazione, ai sensi degli articoli 2043 e 2054 c.c. Una volta intrapreso il percorso risarcitorio di cui agli articoli 149 e 141 citando in giudizio la propria compagnia di assicurazione o quella del vettore, non si può estendere l’azione al responsabile civile perché gli articoli citati non lo prevedono.
La presenza del responsabile civile nel giudizio diretto e nel giudizio nei confronti della Compagnia di assicurazione del terzo trasportato, lungi dal semplificare, avrebbe l’effetto di complicare l’iter processuale. Si pensi, ad esempio, all’ipotesi in cui il convenuto spieghi domanda riconvenzionale, oppure chieda la chiamata in garanzia del proprio assicuratore, oppure chieda la sua estromissione dal giudizio per carenza di legittimazione passiva e la condanna alle spese di giudizio, in forza, proprio, dell’art. 149 che, si ripete, lo esclude.
La legittimazione passiva del responsabile civile all’interno dell’azione diretta e dell’azione del terzo trasportato, contro l’intenzione del legislatore, vanificherebbe la finalità della norma ed anzi, porterebbe a procrastinare la durata dei processi e, ciò, in contrasto con l’esigenza di garantire la celerità e concentrazione del giudizio prevista dall’articolo 111 della Costituzione.Nel giudizio intrapreso nei soli confronti della compagnia di assicurazione del danneggiato, il Giudice dovrà solo verificare:- che il sinistro si sia verificato tra due veicoli a motore, identificati ed assicurati per la responsabilità civile obbligatoria;- che il danneggiato non sia responsabile in tutto o in parte del sinistro, ai sensi dell’articolo 12 comma 1 del DPR 18/07/06 n.254 di attuazione dell’articolo 150 del codice delle assicurazioni e della tabella di cui all’allegato A - (cosa che avrebbe dovuto fare la compagnia di assicurazione del danneggiato in forza dell’obbligo di legge che le attribuisce il potere/dovere di sostituirsi alla compagnia del danneggiante e, quindi, una volta ricevuta la richiesta di risarcimento avrebbe dovuto darne immediata comunicazione all’impresa del responsabile civile affinché quest’ultima verificasse, con il suo assicurato, le modalità di accadimento del sinistro). Se dalle opportune verifiche si fosse riscontrato una qualsiasi corresponsabilità, la compagnia di assicurazione del presunto danneggiato avrebbe dovuto darne a questi comunicazione il quale, avrebbe potuto azionare l’azione di cui all’articolo 144 e non più l’azione diretta in quanto questa sarebbe stata inammissibile e/o improcedibile).- Qualora il sinistro non rientri in alcune delle ipotesi previste dalla tabella, l’accertamento della responsabilità è compiuto con riferimento alla fattispecie concreta, nel rispetto dei principi generali nei termini di responsabilità derivante dalla circolazione del veicolo (articolo 12 comma 2 DPR 254/06).
Superata così, la presunzione di corresponsabilità ex articolo 2054, comma 2 c.c. e, valutata l’effettiva entità dei danni, al Giudice non rimarrà altro che condannare la convenuta compagnia di assicurazione al pagamento in favore del danneggiato della somma ritenuta equa, oltre al rimborso delle spese di giudizio, ex articolo 91 c.p.c.
Nel giudizio intrapreso dal terzo trasportato nei soli confronti della compagnia di assicurazioni del veicolo sul quale era a bordo al momento del sinistro, il Giudice dovrà solo verificare:- la proponibilità della domanda;- la legittimazione passiva della Compagnia di assicurazione;- il nesso di causalità del danno lamentato con la qualità di trasportato;- l’entità del danno.
Per quanto sopra esposto, la domanda deve ritenersi ammissibile e proponibile essendo stata preceduta da rituale richiesta di risarcimento danni, ex artt. 145 e 148 D.L.vo 209/05 ed è trascorso lo spatium deliberandi.
L’istruttoria della causa non è stata completata perché gli attori hanno rinunciato all’escussione del teste indicato ed, emendando la domanda in corso di causa, ne hanno chiesto l’accoglimento sul presupposto che nessun onere probatorio incombe sugli attori per quanto concerne la dimostrazione dei fatti di causa, in quanto la propria compagnia di assicurazione non ha mai contestato l’an, anzi, ha inviato la somma di € 1.100,00 riconoscendo, così, la mancanza di qualsiasi responsabilità in capo agli attori.Tale assunto non è condivisibile per le ragioni che seguono:a) l’invio di una somma da parte della Compagnia di assicurazione nella fase stragiudiziale, non dimostra, di per se, la fondatezza della pretesa degli attori;b) in tema di responsabilità da sinistri derivanti dalla circolazione stradale, la ricostruzione delle modalità del fatto generatore del danno, la valutazione della condotta dei singoli soggetti che vi sono coinvolti, l'accertamento e la graduazione della colpa, l'esistenza o l'esclusione del rapporto di causalità tra i comportamenti dei singoli soggetti e l'evento dannoso, l’ubicazione dei danni e la loro entità, integrano altrettanti giudizi di merito che spettano solo al Giudice investito del giudizio instaurato dal danneggiato nei confronti del danneggiante e/o della sua Compagnia di assicurazione o nei confronti della propria Compagnia di assicurazione nell’azione diretta di cui all’art. 149 del D.L.vo n.209/05, come nel caso di specie, e devono essere provati in giudizio;c) la fase stragiudiziale intercorsa tra il danneggiato e la propria assicurazione non può entrare nel giudizio di merito come prova del fatto dedotto in giudizio ma, solo sotto il limitato profilo della proponibilità/improponibilità della domanda.Il principio sancito dall’art. 2697 del Cod. Civ. è un principio cardine del nostro ordinamento: chi vuol far valere un diritto in giudizio deve provare i fatti che ne costituiscono il fondamento.
D’altro canto, l’onere imposto al danneggiato dall’art. 149 del D.L.vo n.209/05 nell’azione giudiziaria consiste nel:- provare che il sinistro si sia verificato tra due veicoli a motore, identificati ed assicurati per la responsabilità civile obbligatoria;- provare che egli non sia responsabile in tutto o in parte del sinistro.Ciò rilevato, gli attori, nella fattispecie, allo scrutinio di questo giudice, non hanno provato quanto imposto dall’art. 149 citato e, pertanto, la domanda dev’essere rigettata.
Si osserva, intatti, che il pagamento di qualsiasi importo a titolo risarcitorio, in via stragiudiziale, da parte di una determinata compagnia assicuratrice, lungi dal costituire riconoscimento della fondatezza della tesi attorea, può essere interpretato, come afferma consolidata giurisprudenza sia di legittimità che di merito, quale mero indirizzo di politica economico-aziendale, sicché l’invio di una determinata indennità all’attore non potrà mai avere carattere latamente “confessorio” e, quindi, far ritenere superflua la fase istruttoria.In definitiva, l’attore ha sempre l’onere di provare il fondamento delle proprie istanze.La peculiarità della questione trattata induce il giudicante a compensare tra le parti le spese del procedimento.La sentenza è esecutiva ex lege.
P.Q.M.
Il Giudice di Pace del Mandamento di Pozzuoli, definitivamente pronunciando sulla domanda proposta da (…) Pasquale e (…) Rosario nei confronti di(…) Francesco e della S.p.A. (ZETA), in persona del legale rapp.te pro-tempore, disattesa ogni altra istanza ed eccezione, così provvede:
1) dichiara la carenza di "legitimatio ad causam" passiva di (…) Francesco;
2) rigetta la domanda;
3) compensa tra le parti le spese del procedimento;
4) sentenza esecutiva ex lege.Così decisa in Pozzuoli e depositata in originale il giorno 10 giugno 2009 al n. 1613 del mod. 16.
IL GIUDICE DI PACE
(Avv. Italo BRUNO)
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