giovedì 30 giugno 2011
L'INVALIDITA' CIVILE
L'INVALIDITÀ CIVILE
La tutela assistenziale del cittadino disabile si realizza con l'istituto dell'invalidità civile che, creato nel nostro Paese negli anni '60 ed inizialmente orientato al collocamento mirato al lavoro di soggetti impossibilitati a lavorare per malattia (art. 38 della Costituzione), si è nel tempo trasformato in un sistema che viene attivato per l'erogazione di indennità di natura economica anche per la tutela dei soggetti anziani ultra 65enni o dei minorenni.
LA LEGGE DI RIFERIMENTO
La legge di riferimento è la legge n. 118 del 1971 e le successive norme integrative (L. 18/80; L 509/88; L295/90; L 289/90) che disciplinano gli interventi assistenziali in favore degli invalidi civili.
CHI PUÒ CHIEDERE IL RICONOSCIMENTO DI INVALIDITA' CIVILE:
1- tutti i cittadini, residenti nel territorio di competenza della ZT territoriale n. 7 di Ancona , affetti da patologie invalidanti, purché le stesse non siano già state riconosciute dipendenti da causa di lavoro, da causa di servizio, da causa di guerra o per le quali non siano state riconosciute le provvidenze economiche previste a favore dei ciechi civili e dei sordomuti;
2- i legittimi eredi dei soggetti aventi diritto, nel caso di decesso avvenuto successivamente alla presentazione della domanda per il riconoscimento dell'invalidità civile.
CHI VIENE CONSIDERATO "INVALIDO CIVILE"?
In relazione all'età della persona si possono prospettare le seguenti variabili che definiscono quali sono le categorie di soggetti aventi titolo al riconoscimento dell'invalidità civile:
• Soggetti in età lavorativa (tra i 18 e i 65 anni): coloro che risultano affetti da minorazioni congenite o acquisite che producano una riduzione (impairment) della capacità lavorativa in misura superiore ad 1/3 (maggiore del 33%). La riduzione della capacità lavorativa si valuta secondo i criteri previsti dalle norme di legge che disciplinano la materia e delle Tabelle indicative delle percentuali di invalidità di cui al Decreto del Ministero della Sanità del 25 febbraio 1992.
• Soggetti minorenni (infra 18enni): coloro che presentano difficoltà persistenti a svolgere i compiti e le funzioni della loro età, ovvero i soggetti affetti da un'ipoacusia con perdita uditiva superiore ai 60 decibel nell'orecchio migliore nelle frequenze di 500, 1000 e 2000 hertz.
Soggetti anziani (ultra 65enni): coloro che presentano difficoltà persistenti a svolgere i compiti e le funzioni proprie della loro età.
Soggetti in tutte le fasce di età: coloro che si trovino nell'impossibilità di deambulare senza l'aiuto permanente di un accompagnatore e/o nell'impossibilità di compiere autonomamente gli atti quotidiani della vita così da rendere necessaria un'assistenza personale continuativa.
BENEFICI A FAVORE DEI SOGGETTI RICONOSCIUTI INVALIDI CIVILI
a) Benefici di natura economica: assegno di invalidità, pensione di inabilità, indennità mensile di frequenza per i minori ed indennità di accompagnamento.
b) Benefici di natura socio-assistenziale: assistenza protesica, collocamento mirato al lavoro ed esenzione dalla partecipazione alla spesa sanitaria (esenzione "ticket") per le prestazioni di diagnostica clinica e di diagnostica strumentale.
DETTAGLIO DEI BENEFICI ASSISTENZIALI RICONOSCIUTI AGLI INVALIDI CIVILI
I benefici variano in funzione dell'età del soggetto e della valutazione medico-legale espressa al termine della visita medica.
Invalido civile MINORE DI ANNI 18
GIUDIZIO REQUISITO
MEDICO LEGALE BENEFICI
ECONOMICI BENEFICI SOCIO ASSISTENZIALI AGEVOLAZIONE ALL’INSERIMENTO LAVORATIVO
NON INVALIDO Non difficoltà a svolgere le funzioni ed i compiti propri dell’età
NESSUNO *protesi e ausili
(D.M. 27.08.1999, n. 332; Delibera Regione Marche n. 1560/2004);
NESSUNO
INVALIDO Difficoltà a svolgere le funzioni ed i compiti propri dell’età
ASSEGNO MENSILE DI FREQUENZA
protesi e ausili
(D.M. 27.08.1999, n. 332; Delibera Regione Marche n. 1560/2004);
esenzione ticket
al compimento del 16° anno di età eventuale valutazione percentuale del grado di invalidità ai fini del collocamento mirato al lavoro. (norme sull’apprendistato l. 68/99)
Incapacità:
-a deambulare autonomamente
-a compiere gli atti quotidiani della vita
INDENNITÀ DI ACCOMPAGNAMENTO protesi e ausili
(D.M. 27.08.1999, n. 332; Delibera Regione Marche n. 1560/2004);
esenzione ticket
*Nel soggetto minorenne l'erogazione di presidi protesici e di ausili non richiede, di necessità, la dichiarazione dello stato di invalidità civile, risultando subordinata alla sola prescrizione medica specialistica.
INVALIDO CIVILE ADULTO IN ETA' LAVORATIVA (18-65 anni)
GIUDIZIO REQUISITO
MEDICO LEGALE BENEFICI
ECONOMICI BENEFICI
SOCIO ASSISTENZIALI AGEVOLAZIONE ALL’INSERIMENTO LAVORATIVO
NON INVALIDO riduzione della capacità lavorativa inferiore ad 1/3
(0-33%)
NESSUNO
NESSUNO
NESSUNO
INVALIDO riduzione della capacità lavorativa superiore ad 1/3 ed inferiore ai 2/3
(34-66%)
NESSUNO protesi e ausili
(D.M. 27.08.1999, n. 332; Delibera Regione Marche n. 1560/2004);
collocamento mirato al lavoro ex L 68/99
(per i soggetti che hanno un'invalidità lavorativa pari o superiore al 46%)
riduzione della capacità lavorativa superiore ad 2/3
(66-99%)
ASSEGNO DI INVALIDITÀ
(invalidità pari o superiore al 74% in sub ordine al reddito).
protesi e ausili
(D.M. 27.08.1999, n. 332; Delibera Regione Marche n. 1560/2004);
esenzione ticket
INABILE
riduzione assoluta e permanente della capacità lavorativa (100%)
PENSIONE DI INABILITÀ
(in subordine al reddito)
protesi e ausili
(D.M. 27.08.1999, n. 332; Delibera Regione Marche n. 1560/2004);
esenzione ticket
collocamento mirato al lavoro ex L. 68/1999
(qualora il soggetto sia ancora in possesso delle potenzialità lavorative individuate dal D.M. 5.02.1992);
riduzione assoluta e permanente della capacità lavorativa (100%)
+
Incapacità (e/o):
-a deambulare autonomamente
-a compiere gli atti quotidiani della vita
INDENNITÀ DI ACCOMPAGNAMENTO protesi e ausili
(D.M. 27.08.1999, n. 332; Delibera Regione Marche n. 1560/2004);
esenzione ticket
INVALIDO CIVILE ANZIANO ULTRA 65ENNE
GIUDIZIO REQUISITO
MEDICO LEGALE BENEFICI
ECONOMICI BENEFICI
SOCIO ASSISTENZIALI
NON INVALIDO L’anziano che pur essendo affetto da infermità, non presenta difficoltà a svolgere le funzioni ed ai compiti propri dell’età o presenta riduzione di tali capacità inferiore ad 1/3
(0-33%)
NESSUNO
NESSUNO
INVALIDO difficoltà nello svolgimento delle funzioni ed ai compiti propri dell’età con riduzione di tali capacità superiore ad 1/3 ed inferiore ai 2/3
(34-66%)
NESSUNO protesi e ausili
(D.M. 27.08.1999, n. 332; Delibera Regione Marche n. 1560/2004);
difficoltà nello svolgimento delle funzioni ed i compiti propri dell’età superiore a 2/3
(66-99%)
NESSUNO protesi e ausili
(D.M. 27.08.1999, n. 332; Delibera Regione Marche n. 1560/2004);
esenzione ticket
INABILE
assoluta e permanente riduzione della capacità allo svolgimento delle funzioni ed ai compiti propri dell’età
(100%)
NESSUNO protesi e ausili
(D.M. 27.08.1999, n. 332; Delibera Regione Marche n. 1560/2004);
esenzione ticket
assoluta e permanente riduzione della capacità allo svolgimento delle funzioni ed ai compiti propri dell’età
(100%)
+
Incapacità (e/o):
-a deambulare autonomamente
-a compiere gli atti quotidiani della vita
INDENNITÀ DI ACCOMPAGNAMENTO protesi e ausili
(D.M. 27.08.1999, n. 332; Delibera Regione Marche n. 1560/2004);
esenzione ticket
La recente Legge n. 80/06 stabilisce che …….
DOVE DEVE ESSERE PRESENTATA LA DOMANDA
Le domande per accedere all'accertamento dell'invalidità civile debbono essere presentate direttamente o tramite raccomandata A.R. all’Ufficio Invalidi delle UU.OO. di Medicina Legale territorialmente competenti.
L’utente può farsi assistere, nella presentazione della domanda e nel successivo iter, dagli Istituti di Patronato.
La domanda può anche essere presentata tramite le Associazioni di categoria.
COME DEVE ESSERE COMPILATA LA DOMANDA
La domanda finalizzata all'accertamento dell'invalidità civile deve essere compilata su una apposita modulistica (scaricabile anche in download dal sito web www.asurzona7.mache.it - Servizio Medicina Legale) o reperibile presso:
Unità Operative di Medicina Legale dell’ASUR ZT 7;
Ufficio Relazioni con il Pubblico (URP) della ZT 7 sito ad Ancona in via C. Colombo, 106;
Distretti Sanitari Nord, Centro e Sud;
Istituti di Patronato o Associazioni di categoria.
Il modulo dovrà necessariamente contenere:
• i dati anagrafici, il codice fiscale ed il numero telefonico;
• le motivazioni dell'istanza (barrare la casella relativa all’accertamento per l’invalidità civile);
Deve essere allegato:
• un certificato medico (in originale) redatto in data non antecedente a sei mesi, in cui sia sinteticamente descritta la storia clinica della persona e siano certificate le principali patologie invalidanti di cui è affetta;
• per i cittadini non appartenenti alla Comunità Europea, la copia autentica della carta o del permesso di soggiorno che attesti la residenza in Italia da almeno 1 anno.
COSA DEVE CONTENERE IL CERTIFICATO MEDICO
Il certificato medico da allegare alla domanda finalizzata all'accertamento dell'invalidità civile, redatto dal medico curante (medico di famiglia, pediatra di base, medico specialista, medico di fiducia della persona), deve possedere i seguenti requisiti sostanziali:
- descrivere sinteticamente la storia clinica del soggetto;
- riportare, nel caso di pericolo per la vita della persona, la necessità di dare priorità alla visita medica, in ottemperanza a quanto disposto dalla L. 291/88 e successive Circolari del Ministero del Tesoro:
- riportare, solo in caso di intrasportabilità della persona anche a mezzo ambulanza, la necessità di effettuare la visita medica al domicilio della stessa (ex Decreto Ministero dell’Interno 28/03/85; Circolare Ministero del Tesoro n. 1 del 19/10/89; DPR 698/94).
IL PERCORSO AMMINISTRATIVO
Nel rispetto del piano di attività concordato con la Direzione Generale e della priorità delle domande, il personale amministrativo provvede a convocare il cittadino alla visita medica mediante comunicazione scritta.
Nella lettera di convocazione, inviata al domicilio della persona, generalmente 15 giorni prima dell'appuntamento, si esplicita:
il giorno, l'ora e la sede in cui sarà effettuata la visita medica;
la necessità di produrre, già in fotocopia, la documentazione sanitaria che la persona intende esibire all'atto della visita medica;
l’indispensabilità di produrre un documento d’identità in corso di validità (carta d’identità, patente di guida, passaporto o libretto della pensione purché corredato di fotografia; tesserini ministeriali o delle FFSS corredati di fotografia);
la necessità di comunicare tempestivamente al personale amministrativo della Unità Operativa di Medicina Legale l'eventuale impossibilità a presenziare alla visita medica programmata per motivi di salute. In tal caso, dovrà essere inviato un certificato medico attestante l'impedimento o, in caso di degenza ospedaliera, il certificato di ricovero;
che l'assenza ingiustificata alla visita comporta l'archiviazione della domanda;
la possibilità del cittadino di farsi assistere, a sue spese, da un medico di fiducia.
Nel caso in cui il medico curante attesti l'intrasportabilità della persona, anche a mezzo ambulanza, la visita medica viene disposta al domicilio della stessa.
GLI ACCERTAMENTI SANITARI
L' ACCERTAMENTO SANITARIO DELL'INVALIDITA' CIVILE IN 1a ISTANZA
E’ effettuato da una Commissione composta da:
un medico specialista in Medicina Legale dipendente o convenzionato dell’Azienda sanitaria, con funzione di Presidente;
da altri due medici dipendenti o convenzionati con l’azienda sanitaria (uno preferibilmente specialista in medicina del lavoro);
la Commissione è integrata da un medico di categoria nominato dalle Associazioni di tutela dei disabili.
Gli accertamenti sanitari sono svolti nelle seguenti sedi:
ambulatori delle UU.OO. di Medicina Legale.
Il verbale di visita e la relativa documentazione sanitaria, vengono inviati alla Commissione Medica di Verifica (CMV) del Ministero dell’Economia e Finanze territorialmente competente. La CMV, entro il termine di 60 giorni dalla ricezione del verbale, provvede alla restituzione dello stesso alla Commissione ASUR – Zona Territoriale, ovvero, qualora ritenga, con motivato parere, di dissentire dalla valutazione formulata in prima istanza, provvede alla chiamata a visita diretta del cittadino o, eventualmente, a richiedere approfondimenti diagnostici mediante esami clinico-strumentali. In quest’ultima evenienza il caso sarà definito , direttamente, dalla CMV che provvederà alle successive incombenze amministrative (trasmissione del verbale all’interessato/a).
Avverso il giudizio espresso dalle competenti Commissioni è ammesso il ricorso giudiziale entro e non oltre sei mesi dalla data di notifica del verbale all’interessato.
COSA SUCCEDE IN CASO DI DECESSO DELLA PERSONA PRIMA DELLA CONVOCAZIONE A VISITA MEDICA
L'accertamento dell'invalidità civile può essere effettuato, in caso di decesso dell’interessato avvenuto prima della convocazione alla visita medica, sulla scorta degli atti documentali: in tale evenienza l'accertamento sanitario “post-mortem” dell'invalidità civile deve essere promosso da parte dei legittimi eredi in carta semplice, producendo la dichiarazione di morte rilasciata dal Comune territorialmente competente e tutta la documentazione clinica in copia conforme rilasciata da strutture pubbliche o convenzionate, in data antecedente al decesso; deve essere altresì prodotta una copia conforme della scheda ISTAT relativa alla denuncia della causa di morte. Le modalità di inoltro della domanda rimangono come quelle sopra riportate.
CON QUALI CRITERI SI VALUTA L'INVALIDITA' CIVILE
I criteri di valutazione medico - legale dell'invalidità civile si diversificano in funzione dell'età del soggetto:
NEL MINORE si valuta:
- l’esistenza di difficoltà persistenti a svolgere i compiti e le funzioni proprie dell'età;
- nei casi più gravi, si valuta l'incapacità di deambulare autonomamente senza l’aiuto permanente di un accompagnatore (giudizio possibile solo se il bambino ha raggiunto una età in cui avrebbe dovuto aver già conquistato la capacità di camminare) o l’incapacità di compiere autonomamente gli atti quotidiani della vita così da rendere necessaria un'assistenza personale continuativa.
NELL'ADULTO si valuta:
-la riduzione della capacità lavorativa in termini percentuali sulla base dei criteri fissati dalla Tabelle emanate con Decreto del Ministero della Sanità il 5 febbraio 1992 ("Approvazione della nuova tabella indicativa delle percentuali di Invalidità per le minorazioni e malattie invalidanti);
- le potenzialità lavorative del soggetto secondo i criteri dettati dal citato Decreto Ministeriale;
- l’eventuale incapacità della persona a deambulare autonomamente senza l'aiuto permanente di un accompagnatore o di compiere autonomamente gli atti quotidiani della vita così da rendere necessaria un'assistenza personale continuativa.
NELL'ANZIANO si valuta:
- l'esistenza di difficoltà persistenti a svolgere le funzioni proprie dell'età con percentualizzazione della valutazione;
- nei casi più gravi, l'incapacità di deambulare autonomamente senza l'aiuto permanente di un accompagnatore o di compiere autonomamente gli atti quotidiani della vita così da rendere necessaria un'assistenza personale continuativa.
COSA SUCCEDE SUCESSIVAMENTE ALLA VISITA PER L'ACCERTAMENTO DELL'INVALIDITA` CIVILE
Successivamente alla visita medica ed alla approvazione del giudizio espresso dalla Commissione da parte della CMV, il verbale relativo all’accertamento sanitario viene trasmesso ai seguenti soggetti:
- alla persona che ha richiesto la visita medica finalizzata all'accertamento dell'invalidità civile o, in alternativa, agli Enti di Patrocinio, qualora l'interessato abbia delegato agli stessi la gestione della pratica;
- all'INPS (Istituto Nazionale della Previdenza Sociale) di Ancona, qualora il grado percentuale di invalidità civile sia pari o superiore al 74%.
ADEMPIMENTI IN CAPO AL CITTADINO DOPO L'ACQUISIZIONE DEL VERBALE DI INVALIDITA' CIVILE
Tali adempimenti variano in funzione dei grado/tipologia di invalidità civile riconosciuto.
- Nessun adempimento compete al cittadino qualora, per qualsiasi fascia di età, sia stato dichiarato non invalido fatta salva la possibilità di ricorrere avverso il giudizio espresso.
- Qualora il cittadino abbia un giudizio di invalidità civile superore al 46% ed abbia un’età compresa fra 18 e 65 anni, dovrà recarsi al Centro per l'Impiego territorialmente competente presentando il verbale per l'iscrizione alle liste di collocamento lavorativo.
- Qualora il cittadino presenti i requisiti sanitari per l'accesso a benefici economici (indennità mensile di frequenza per minori, assegno di invalidità/pensione di inabilità, indennità di accompagnamento), lo stesso, secondo le indicazioni fornite nella lettera di trasmissione del verbale di invalidità civile, dovrà compilare il modulo INPS allegato ed inviarlo o consegnarlo alla sede INPS di Ancona, sita in P.zza Cavour 23. Sarà cura dell’INPS l’eventuale erogazione dei benefici economici.
- Qualora il cittadino presenti i requisiti per ottenere i presidi protesici e gli ausili, Egli dovrà recarsi all’Ufficio Protesi delle UU.OO. di Medicina Legale territorialmente competenti munito dello specifico modello di prescrizione per protesi compilato dallo specialista di struttura pubblica o convenzionata (modello prescrizione). Sarà cura dello stesso personale dell’Ufficio Protesi, fornire sia indicazioni circa la possibilità di ottenere gli ausili, sia di inoltrare la specifica domanda.
- Qualora il cittadino presenti i requisiti per l'accesso all'esenzione della quota di compartecipazione alla spesa sanitaria (esenzione "ticket"), dovrà recarsi, presso il Distretto Sanitario di competenza presentando il verbale di accertamento dell’invalidità civile.
- Nel caso in cui il cittadino non condivida il parere espresso potrà ricorrere, entro 6 mesi dal ricevimento dell'esito della visita medica, in via giudiziale (Tribunale Civile di Ancona, ex art. 42, coma 3 del DL n. 269/2003, convertito, con modificazioni, dalla legge n. 326/2003.
RESPONSABILITÀ' DA COSE IN CUSTODIA: PRESUNZIONE DI COLPA O RESPONSABILITÀ' OGGETTIVA
Insidia o trabocchetto:cinque anni di giurisprudenza a confronto
I - RESPONSABILITA’ DA COSE IN CUSTODIA: PRESUNZIONE DI COLPA O RESPONSABILITA’ OGGETTIVA?
Fin dall’entrata in vigore del Codice Civile del 1942, l’art. 2051 - secondo cui “ciascuno è responsabile del danno cagionato dalle cose che ha in custodia, salvo che provi il caso fortuito - è stato sempre fonte di forti contrasti interpretativi tra quanti – soprattutto nella giurisprudenza – optano per una lettura in chiave soggettivistica della norma e quanti, al contrario, guardano alla fattispecie in termini di responsabilità oggettiva.
Prima di affrontare il merito della questione è, tuttavia, opportuno dar conto delle accezioni di “cosa” e di “custodia” elaborate dalla giurisprudenza di legittimità in subiecta materia.
La Corte di Cassazione, dopo aver confermato più volte l’orientamento che nega qualsiasi rilievo al requisito della pericolosità intrinseca della cosa, afferma che tutte le cose possono rivelarsi causa di danno, quale che ne siano la struttura e le qualità, siano esse in movimento oppure inerti. In ogni caso, tuttavia, è pur sempre necessario, ai fini dell’applicazione della norma, che il danno si sia prodotto nell’ambito del “dinamismo connaturato alla cosa”, oppure per l’insorgenza in essa di un processo dannoso ancorché provocato da elementi esterni.
Quanto al concetto di custodia, le varie opinioni che nel tempo si sono succedute, nonostante le loro differenze posso essere raggruppate in due grandi categorie. Quella più antica, che si riallaccia alla configurazione giustinianea, per cui la custodia non è che un tipo particolare di diligentia, ancorata ad un criterio soggettivo di determinazione della responsabilità e quella più recente che individua il concetto di custodia nella responsabilità oggettiva.
Secondo quest’ultima elaborazione, la custodia si concretizza cioè in un criterio oggettivo di responsabilità, intendendo per tale quello che addossa a colui che ha la custodia della cosa la responsabilità per determinati eventi dannosi, a prescindere da qualsiasi considerazione del di lui profilo comportamentale.
La dottrina maggioritaria afferma, in buona sostanza, che la custodia ex art. 2051 c.c. non va intesa come tipo particolare di diligenza bensì in termini oggettivi: essa è criterio di imputazione della responsabilità che non presuppone né implica una specifica obbligazione di custodire la cosa e quindi l’eventuale violazione di detto obbligo non rileva.
In merito alla natura giuridica di tale responsabilità esistono due diversi orientamenti.
Il prevalente indirizzo giurisprudenziale ed una parte minoritaria della dottrina, in omaggio al vecchio principio “nessuna responsabilità senza colpa” ravvisano nella fattispecie di cui all’art. 2051 c.c. una presunzione di responsabilità a carico di colui che ha in custodia la cosa. Questi per andare esente da responsabilità dovrebbe dimostrare il caso fortuito e cioè, secondo tale impostazione, dovrebbe dimostrare che il danno si è verificato per un evento non prevedibile né superabile con l’uso della normale diligenza adeguata alla natura della cosa .
In altri termini coloro i quali affermano il fondamento colposo della responsabilità in esame, precisano, al tempo stesso, che la norma impone un obbligo di custodire la cosa affinché la stessa non arrechi danno a terzi.
Qualora, poi, tale evenienza si verificasse, sorgerebbe in capo al custode una presunzione di colpa iuris tantum, con conseguente inversione dell’onere della prova, in virtù della quale il custode sarebbe chiamato a fornire la prova della assenza di colpa.
Sennonché tale ricostruzione, come si è detto prevalente in giurisprudenza, non si sottrae, ad avviso della maggior parte della dottrina più recente, ad almeno due considerazioni critiche.
Da un lato, infatti, si fa rilevare l’incongruenza logica tra quanto affermato, in via di principio, circa la presunzione di colpa a carico del custode ed il contenuto della prova liberatoria a quest’ultimo richiesta.
Invero, coerentemente con le premesse, tale prova dovrebbe necessariamente coincidere con l’assenza di colpa , con la prova, cioè di aver custodito la cosa con diligenza e non, invece, come pretende la giurisprudenza – che pure si esprime in termini di responsabilità soggettiva – con la prova dell’esistenza di un fattore estraneo alla sfera del custode e tale da interrompere il nesso di causalità tra danno e cosa.
Se così è, si dice, la differenza tra coloro i quali ritengono che la responsabilità in esame sia una responsabilità di tipo soggettivo e quanti, al contrario, ne affermano il carattere oggettivo risulta molto più attenuata rispetto a quella che sembrerebbe fermandosi alle affermazioni di principio.
Dall’altro lato, si afferma che la concezione soggettiva di tale responsabilità finisce con lo svilire i recenti arresti dottrinali in materia di responsabilità civile.
Essa, infatti, è in aperto contrasto con quelli che sono gli obiettivi concreti della responsabilità civile – messi in luce dalla dottrina più recente - che tendono a spostare l’attenzione dalla sfera del danneggiante a quella della vittima dell’illecito.
In tale contesto la responsabilità civile perde i suoi contenuti essenzialmente sanzionatori, legati ad una responsabilità di tipo individuale e colpevole, per assumere un contenuto generalmente riparatorio che si identifica in una visione socializzante del sistema della responsabilità civile dove il costo del danno viene sopportato, in definitiva, dall’intera collettività.
Partendo da queste premesse la dottrina più recente, così come una parte minoritaria della giurisprudenza, abbandona la visione soggettivistica della responsabilità di cui all’art. 2051 c.c., per abbracciare una concezione della responsabilità da cose in custodia in cui il profilo comportamentale del custode è ininfluente affermandone, chiaramente e senza mezzi termini, la natura oggettiva .
Tale responsabilità si fonda esclusivamente sul rapporto di custodia e sul nesso di causalità tra la res e il danno . Nella struttura della norma non vi è spazio per una valutazione del comportamento del custode: questi non potrà liberarsi dalla responsabilità dimostrando di essere stato diligente, ma dovrà fornire la prova positiva del caso fortuito comprensiva anche del fatto del terzo o dello stesso danneggiato .
Dovrà fornire cioè la prova dell’esistenza di una causa a lui estranea che valga ad interrompere o ad escludere il nesso di causalità materiale tra la cosa in custodia ed il danno, rimanendo a suo carico la causa ignota.
II - Responsabilità della P. A. per danni cagionati da insidia stradale.
Soprattutto in passato, l’applicabilità dell’art. 2051 c.c. alla P. A. è stato oggetto di forti contrasti interpretativi, tant’è vero che, per lungo tempo, la giurisprudenza ha negato tale possibilità rilevando un insanabile contrasto tra la presunzione di legittimità dell’azione amministrativa e la presunzione di colpa posta a carico del custode.
Con il passare del tempo, tuttavia, tale privilegio è andato scemando e, pur ritenendosi ancora l’inapplicabilità di tale norma, si è cercato di rendere meno gravoso l’onere probatorio a carico del danneggiato – soprattutto in materia di incidenti stradali derivanti da omessa manutenzione di strade ed autostrade.
Tale risultato è stato raggiunto tramite l’introduzione, nell’ambito della generale responsabilità di cui all’art. 2043 c.c., dei concetti di insidia e trabocchetto utilizzati per indicare una situazione di pericolo occulto e cioè, secondo una giurisprudenza ormai cristallizzata, una situazione caratterizzata dalla non prevedibilità ed invisibilità del pericolo.
Il ragionamento logico e giuridico sviluppato dalla giurisprudenza, che si è occupata del tema, prende le mosse da una concezione soggettiva della responsabilità di cui all’art. 2051 c.c.
Ritenendo, infatti, che essa abbia pur sempre un fondamento colposo, la giurisprudenza ne disconosce l’applicabilità alla P.A. ove il bene, per la sua estensione e per l’uso diretto e generalizzato da parte dei consociati , non consenta la possibilità di esercitare su di esso un costante e continuo controllo atto ad evitare che esso diventi fonte di danno per i terzi .
Esclusa pertanto l’applicabilità dell’art. 2051 c.c. la giurisprudenza ha ripiegato verso una soluzione di compromesso ritenendo che, in ogni caso, la P. A. è sempre soggetta al principio generale del neminem laedere di cui all’art. 2043 c.c. incontrando, nell’esercizio della sua attività, limiti derivanti non solo da norme di legge e regolamentari ma anche dalle comuni norme di diligenza e prudenza.
Tale limite fa sì che la P. A. sia tenuta ad evitare che dal bene possa generare una situazione di pericolo occulto (insidia o trabocchetto) caratterizzata dal duplice e concorrente requisito della non visibilità oggettiva e della non prevedibilità soggettiva .
Al danneggiato, pertanto, incombe l’onere di provare in giudizio l’insidiosità della situazione di pericolo e cioè la sua non prevedibilità né visibilità, mentre all’amministrazione pubblica spetterà di provare quei fatti impeditivi o modificativi che la liberano da responsabilità .
Un orientamento minoritario, al contrario, riconduce la responsabilità della P.A. nell’ambito della disciplina di cui all’art. 2051 c.c., assumendo che la P.A., quale custode di detta strada, per andare esente dalla responsabilità, che su di essa grava in quanto custode della strada, deve provare che il danno sia stato causato dal caso fortuito, non ravvisabile come conseguenza della mancanza di prova da parte del danneggiato dell’esistenza dell’insidia, che questi, invece, non deve provare, così come non ha l’onere di provare la condotta commissiva od omissiva del custode, essendo sufficiente che provi l’evento dannoso ed il nesso di causalità con la cosa .
III - Casistica giurisprudenziale.
Ciò posto, ai fini della presente trattazione, è utile rivisitare alcuni casi concreti in cui la giurisprudenza, sia di merito che di legittimità, ha fatto applicazione dei predetti principi, al fine di rendere più agevole al lettore la comprensione di come effettivamente i concetti di insidia o trabocchetto interagiscono nell’ambito della responsabilità della P. A., proprietaria di una strada pubblica, per i danni subiti dall’utente.
Il metodo che si seguirà sarà quello di riportare, in ordine cronologico, dapprima i casi in cui la giurisprudenza ha fatto costante applicazione di tali concetti e, successivamente, quelli in cui, al contrario, essa si è timidamente discostata dall’orientamento prevalente riconducendo tale responsabilità nell’ambito dell’art. 2051 c.c.
Cass. Civ., Sez. III, 1 febbraio 1998, n. 921; Ditta Gertl Josef Autotrasporti c. Autostrada del Brennero.
Nel caso di specie, Josef Gertl conveniva in giudizio davanti al Tribunale di Bolzano la S.p.a. Autostrade del Brennero per chiedere il risarcimento dei danni subiti allorché, uscendo da una curva volgente a destra ed a visuale chiusa, andava a sbattere in un violento impatto frontale contro un masso di grandi dimensioni che, staccatosi dalla scarpata a monte, era finito al centro della corsia di marcia normale.
Con sentenza del 30.06.1982 il Tribunale rigettava la domanda ritenendo non provata la circostanza che il masso fosse caduto sulla strada mentre sopraggiungeva il veicolo di proprietà dell’attore, che le condizioni di visibilità e la velocità di marcia avrebbero consentito al conducente di notarne la presenza e di evitarlo. In diritto riteneva il Tribunale che la responsabilità della società convenuta, concessionaria dell’autostrada, sarebbe potuta sussistere solo nel caso in cui la mancanza di vigilanza e manutenzione della strada avessero cagionato la presenza di un’insidia o trabocchetto, che, nel caso di specie,non era stata ravvisata.
Avverso tale sentenza, l’attore proponeva appello che la Corte d’Appello di Trento rigettava affermando che, nel caso di specie, non era ravvisabile l’esistenza di un’insidia in quanto il masso poteva essere avvistato dal conducente ed evitato.
Contro la sentenza d’appello, l’attore proponeva ricorso per Cassazione che, tuttavia, veniva rigettato non essendosi rilevato alcun difetto di motivazione nella sentenza impugnata.
Anzi la Corte, investita di uno specifico motivo di impugnazione circa la mancata applicazione, al caso di specie, dell’art. 2051 c.c ., aveva modo di affermare che: “Il criterio di imputazione della responsabilità di cui all’art. 2051 c.c. non trova applicazione in confronto della P.A., proprietaria di autostrade come del concessionario, secondo quanto questa Corte ha più volte ritenuto, trattandosi di beni la cui estensione non consente una vigilanza ed un controllo idonei ad evitare l’insorgenza di cause di pericolo. Opera, invece, in base al disposto dell’art. 2043 c.c. il criterio di imputazione del neminem laedere, in forza del quale l’ente proprietario della strada, aperta al pubblico transito, è tenuto a far sì che essa non presenti per l’utente una situazione di pericolo occulto, caratterizzata congiuntamente dall’elemento obiettivo della non visibilità e da quello soggettivo della non prevedibilità del pericolo”.
Cass. Civ., sez. I, 25.09.1990, n. 9702; Palumbo Mario c. Anas .
Nella fattispecie Palumbo Mario conveniva in giudizio il Comune di Lecce, quale ente proprietario della strada, per ottenere il risarcimento dei danni subiti allorché alla guida del proprio motoveicolo, tornando a casa dal lavoro, urtava contro un palo telefonico collocato al centro della strada stessa – non ancora aperta al traffico - riportando la paralisi del plesso branchiale destro.
Il Comune, costituitosi, chiedeva di chiamare in causa l’Anas ritenendola obbligata alla manutenzione del tratto di strada in questione, la quale, a sua volta, chiamava in giudizio l’appaltatore dei lavori.
Il Tribunale di Lecce accoglieva la domanda attrice ritenendo i convenuti responsabili solidali:
- il Comune in quanto proprietario della strada non solo perché aveva mancato di apporvi la dovuta segnaletica e di tenerla illuminata, ma anche perché aveva costretto gli utenti – a causa del pessimo stato in cui si trovava il vecchio tratto di strada – a percorrere quella nuova, non ancora aperta al traffico;
- l’Anas in quanto aveva la direzione e la sorveglianza dei lavori;
- l’appaltatore in quanto avente l’obbligo di custodia sul cantiere;
Avverso tale sentenza l’Anas proponeva appello che, tuttavia, veniva rigettato sulla base delle seguenti argomentazioni:
a) l’urto contro il palo telefonico avvenne in ora notturna, con tempo piovoso e senza che, in alcun modo, fosse segnalata la sua presenza in quanto i segnali di pericolo e di divieto di transito – che avrebbero dovuto essere fissati in modo da non poter essere facilmente rimossi – non esistevano al momento dell’incidente;
b) a causa della pioggia il danneggiato procedeva con il capo inclinato in avanti onde ripararsi ed il faro del motociclo proiettava un campo luminoso limitato, ragione per cui egli non aveva avuto modo di valutare con esattezza la precisa collocazione del palo a nulla rilevando, pertanto, che, abitando a poca distanza dal luogo dell’incidente, ne avesse avuto conoscenza.
Avverso tale decisione veniva proposto ricorso per cassazione ritenendosi non sussistere, nel caso di specie, l’esistenza di una insidia ed, in particolare, del suo carattere di imprevedibilità in quanto il danneggiato era ben a conoscenza della situazione pericolosa (in fase di istruttoria, era emerso, infatti, che il danneggiato percorreva quella strada almeno quattro volte al giorno per recarsi da casa al lavoro).
La Cassazione dichiara infondato il ricorso affermando che: “ … Infatti, come è stato già ritenuto da questa Corte con sent. n. 1053 del 73, la consapevolezza dell’esistenza di un pericolo e della sua natura non fa venir necessariamente meno l’estremo dell’imprevedibilità proprio dell’insidia, giacché non esclude che, in concreto, appunto per il carattere obiettivo dell’invisibilità, insito nel trabocchetto, possa determinarsi in chi è conscio del pericolo una rappresentazione dei luoghi diversa da quella reale, con conseguente errore circa l’esatta ubicazione del punto pericoloso” .
Cass. Civ., Sez. III, 25 febbraio 1997, n. 1707; Brescianin Macchine c. Autovie Venete.
Con atto di citazione del 1988, la Brescianin Macchine conveniva in giudizio la Autovie Venete s.p.a. per sentirla condannare al risarcimento dei danni subiti in occasione del sinistro occorsole sull’autostrada Trieste – Venezia.
Affermava l’attore che, durante una manovra di sorpasso, a causa dell’improvviso sbandamento dell’autotreno sorpassato, era stata costretta a spostarsi a sinistra, con una manovra di emergenza, superando la linea gialla fino ad avvicinarsi al guard–rail; l’autovettura, tuttavia, scivolava su un gradino di asfalto che si trovava tra la linea gialla ed il guard–rail riportando rilevanti danni.
Il Tribunale di Trieste rigettava la domanda così come la Corte d’Appello, in sede di gravame, confermava la decisione di primo grado affermando che, in base all’art. 106 del codice della strada vigente al tempo dell’incidente, le strisce gialle continue sono impiegate per segnalare il bordo massimo della carreggiata percorribile, oltre il quale non può sussistere l’affidamento dell’utente circa l’inesistenza di insidie.
Avverso tale sentenza, la società Brescianin proponeva ricorso per cassazione che veniva accolto sulla base del seguente ragionamento:
a) l’obbligo da parte del conducente di non oltrepassare la banchina laterale riguarda l’uso normale della strada, ma non anche le manovre saltuarie e di breve durata, qual è certamente il sorpasso dei veicoli procedenti nello stesso senso di marcia;
b) conseguentemente la banchina laterale deve essere mantenuta, alla stessa maniera della carreggiata, in modo tale che essa non presenti per l’utente un’insidia.
Cass. Civ., Sez. III, 28 aprile 1997, n. 3630; Anas c. Gioia Giuseppe.
Con atto di citazione del 1991 Gioia Giuseppe conveniva in giudizio, avanti al Conciliatore di Enna, l’Anas per ottenere il risarcimento dei danni subiti a seguito di un incidente stradale causato dalla presenza sulla sede stradale di una fascia d’acqua che, in senso obliquo, attraversava la carreggiata.
Il conciliatore con sentenza del 1994 accolse la domanda attrice ritenendo raggiunta la prova in ordine alla non visibilità – in quanto non segnalata – e non prevedibilità – in quanto il sinistro si verificò in una giornata di sole – della situazione di pericolo.
Avverso la sentenza la convenuta Anas proponeva ricorso per Cassazione che, tuttavia, veniva rigettato.
Ancora una volta la Cassazione affermava: “… L’ente proprietario della strada aperta al pubblico transito è tenuto a mantenere la strada stessa in condizioni che non costituiscono per l’utente, il quale fa ragionevole affidamento nella sua apparente regolarità, una situazione di pericolo occulto (cd. insidia o trabocchetto)”.
Precisa, inoltre, la Suprema Corte che: “… rientra nei poteri di accertamento discrezionale del giudice di merito l’indagine volta ad individuare la ricorrenza o meno della situazione di pericolo occulto e che detto accertamento si sottrae, se immune da vizi logici ed errori di diritto, al sindacato di legittimità”.
Cass. Civ., Sez. III, 24 Maggio 1997, n. 4632; Comune di Comiso c. Schembari Nunzio;
Con atto di citazione del giugno 1984, Schembari Nunzio conveniva in giudizio il Comune di Comiso affermando che, nel percorrere con la propria moto una strada comunale, era stato costretto ad una brusca sterzata a sinistra a causa di analoga manovra dell’autovettura che stava sorpassando, finendo in una buca non segnalata e riportando notevoli danni.
Il Tribunale di Ragusa rigettava la domanda che, invece, veniva accolta dalla Corte d’Appello di Catania, adita in sede di gravame.
Quest’ultima, pur riconoscendo che la buca rappresentava una situazione di pericolo visibile ed evitabile, anche se, in una certa misura, meno avvertibile a causa della perpendicolarità dei raggi solari, ne affermava la insidiosità ritenendo che, a seguito della manovra di deviazione, essa finiva con il costituire pericolo non visibile né prevedibile.
Il convenuto ricorreva in Cassazione sostenendo che la Corte territoriale non aveva tenuto in considerazione il comportamento colpevole del danneggiato il quale, essendosi accorto della presenza sull’asfalto della buca, doveva astenersi dall’intraprendere le operazioni di sorpasso in quanto era prevedibile che un eventuale spostamento a sinistra dell’autovettura sorpassata avrebbe reso la buca non evitabile.
Affermava, ancora, la difesa del Comune che la Corte aveva errato ritenendo sussistere l’insidia in presenza di una situazione di pericolo ben visibile.
La Corte di Cassazione cassava la sentenza impugnata ritenendo che: “… La responsabilità dell’ente proprietario della strada aperta al pubblico transito per i danni subiti dall’utente a causa delle condizioni in cui viene tenuta la strada, sorge sul presupposto di una situazione di pericolo, duplicemente qualificata dalla non visibilità e non prevedibilità, quale espressione della violazione del principio del neminem laedere. La situazione di pericolo va accertata non in astratto ma in concreto, tenendo conto delle circostanze di tempo e di luogo nelle quali si verifica il sinistro”.
Cass. Civ., Sez. III, 19 giugno 1997, n. 5482; Anas c. Galtieri Grazia.
Galtieri Grazia conveniva, davanti al Tribunale di Catanzaro, l’Anas chiedendone la condanna al risarcimento dei danni subiti a seguito di un incidente stradale causato dalla presenza sulla carreggiata di uno strato argilloso.
Il Tribunale accoglieva la domanda con sentenza che veniva confermata anche dalla Corte d’Appello di Catanzaro che, tuttavia, riconosceva un concorso di colpa della danneggiata nella produzione dell’evento lesivo .
Avverso tale sentenza, proponeva ricorso per Cassazione l’Anas affermando, tra l’altro, che lo strato di fanghiglia sul manto stradale non potesse costituire insidia dal momento che esso era ben prevedibile e visibile.
A conferma di ciò si rilevava che tale situazione si verificava spesso in caso di pioggia, esistevano i segnali di limite di velocità e di strada sdrucciolevole, altri automobilisti transitati immediatamente dopo sul luogo dell’incidente non avevano riportato danni.
La Corte di Cassazione rigettava l’impugnazione affermando che la Corte territoriale, nel caso di specie, aveva giustamente ravvisato gli estremi di una insidia, ritenendo, altresì, logicamente e giuridicamente corretta, la configurazione in capo alla danneggiata di un concorso di colpa.
Cass. Civ., sez. III, 28 luglio 1997, n. 7062; Anas c. Pagano Domenica
Con atto di citazione regolarmente notificato, Pagano Domenica conveniva in giudizio, avanti il Tribunale di Genova, l’Anas per sentirla condannare al risarcimento dei danni subiti allorché, scesa dall’autovettura sulla quale era trasportata, attraverso un varco, esistente nel muretto di protezione della strada statale Aurelia – che era privo delle sbarre orizzontali di protezione presenti nella maggior parte degli altri varchi - cadde nella spiaggia sottostante.
Il Tribunale respinse la domanda.
In riforma di tale decisione la Corte d’Appello di Genova dichiarò che il sinistro era da addebitare a pari responsabilità dell’attrice e della convenuta.
La prima in quanto, pur essendo il luogo del sinistro non illuminato e pur essendo affetta da cecità ad un occhio, non aveva prestato la dovuta attenzione nello scendere dall’auto.
La seconda poiché lo stato dei luoghi presentava i caratteri dell’insidia in quanto il muretto, alternato a brevi distacchi, alcuni dei quali muniti di sbarre orizzontali di protezione, ingenerava l’affidamento dell’utente circa la continuità della recinzione.
Avverso tale sentenza l’Anas proponeva ricorso per cassazione che, tuttavia, veniva respinto.
La Corte, infatti, affermando, ancora una volta, il principio della soggezione dell’amministrazione pubblica alla norma generale del neminem laedere di cui all’art. 2043 c.c. rigettava il ricorso ritenendo immune da vizi di motivazione la sentenza impugnata.
Rilevava la Cassazione che, di fronte ad una situazione dei luoghi, caratterizzata dalla sopraelevazione della sede stradale, e come tale oggettivamente pericolosa in quanto potenzialmente idonea a provocare rovinose cadute degli utenti della strada, l’ente proprietario di essa si era attivato per rimuovere tale pericolo dotandola di un muretto di protezione, peraltro, intervallato da varchi destinati presumibilmente ad agevolare il deflusso delle acque piovane e ad impedirne il ristagno.
Le sbarre orizzontali, delle quali soltanto alcuni dei varchi erano dotati, dimostravano inequivocabilmente che la stessa amministrazione aveva preso in considerazione l’eventualità che delle cadute accidentali di pedoni si potessero verificare.
Era compito pertanto dell’amministrazione ripristinare le eventuali sbarre mancanti che essa stessa aveva ritenuto necessarie onde impedire eventuali cadute sulla spiaggia sottostante.
Cass. Civ., Sez. III, 17 marzo 1998, n. 2850; Fucci Giuseppe c. Anas.
Con atto di citazione del 1 agosto 1983, Fucci Giuseppe conveniva l’Anas, davanti il Tribunale di Bari, chiedendone la condanna al risarcimento dei danni subiti, affermando che l’evento dannoso era stato provocato dall’insidiosa irregolarità della curva al momento impegnata e dal dissesto del manto stradale.
Il Tribunale respinse la domanda e la stessa decisione venne poi confermata dalla Corte d’Appello.
La Corte, nel caso di specie, escluse l’esistenza di un insidia ritenendo, tra l’altro, che essa non potesse ritenersi provata dalla sola presenza di protuberanze dell’asfalto, dovute alla radici delle piante latistanti, dato che di tale irregolarità, peraltro, localizzata sul margine sinistro della strada, secondo il senso di marcia dell’autovettura, si disconosceva l’entità.
La sentenza veniva poi confermata in Cassazione non rilevandosi in essa alcun vizio motivazionale.
Cass. Civ., Sez. III, 10 giugno 1998 n. 5772; Consorzio Autostrada Messina Catania c. Tropea Giancarlo
Con citazione notificata in data 23.03.1988 il sig. Tropea Giancarlo conveniva in giudizio il Consorzio Autostrada Messina-Catania per ottenere il risarcimento dei danni subiti a causa dell’improvviso sbandamento della propria autovettura dovuto alla presenza di pietre sulla carreggiata.
Il Tribunale di Catania, così come la Corte d’Appello investita del gravame, accoglievano la domanda di parte attrice.
In particolare, la Corte d’Appello aveva riconosciuto la responsabilità della società convenuta, sia ai sensi dell’art. 2043 c.c. che ai sensi dell’art. 2051 c.c., per avere essa omesso le opportune cautele (nella specie la recinzione) idonee ad impedire la presenza sulla carreggiata delle pietre costituente ostacolo non prevedibile né evitabile dall’automobilista.
Avverso tale sentenza proponeva ricorso per cassazione il Consorzio contestando sia la riconducibilità della fattispecie in esame nell’ambito operativo dell’art. 2051 c.c., sia l’obbligo, riconosciuto a suo carico, di dotare la carreggiata di idoneo sistema di recinzione – tra l’altro non previsto dalla legislazione dell’epoca.
La Cassazione, in base a tali motivi, annullava rinviando ad altra Corte, la decisione impugnata.
In particolare, la Suprema Corte, da un lato, si uniformava a quell’indirizzo giurisprudenziale che afferma la non applicabilità dell’art. 2051 c.c. all’ente proprietario o concessionario della strada, in virtù di una pretesa impossibilità di controllo e, dall’altro, riteneva che l’obbligo, posto dalla sentenza impugnata a carico di tale ente, riguardo alla recinzione della sede stradale, non esisteva con riferimento alla legislazione vigente all’epoca del sinistro.
Su quest’ultimo punto, in particolare, la Corte rilevava che, mentre l’art. 2 del vigente Codice della Strada prevede, espressamente, l’obbligo della recinzione, analogo obbligo non sussisteva, nella legislazione precedente, per cui solo se il proprietario o il concessionario dell’autostrada avesse provveduto alla recinzione, pur senza esservi tenuto, sarebbe sorto a suo carico l’obbligo della manutenzione a tutela dell’affidamento dei terzi.
Nel caso di specie, non era stata fatta alcuna indagine circa l’esistenza della recinzione ragione per cui la Corte di merito annullava la sentenza rinviando la causa ad altra Corte perché facesse applicazione dei suddetti principi.
Cass. Civ., Sez. III, 16 giugno 1998, n. 5989; Zitelli Nicola c. Comune di Maddaloni.
Con atto di citazione del 26 gennaio 1990 Zitelli Nicola conveniva in giudizio, davanti al Tribunale di Santa Maria Capua Vetere, il Comune di Maddaloni chiedendone la condanna al risarcimento dei danni subiti allorché, mentre percorreva una strada comunale,urtava il ginocchio destro contro dei tubi di ferro che transennavano una parte della carreggiata.
Il Tribunale accoglieva la domanda attrice che, tuttavia, veniva rigettata dalla Corte d’Appello di Napoli che non ritenne provata la sussistenza dell’insidia ed, in particolare, il requisito della non prevedibilità.
Affermava la Corte napoletana che vari elementi,tra cui il fatto che l’attore abitava a circa trecento metri dal luogo del sinistro e che l’ingombro sulla carreggiata risaliva ad oltre due anni, deponevano o quanto meno facevano presumere il contrario.
Avverso tale sentenza il danneggiato proponeva ricorso per cassazione che, all’esito, veniva rigettato ritenendosi esente da vizi logici e motivazionali la pronuncia di II grado .
Tribunale di Milano, 30 luglio 1998, n. 9056; Comune di Milano c. Lenassini.
Con sentenza dell’11 luglio 1996 il Giudice di Pace di Milano, condannava il Comune al risarcimento dei danni patiti dal sig. Lenassini a seguito di un sinistro avvenuto a causa di una macchia d’olio presente sulla carreggiata.
Il Comune proponeva appello affermando che, da un lato, nessuna segnalazione esso aveva ricevuto in merito alla presenza sul manto stradale della macchia d’olio e, dall’altro, che quest’ultima non potesse costituire insidia in quanto ben visibile considerata l’ora (15,30) in cui ebbe a verificarsi l’incidente.
Il gravame veniva accolto dal Tribunale milanese il quale affermava che, “… sarebbe stato onere dell’attore, che si assume danneggiato da un comportamento dell’amministrazione, contrario al principio del neminem laedere, e segnatamente dall’inosservanza dei suoi doveri di manutenzione della platea stradale, provare che l’evento dannoso de quo si è verificato, appunto, a causa della dolosa o colposa inosservanza da parte del Comune di Milano del suddetto dovere di manutenzione (ovvero del suo dovere di far sì che la strada aperta al pubblico transito non integri per l’utente gli estremi di una situazione di pericolo occulto)”.
Per il Tribunale di Milano, pertanto, incombeva al danneggiato provare non solo l’esistenza dell’insidia ma, anche, che la presenza della macchia d’olio sull’asfalto fosse riconducibile ad una colposa inerzia del Comune nella cura e pulizia della sede stradale, prova che poteva essere data anche per presunzioni dimostrando, ad esempio, lo stato di scarsa pulizia e di generale trascuratezza del tratto di strada in questione, oppure, la presenza della macchia d’olio da parecchio tempo .
Riteneva, infatti, il Tribunale milanese che la prova fornita dal danneggiato, circa l’esistenza dell’insidia non fosse di per sé sufficiente a ritenere la responsabilità del Comune, atteso che l’olio avrebbe potuto essere stato perso sull’asfalto da chiunque.
Cass. Civ., Sez. III, 7 ottobre 1998, n. 9915; Comap. S.r.l. c. Comune di Muggio.
Con atto di citazione la soc. Comap conveniva, innanzi al Tribunale di Monza, il Comune di Muggiò per sentirlo condannare al risarcimento dei danni subiti a seguito di un incidente stradale.
Affermava l’attore che il sinistro era da addebitare al mancato funzionamento di un semaforo il quale, da un lato, proiettava luce verde e, dall’altro, nessuna luce.
All’esito dell’istruttoria il Tribunale rigettava la domanda ritenendo prevedibile la situazione di pericolo.
Tale sentenza era poi confermata in appello.
Osservava il Giudice di II grado che la fattispecie in esame non fosse sussumibile tra le ipotesi di applicazione dell’art. 2051 c.c. in quanto trattasi di cose che non sono ex se produttive di rischi.
Affermava, inoltre, la Corte che, nel caso di specie, non fosse riscontrabile neppure l’esistenza dell’insidia essendo il mancato funzionamento di un impianto semaforico un evento del tutto prevedibile.
Avverso tale decisione la Comap proponeva ricorso per cassazione.
La Suprema Corte, dopo aver specificato, ancora una volta, che anche la P.A. è soggetta al principio generale del neminem laedere, afferma che costituisce insidia per gli utenti della strada “… quella situazione di pericolo derivante da segnali erronei o contradditori nel caso ponga gli utenti nell’impossibilità di discernere tempestivamente il segnale valido e di regolare, in conseguenza, la propria condotta di guida”.
Applicando tali principi, il Giudice di legittimità annullava la sentenza impugnata e rinviava la causa ad altra sezione della stessa Corte d’Appello.
Cass. Civ., sez. III, 16 ottobre 1998, n. 10247. Raia c. Anas.
Con atto di citazione Avio Raia conveniva in giudizio l’Anas chiedendone la condanna al risarcimento di parte dei danni subiti allorché, a seguito dello scoppio di uno pneumatico, aveva urtato, in rapida successione, prima il guard-rail e poi il muretto che delimitava la carreggiata.
Assumeva l’attore che, se tra il guard-rail ed il muro di scarpa, non vi fosse stata soluzione di continuità, quale, invece, esistente, e se, soprattutto, la parete interna del muretto si fosse trovata sulla stessa linea del guard-rail e non, invece, spostata di circa 15 cm verso la carreggiata, l’autovettura avrebbe strisciato con la fiancata laterale la barriera stessa e non sarebbe andata a sbattere contro il centro del muretto riportando danni maggiori.
Il Tribunale capitolino rigettava la domanda e così pure la Corte d’Appello, investita del gravame.
Avverso la sentenza l’attore proponeva ricorso per cassazione che, tuttavia, veniva rigettato.
In particolare, osservava la Suprema Corte “… che gli enti pubblici, che hanno la gestione e l’obbligo di manutenzione di strade ordinarie, non sono tenuti a realizzare, in ogni caso, tutte le strutture accessorie ad esse (canali di scolo delle acque, banchine, reti di protezione per caduta massi ecc.) né tutte le misure cautelari (muretti laterali, guard-rails, segnalazioni luminose ai bordi stradali ecc.) dipendendo l’esigenza di adottare tali misure dalle caratteristiche e dalla natura di ciascuna strada, e, quindi, secondo una valutazione discrezionale della pubblica amministrazione”.
Ciò comporta – continuava ancora la Corte – “… che la P. A. potrà dotare di dette protezioni solo alcune parti di una strada e non altre, purché la soluzione di continuità dell’opera protettiva sia visibile per l’utente… e non costituisca insidia”.
In altri termini, pur riconoscendosi piena discrezionalità all’amministrazione nella realizzazione dell’opera protettiva, tale discrezionalità non è illimitata ma trova un limite nel noto principio del neminem laedere : la P.A. è libera di realizzare o meno l’opera protettiva; tuttavia se la realizza deve farlo in modo che essa non presenti per l’utente, che su di essa faccia ragionevole affidamento, una situazione di pericolo occulto.
Tribunale di Nocera Inferiore, 27 novembre 1998, n. 338 Soc. Autostrade Meridionali c. Mastroberti.
Con tale decisione il Tribunale di Nocera Inferiore ha annullato la sentenza del Pretore che aveva condannato la Società Autostrade al risarcimento dei danni subiti dall’attore a causa della presenza sulla sede stradale di un cerchione perso da un’autovettura in transito.
Il Tribunale non ha condiviso l’argomentazione del Pretore secondo cui la mera presenza del cerchione sull’asfalto integrava gli estremi di una insidia e, come tale, facesse sempre sorgere, ex se, la responsabilità dell’ente proprietario della strada.
A tal proposito il Giudice d’Appello distingueva due diverse situazioni:
a) casi in cui il pericolo occulto sia effettivamente riconducibile alla sfera di controllo dell’ente proprietario o concessionario della strada - perché, ad esempio, derivi da difetto di manutenzione (buche) o segnalazione – in cui un comportamento colposo dell’ente è immediatamente individuabile;
b) casi in cui, al contrario, la fonte del pericolo non sia riconducibile in via diretta all’ente gestore della strada, ma, ad esempio, come nel caso di specie ad un terzo.
In tale ipotesi è necessario, non solo accertare l’esistenza di una situazione di insidia, ma anche verificare se il danno, eventualmente subito, sia da addebitare ad un comportamento colposo dell’ente gestore della strada.
In altri termini se, nella prima ipotesi, la colpa dell’ente è in un certo senso in re ipsa, nella seconda essa deve essere oggetto di una specifica prova che incombe sul danneggiato.
Quest’ultimo in particolare, ad avviso del Tribunale, è tenuto a dimostrare che l’ente sia o possa essere a conoscenza del pericolo prodotto dal terzo e, che ciò nonostante, non si sia attivato per eliminare la situazione di pericolo o quanto meno per segnalarla .
Cass. Civ, Sez. III, 4 dicembre 1998, n. 12314; Magnone Fiore c. Ativa s.p.a. Autostrada Ivrea Valle D’Aosta.
Magnone Fiore conveniva davanti al Tribunale di Torino la Ativa s.p.a. per sentirla condannare al risarcimento dei danni subiti allorché, mentre percorreva, a bordo della propria automobile, l’autostrada Torino-Aosta, investiva un cinghiale che improvvisamente attraversava la carreggiata .
Il Tribunale condannava la società convenuta ai sensi dell’art. 2051 c.c.
La Corte d’Appello, adita in sede di gravame, annullava la sentenza impugnata. La Corte, infatti, dopo aver escluso che all’ente gestore di un’autostrada potesse applicarsi la particolare ipotesi di responsabilità da cose in custodia di cui all’art. 2051 c.c. e, dopo aver accertato che, nel caso di specie, la presenza dell’animale sulla carreggiata costituisse insidia, rigettava la domanda ritenendo non provata la colpa della società, ed, in particolare, l’esistenza di un varco nella rete di recinzione della sede stradale .
Avverso tale decisione la parte soccombente proponeva ricorso per Cassazione.
La Corte, nel confermare il principio per cui l’ente gestore o proprietario di una strada aperta al pubblico transito, non può essere ritenuto responsabile ai sensi dell’art. 2051 c.c. , riformava la decisone di II grado ritenendola carente da un punto di vista logico.
Invero affermava la Cassazione che la motivazione della sentenza ignorava “a beneficio di eventi straordinari, il principio della regolarità causale e “l’id quod plerumque accidit ” potendo il cinghiale essere entrato sull’autostrada anche “a molti chilometri di distanza dal luogo dell’incidente, senza che questo solo fatto, di per sé, sia idoneo ad escludere l’eventuale colpa della società concessionaria”.
Cass. Civ., sez. III, 29 marzo 1999, n. 2963. Comune di Desio c. Cattaneo.
Con atto di citazione il sig. Cattaneo conveniva in giudizio il Comune di Desio per sentirlo condannare al risarcimento del danno subito dal proprio autocarro finito con la ruota anteriore destra in una grossa buca non segnalata .
Il Comune costituitosi eccepiva la propria carenza di legittimazione passiva deducendo che l’anomalia della strada era stata causata dai lavori eseguiti dalla Padana Condotte S.r.l. su appalto dell’Azienda Municipale servizi pubblici.
Il giudice di primo grado rigettava la domanda, ma su impugnazione dell’attore, la Corte d’Appello di Milano riformava la sentenza condannando il Comune al risarcimento dei danni.
Riteneva la Corte che la concessione in appalto a terzi dei lavori stradali non esentava il Comune dall’obbligo di vigilanza affinché il loro svolgimento non cagionasse pregiudizio a terzi.
Contro tale decisione il Comune di Desio proponeva ricorso per cassazione che tuttavia veniva rigettato sulla base di un principio ormai noto in materia di responsabilità della P. A. per lavori dati in appalto.
Affermava infatti la Suprema Corte che “La responsabilità dell’ente proprietario della strada è configurabile, a parte ogni problema di concorrente responsabilità dell’impresa appaltatrice dei lavori, anche quando i lavori di costruzione, manutenzione o restauro di una strada vengano dati in appalto, derivando dalla stessa titolarità della strada e dalla destinazione di essa al pubblico uso, circostanze, queste, per le quali l’ente è tenuto a far sì che quell’uso si svolga in situazioni di normalità e senza pericolo per gli utenti e, pertanto, in osservanza del principio del neminem laedere, nel consentirlo, deve eliminare ogni situazione di fatto contraria a quelle condizioni, rimanendo, dalle norme generali che impongono quei doveri, limitati i suoi poteri discrezionali. Tali principi tornano a maggior ragione applicabili ove in un determinato tratto di strada difettino tracce evidenti di lavori in corso, di opere, di attrezzature, idonee a richiamare l’attenzione dell’utente su possibili situazioni pericolose” .
Tribunale Civile di Brindisi, sez. Stralcio, 13 dicembre 2000, n. 638; R.D. c. Comune di Fasano.
Con atto di citazione R.D. conveniva innanzi al Tribunale di Brindisi il Comune di Fasano per ottenere il risarcimento dei danni subiti allorché, mentre percorreva una strada comunale, all’altezza di un cavalcavia, aveva urtato con la parte superiore del proprio autocarro la trave del ponte.
Esponeva l’attore che, in loco, non esisteva alcun tipo di segnalazione che avvisasse del pericolo.
La domanda attrice veniva rigettata.
Il Tribunale, nel ribadire ancora una volta l’inapplicabilità dell’art. 2051 c.c. all’ente proprietario della strada adibita al pubblico transito, affermava che nessuna responsabilità era ascrivibile al Comune di Fasano.
Precisava, infatti, che, nel caso di specie, non era riscontrabile una situazione di pericolo occulto poiché, da un lato, tale situazione era ben visibile - il cavalcavia si trovava alla fine di un lungo rettilineo – e, dall’altro, ampiamente prevedibile – il danneggiato, circolando su una strada comunale di scarsa importanza, non poteva pretendere strutture ampie come quelle esistenti sulle autostrade o sulle strade di particolare importanza viaria.
La responsabilità del Comune veniva, inoltre, esclusa anche sul piano dell’inosservanza di specifiche norme.
Osservava, infatti, il Tribunale che, “… alla luce delle norme del codice della strada, non sussiste l’obbligo per l’ente proprietario di segnalare l’altezza massima del ponte, obbligo che invece sussiste per i segnali di prescrizione o divieto o di segnalazione di pericoli speciali (lavori in corso, strettoie), particolarmente riferiti a condizioni di modificazione della situazione generale di percorribilità come percepibile dall’utente della strada”.
Corte d’Appello di Ancona, 29 novembre 2001 – 14 gennaio 2002, n. 30. La Fondiaria S.p.a. c. Pecchia e altro.
Di particolare interesse, ai fini della presente trattazione, risulta essere la decisione della Corte d’Appello di Ancona che, in riforma della sentenza di I grado, ha condannato la Società Autostrade al risarcimento dei danni subiti da un soggetto che, non avvedendosi dell’assenza di strutture di sostegno tra una carreggiata e l’altra di un viadotto, aveva saltato il guard-rail precipitando nel vuoto.
Il fatto storico che ha dato luogo a tale pronuncia prende le mosse da un incidente avvenuto sulla corsia di sorpasso dell’autostrada A/14. Il sig. Pecchia, che viaggiava in qualità di terzo trasportato sulla macchina investitrice, subito dopo l’incidente, era sceso dall’auto e, per paura di essere investito dalle altre autovetture sopraggiungenti, aveva saltato il guardavia precipitando nel vuoto e riportando gravissime lesioni.
Il Tribunale aveva affermato, attraverso un’applicazione rigorosa del principio della condicio sine qua non, che la causa dell’evento fosse da rinvenire nel precedente sinistro stradale e, per tale ragione, aveva condannato al risarcimento dei danni il responsabile dell’incidente.
La Corte d’Appello non ritiene, invece, di aderire alla prospettata sequenza causale affermando che l’evento dannoso è addebitabile ad una condotta colposa della Società Autostrade.
Infatti, afferma la Corte “… l’esistenza del vuoto tra le due carreggiate costituiva una situazione oggettivamente non visibile in quanto specie in ora notturna, l’intera sede autostradale, comprensiva dello spazio esistente tra le due carreggiate, era percepibile visivamente come caratterizzata dall’assenza di soluzione di continuità e tale circostanza evidenzia anche che lo stato dei luoghi era idoneo ad ingenerare il ragionevole convincimento circa la fruibilità di quello spazio… la situazione di pericolo avrebbe potuto essere rimossa attraverso sistemi quali la realizzazione di barriere… o di protezioni sottostanti”.
Ad escludere la responsabilità della Società Autostrade non vale, sempre ad avviso della Corte, la circostanza secondo cui non vi sia alcuna specifica norma che imponga espressamente l’adozione di cautele idonee ad escludere la situazione pericolosa in quanto tale circostanza non esime la società concessionaria “… dall’obbligo di eliminare il pericolo occulto, in attuazione del precetto del neminem laedere che impone il rispetto non solo di norme specificamente dirette a tutelare l’incolumità di terzi ma anche di principi di comune prudenza e diligenza, in forza dei quali devono essere eliminate situazioni insidiose” .
Cass. Civ., Sez. III, 13 maggio 2002, n. 6807; Valentini c.
Autostrada del Brennero s.p.a.
Con tale pronuncia la Corte di Cassazione, chiamata a decidere, ancora una volta, in merito alla responsabilità dell’ente proprietario di un’autostrada nel caso di attraversamento di un animale selvatico (volpe), coglie l’occasione per tentare una sistemazione della complessa materia dell’onere probatorio.
Infatti sia il Tribunale, in primo grado, che la Corte d’Appello in sede di gravame, pur avendo accertato l’esistenza di un buco nella recinzione, avevano rigettato la domanda attrice ritenendo non provata la circostanza che l’animale si fosse introdotto nella carreggiata proprio attraverso quel buco di ridotte dimensioni . Affermava, inoltre, la Corte che, “… non avendo il danneggiato assolto l’onere probatorio su di esso gravante, non poteva stabilirsi se la volpe con l’attraversamento abbia reso possibile l’incidente o se piuttosto lo stesso avrebbe potuto essere evitato se l’attore avesse tenuto una guida maggiormente prudenziale in relazione all’ora in cui si trovava a viaggiare”, così implicitamente ponendo a carico del danneggiato le conseguenze della mancata prova sul fatto che tale urto potesse essere evitato con una diversa condotta di guida.
La Suprema Corte, richiamandosi ai principi in materia di insidia stradale, che ritiene applicabili anche al caso di specie , riforma la sentenza di II grado affermando che “… una volta che sia stata accertata l’esistenza di una situazione di insidia in una strada aperta al pubblico o anche in una autostrada, prova che incombe sul danneggiato, spetta all’ente proprietario o concessionario della stessa l’onere di provare che l’incidente, causato da detta situazione, poteva essere evitato da una diversa condotta di guida dell’automobilista”.
Giudice di Pace di Milano, 17-21 maggio 2002, n. 5642; Incerrano c. Comune di Limbiate.
La fattispecie su cui il Giudice di Pace è stato chiamato a decidere trae origine da un danno subito da un automobilista che, alla guida della propria autovettura, era incappato in una buca presente sulla carreggiata.
Il Comune di Milano, costituitosi in giudizio, contestava la propria legittimazione passiva trattandosi di una strada cd. vicinale, cioè di una strada derivante dal frazionamento di terreni privati, in vista di una loro lottizzazione, di proprietà dei titolari dei fondi limitrofi, prive del carattere di demanialità e assoggettate, quindi al regime giuridico dei beni privati.
Il Giudice di Pace, accogliendo tale eccezione, rigettava la domanda attrice, ritenendo che con riferimento a tali strade il Comune non avesse alcun obbligo di manutenzione che, invece, spettava ai proprietari frontisti .
Il regime giuridico di tali strade risulta dal combinato disposto dei seguenti provvedimenti legislativi:
1) l’art. 1 del D.lgs.lgt. n. 1446 del 1918 con il quale si stabilisce la facoltà degli utenti di tali strade di riunirsi in consorzio per la loro manutenzione, sistemazione e ricostruzione (in seguito, con l’art. 14 l. 12 febbraio 1958 n. 126, tale facoltà è stata fatto oggetto di un preciso obbligo con possibilità di costituzione d’ufficio, ad opera dell’autorità amministrativa competente, in caso di inerzia da parte dei proprietari);
2) l’art. 3 dell’attuale Codice della Strada che definisce la strada vicinale come strada privata, posta fuori dai centri abitati, a uso pubblico ;
3) l’art. 2.4 della direttiva del Ministero dei Lavori Pubblici 24 ottobre 2000, che obbliga i Comuni a disciplinare la circolazione sulle strade private aperte all’uso pubblico, attraverso un’appropriata ed efficace segnaletica stradale.
Dalle norme indicate si evince che l’obbligo della manutenzione di tali strade grava soltanto sui privati proprietari, rimanendo a carico del Comune soltanto un obbligo di segnalazione e di vigilanza sulla circolazione.
Dopo aver sommariamente analizzato alcuni dei casi concreti in cui la giurisprudenza, di gran lunga maggioritaria, ha ritenuto che la
responsabilità della P. A., proprietaria di una strada aperta al pubblico transito, per i danni cagionati all’utente, debba necessariamente essere filtrata dalle nozioni di insidia o trabocchetto, passiamo ad esaminare i casi in cui, al contrario, essa si è discostata dall’orientamento tradizionale ritenendo applicabile in tali ipotesi la diversa disciplina di cui all’art. 2051 c.c. .
Cass. Civ. , Sez. III, 21 maggio 1996, n. 4673; Borrelli c. Comune di Portici.
La decisione in esame si occupa del danno subito da un passante il quale, dopo essere sceso dall’autovettura, scivolava su un manto bituminoso che veniva steso sul suolo stradale da una squadra di operai senza alcuna segnalazione dei lavori in corso o transennamento della zona.
Mentre il Tribunale di Napoli aveva accolto la domanda dell’attore, condannando solidalmente sia il comune che la ditta appaltatrice dei lavori, la Corte d’Appello riformava tale decisione escludendo la responsabilità del Comune sul rilievo che quest’ultimo, avendo stipulato un contratto di appalto non era tenuto ad effettuare alcuna sorveglianza né a dirigere il traffico nella zona interessata dai lavori.
Avverso tale decisione il danneggiato proponeva ricorso per cassazione.
La Suprema Corte, ritenendo il ricorso fondato, annullava la decisione dei giudici di II grado affermando che: “… dalla proprietà pubblica del Comune sulle strade poste all’interno dell’abitato (art. 16 lett. B della legge 20.03.1865 n. 2248, all. F) discende non solo l’obbligo dell’Ente alla manutenzione, come stabilito dall’art. 5 del R. D. 15.11.1923 n. 2056, ma anche quello della custodia con conseguente operatività, nei confronti dell’Ente stesso, della presunzione di responsabilità ai sensi dell’art. 2051 c.c. qualora abbia omesso di vigilare al fine di impedire che terzi incaricati dell’esecuzione di lavori sui beni oggetto della detta proprietà vi procedessero in guisa tale da determinare danno ad altri…”, posto che “… permaneva a carico del comune l’obbligo della sorveglianza sotto il profilo dell’art. 2051 c.c. dato che la strada, aperta al transito pedonale e veicolare, rimaneva anche nell’orbita del potere di governo (custodia) del comune proprietario”.
Pretura di Monza, 17 gennaio 1997; Lega italiana mutilati ed invalidi civili c. Soc. Autostrade.
La fattispecie sottoposta al giudizio del Pretore di Monza concerne un sinistro stradale causato dalla presenza sull’autostrada di un cane di grossa taglia che veniva investito da un’autovettura.
Il Pretore rigettava la domanda, avanzata nei confronti della Soc. Autostrade, ritenendola non fondata.
Osservava che una responsabilità a carico della Soc. Autostrade non fosse configurabile per violazione del principio generale del neminem laedere in quanto non era stata dimostrata in giudizio l’esistenza di un comportamento colposo della convenuta da cui era dipesa la presenza dell’animale sulla carreggiata, poiché quest’ultimo poteva, in eguale misura, essere entrato attraverso il vicino casello oppure essere stato abbandonato da un’autovettura in transito.
Ritenuta non fondata la domanda sotto il profilo della violazione dell’art. 2043 c.c., il Giudicante passa ad esaminare la possibilità che una responsabilità della società convenuta possa essere invocata ai sensi dell’art 2051 c.c..
A tal fine il Pretore ripercorre le tappe più significate della giurisprudenza in materia criticando l’orientamento dominante secondo cui la notevole estensione del bene ed il suo uso generale e diretto non consentono l’applicazione dell’art. 2051 c.c.
Il giudicante non condivide tale limitazione non ritenendola compatibile con la circostanza che l’ordinamento, in relazione alla tipologia del bene, prevede – a prescinderne dall’estensione - taluni veri e propri obblighi in capo alla P. A. o al concessionario, i quali altro non sono se non delle specificazioni del generale dovere di custodia.
Afferma, infatti, il Pretore. “L’art. 2051 è pienamente applicabile laddove l’evento dannoso sia dipeso da una situazione del bene demaniale rispetto alla quale il dovere di custodia risultava particolarmente specificato dall’imposizione alla P. A. o al concessionario di particolari doveri di controllo ed intervento sul bene stesso, quali l’obbligo di manutenzione e di regolazione del suo uso”.
Sulla base di tale affermazione il Pretore giunge ad escludere la responsabilità dell’ente proprietario della strada poiché, fino all’entrata in vigore del nuovo codice della strada, non poteva ritenersi che il dovere di custodia si specificasse fino a richiedere all’ente un obbligo di recinzione dell’intera autostrada .
Giudice di pace di Genova, ord. di rinvio 8 novembre 1997; Lualdi c. Comune di Genova.
La decisione del Giudice di Pace di Genova riveste un particolare interesse nell’ambito di quella corrente dottrinaria e giurisprudenziale che inquadra la responsabilità dell’ente proprietario o concessionario di una strada aperta al pubblico transito, per i danni subiti dagli utenti, nella disciplina della responsabilità da cose in custodia.
La pronuncia trae origine da un danno subito da un privato il quale, a bordo del proprio motociclo, scivolava per terra, a causa di pietrisco sparso sulla sede stradale, astrattamente percepibile ma non segnalato, riportando danni fisici.
Il Giudice di Pace, investito della questione, ritenne di dover sollevare d’ufficio la questione di legittimità costituzionale :
1) dell’art. 2051 c.c. ove interpretato dalla giurisprudenza nel senso di escluderne l’applicabilità ai beni del demanio suscettibili di un uso ordinario, generale e diretto da parte dei cittadini;
2) dell’art. 2043 c.c. ove interpretato nel senso che non sussisterebbe la responsabilità della P. A. ove non ricorrano i presupposti dell’insidia;
3) dell’art. 1227 I comma c.c. nella parte in cui, esclusa l’esistenza dell’insidia, viene escluso l’accertamento dell’eventuale concorso di colpa della pubblica amministrazione e viceversa.
Tale pronuncia, tuttavia, non ha avuto gli esiti sperati dal Giudicante in quanto la Corte Costituzionale, investita della questione, con sentenza n. 156 del 10 maggio 1999 rigettava l’eccezione di illegittimità costituzionale affermando che “… la conformità a Costituzione del diritto vivente formatosi in tema di responsabilità civile della p. a., per danni derivanti da difetto di manutenzione delle strade pubbliche (ed in particolare del principio secondo cui tale difetto assume rilievo, nei rapporti con i privati, unicamente quando la P. A. non abbia osservato le specifiche norme e le comuni regole di prudenza e diligenza poste a tutela dell’integrità personale e patrimoniale dei terzi in violazione del principio fondamentale del neminem laedere, così superando il limite esterno della propria discrezionalità, con conseguente sua sottoposizione al regime generale di responsabilità fissato dall’art. 2043 c.c.), comporta che non è fondata – in riferimento agli artt. 3, 24 e 97 Cost. – la questione di legittimità costituzionale dell’art. 2051 c.c., sollevata sotto il profilo della sua non applicabilità anche alla p. a. per i beni demaniali soggetti ad uso ordinario, generale e diretto da parte dei cittadini; dell’art. 2043, sollevata sotto il profilo della limitazione della responsabilità della p. a. per inerzia colposa nella manutenzione dei beni suddetti solo alla presenza di una situazione di insidia stradale; dell’art. 1227 I comma c.c., sollevata sotto il profilo dell’esclusione, in presenza di un’insidia, dell’accertamento del concorso di colpa del danneggiato e del responsabile”.
A dire il vero, già nel 1995, la Corte si era occupata di un problema analogo ma, allora, la sua decisione fu di inammissibilità della questione poiché l’ordinanza di remissione aveva sottoposto al giudizio di costituzionalità non la norma bensì l’interpretazione che di essa aveva dato la giurisprudenza .
Questa volta la Corte ha esaminato nel merito la questione ritenendola non fondata.
L’argomentazione logica seguita dalla Corte, per avallare l’orientamento tradizionale che esclude l’applicabilità dell’art. 2051 c.c. ai beni demaniali di non modeste dimensioni o a quelli soggetti ad uso generale e diretto da parte dei consociati, fa leva sulla presunta impossibilità di effettuare su di essi un costante ed assiduo controllo per evitare che gli stessi producano danno a terzi .
Chiarito l’ambito di applicazione dell’art. 2051 rispetto ai beni pubblici la Corte passa ad esaminare il problema relativo alla legittimità costituzionale di quell’orientamento giurisprudenziale che ravvisa una responsabilità civile della P. A., ai sensi dell’art. 2043 c.c. solo nell’ipotesi in cui il danneggiato riesca a dimostrare in giudizio l’esistenza di un’insidia stradale.
Anche questo filone giurisprudenziale viene reputato corretto poiché, ad avviso della Corte, non sussiste alcun diritto soggettivo del cittadino alla manutenzione delle strade – tutt’al più si riconosce l’esistenza di un interesse legittimo al corretto uso del potere discrezionale. Da ciò discende, secondo la Corte, che la responsabilità della P. A. può sussistere soltanto quando essa, in violazione di specifiche norme o delle regole di comune prudenza e diligenza, abbia procurato danno a terzi.
Questo ragionamento viene poi avallato facendo ricorso al principio di autoresponsabilità dell’individuo che, sempre ad avviso della Corte, impone a ciascun consociato che fa uso del bene pubblico un onere di particolare attenzione a salvaguardia della propria incolumità personale.
In tale contesto, quindi, la nozione di insidia si configura, utilizzando le stesse parole della Corte, come “una figura sintomatica di colpa, elaborata dall’esperienza giurisprudenziale, mediante ben sperimentate tecniche di giudizio, in base ad una valutazione di normalità, con il fine di meglio distribuire tra le parti l’onere probatorio, secondo un criterio di semplificazione analitica”.
La Corte inoltre prende posizione sul problema dell’inapplicabilità dell’art. 1227 I comma c.c. alle fattispecie caratterizzate dalla presenza di un’insidia stradale giustificandola con “le evidenti ragioni di incompatibilità logica tra un possibile concorso di colpa del danneggiato e la stessa nozione di insidia, essendo questa contraddistinta dai caratteri dell’imprevedibilità e dell’inevitabilità del pericolo” .
Cass. Civ., sez. III, 22 aprile 1998, n. 4070; Francia c. Comune di Casale Monferrato.
La pronuncia in esame si occupa, ancora una volta, della responsabilità di un Comune per i danni subiti da un privato a causa della presenza sull’asfalto di una grossa buca non segnalata.
Il Tribunale, in I grado, riteneva la responsabilità del Comune e della ditta appaltatrice dei lavori ai sensi dell’art. 2050 c.c.
La Corte di Appello, su impugnazione del Comune, accoglieva il gravame ritenendo sì l’applicabilità, al caso di specie, dell’art. 2051 ma affermando, al tempo stesso, che la domanda doveva essere rigettata in quanto l’attore non aveva provato la sussistenza di un’insidia stradale.
La Corte di Cassazione, a cui il danneggiato successivamente si rivolgeva, annullava la sentenza impugnata per evidente violazione delle regole sull’onere probatorio.
Osservava la Corte che, una volta ritenuta applicabile al caso di specie la norma in materia di responsabilità da cose in custodia, nessun onere aveva l’attore circa la prova dell’insidia. Infatti rilevava la Corte che nell’ambito della responsabilità ex art. 2051 c.c. è sufficiente che l’attore provi il nesso di causalità tra il danno lamentato e la cosa, senza necessità di provare altresì la condotta omissiva o commissiva del custode, salvo a quest’ultimo la possibilità di provare il caso fortuito.
Cass. Civ., sez. III, 20 novembre 1998, n. 11749; Di Stefano c. Comune di Roma.
Nel caso di specie la Cassazione è chiamata a decidere sulla responsabilità del Comune di Roma per i danni subiti da un automobilista il quale, a causa di una grossa pozzanghera presente sulla carreggiata, andava a collidere con un altro veicolo.
La Corte d’Appello aveva confermato la pronuncia del giudice di I grado il quale aveva escluso la sussistenza di un’insidia e conseguentemente la responsabilità del Comune convenuto.
La Corte di Cassazione nel riformare la sentenza impugnata testualmente afferma: “Dalla proprietà pubblica del Comune sulle strade discende non solo l’obbligo dell’ente alla manutenzione, ma anche quello della custodia con conseguente operatività, nei confronti dell’ente stesso, della presunzione di responsabilità ai sensi dell’art. 2051 c.c.”.
Tribunale Civile di Venezia, sez. dist. di Chioggia, 17 dicembre 2001, n. 133; L.V. c. Comune di Chioggia
Ancora una volta la giurisprudenza di merito si ritrova a dover decidere in merito alla responsabilità del Comune e della ditta appaltatrice dei lavori per i danni causati all’utente della strada dalla presenza sul manto stradale di pietrisco e buche.
Con tale decisione il Tribunale, aderendo all’orientamento che ravvisa, in tali casi, una responsabilità ex art. 2051 c.c. dell’ente proprietario della strada – il Tribunale richiama proprio la massima di Cass. Civ., sez. III, 20 novembre 1998, n. 11749 – condanna il Comune e la ditta appaltatrice dei lavori alla rifusione dei danni in favore del privato danneggiato.
Afferma infatti il Tribunale che “… in tema di danni derivanti a terzi, in conseguenza di un sinistro stradale verificatosi per la presenza sulla carreggiata di ghiaia e buche, dovute all’esecuzione di alcuni lavori di rifacimento dei sottoservizi, dati in appalto dal Comune, laddove la società appaltatrice sia venuta meno all'obbligo di porre in essere tutte le cautele idonee ad evitare pericoli per il transito, spetta comunque all’ente proprietario della strada vigilare sulla corretta esecuzione dei lavori. Ciò, fermo restando che il comportamento colposo dell’appaltatore comporta che lo stesso sia tenuto a rilevare indenne il Comune da quanto eventualmente costretto a corrispondere a titolo risarcitorio”.
Dall’altra parte, sottolinea il Tribunale, i lavori sono stati eseguiti in un centro cittadino nel quale “il controllo è attuabile quotidianamente e con il minimo sforzo dall’ente comunale”.
IV - Nuovi orientamenti dottrinari e prospettive di sviluppo del sistema della responsabilità civile in materia.
Dall’esame dalle sentenze riportate emerge che, anche la giurisprudenza che configura la responsabilità dell’ente proprietario della strada in termini di responsabilità da cose in custodia , è pur sempre legata ad una concezione soggettiva di tale responsabilità.
In tale contesto, il comportamento assunto dal custode, e quindi la possibilità per quest’ultimo di evitare il danno attraverso un proprio comportamento diligente, determina un’ipotesi di responsabilità solo ed esclusivamente quando il bene, sul quale deve essere esercitata la custodia, abbia delle caratteristiche dimensionali tali da consentirne un efficace controllo.
In altri termini, se quello che rileva ai fini dell’applicazione dell’art. 2051 c.c. è il comportamento negligente del custode, nessun dubbio può residuare in ordine alla correttezza, logica e giuridica, dell’orientamento tradizionale che, com’è noto, esclude l’applicabilità della norma ai beni pubblici demaniali che, per la loro estensione e per il loro uso generale e diretto, non consentono un’adeguata ed efficace vigilanza; per poter valutare come negligente il comportamento del custode, è indispensabile, infatti, che questi abbia la possibilità materiale di prevenire o rimediare alle situazioni di pericolo scaturenti dalla cosa.
Se questo è il punto di vista della giurisprudenza dominante, un altro orientamento, prevalente in dottrina ma che, da ultimo, ha trovato eco anche nella giurisprudenza di legittimità, configura la responsabilità del custode in termini oggettivi .
Come già detto, tale responsabilità si fonda sul rapporto di custodia e sul nesso di causalità tra la cosa ed il danno: il comportamento del custode è assolutamente ininfluente. Questi per andare esente da responsabilità è chiamato a dimostrare l’esistenza del caso fortuito e cioè la sopravvenienza di un fattore a lui esterno che valga ad interrompere la catena causale di eventi che collega la cosa al danno.
Tale orientamento ha indubbiamente un particolare riflesso nell’ambito della responsabilità della P.A. per i danni prodotti dal demanio stradale .
Si dice, infatti, che se il comportamento del custode è ininfluente ai fini dell’applicazione dell’art. 2051 c.c., rilevando solo il nesso di causalità tra la cosa ed il danno e la relazione di custodia, la limitazione di responsabilità dell’ente proprietario o concessionario della strada non ha più ragione di esistere .
Questi, al pari di un comune cittadino, risponderà, ai sensi dell’art. 2051 c.c., per i danni provocati dalla cosa che ha in custodia , salvo la possibilità di dimostrare il caso fortuito, che, come visto in precedenza, può anche consistere nel fatto dello stesso danneggiato o di un terzo.
Applicando tali principi all’ipotesi oggetto della presente trattazione, si avrà che il danneggiato dovrà soltanto provare l’esistenza della relazione di custodia ed il nesso eziologico tra la cosa ed il danno, rimanendo a carico dell’ente, proprietario o concessionario della strada, l’onere di provare il caso fortuito.
Contrariamente a quanto si potrebbe pensare, tale conclusione non determina un aggravamento della posizione generale dell’ente proprietario o concessionario della strada anzi, paradossalmente, consente un'adeguata ed equilibrata ripartizione di responsabilità tra l’ente danneggiante ed il privato danneggiato .
Si è già detto che nell’elaborazione giurisprudenziale del concetto di insidia, quale situazione non prevedibile né visibile, non vi è posto per una valutazione del comportamento colposo del danneggiato (art. 1227 I comma), poiché o il pericolo è visibile e prevedibile e, quindi, evitabile dal danneggiato, con conseguente esclusione di qualsiasi concorso colposo dell’amministrazione oppure non lo è, di modo che il danno è interamente ascrivibile all’ente proprietario della strada .
La dottrina più recente, che si è occupata della complessa problematica posta dall’art. 1227 c.c. I comma, ha evidenziato il ruolo di corollario che tale norma assume nell’ambito del principio di causalità .
Invero la dottrina tradizionale ravvisava un rapporto di regola –eccezione tra la norma di cui all’art. 2055 c.c. e l’art. 1227 I comma.
Secondo tale orientamento, infatti, la regola generale della irrilevanza delle concause veniva desunta dal I comma dell’art. 2055 (che fa riferimento alla responsabilità solidale), inteso come coerente corollario della teoria della condicio sine qua non, mentre la ripartizione di responsabilità di cui al II comma avrebbe avuto soltanto una funzione sussidiaria rispondente a mere esigenze di equità e giustizia distributiva.
Secondo tale orientamento, quindi, l’unica eccezione a tale regola era ravvisabile nella norma di cui all’art. 1227 c.c.; al di fuori di tale ipotesi, si diceva, avrebbe ripreso vigore la regola generale della irrilevanza delle concause.
Anche la giurisprudenza – specialmente quella più risalente – faceva costante applicazione di questo principio ma, in casi particolari, lo mitigava estendendo la particolare disciplina, posta dall’art. 1227 I comma c.c., a casi, assi frequenti nella pratica, che, a rigore, non sarebbero rientrati nel suo campo di applicazione.
Proprio per evitare gli esiti iniqui ed ingiusti che un’applicazione radicale di questo principio comportava, la dottrina più recente ha proposto di ribaltare i termini del problema affermando che nessuna norma del codice autorizza a ritenere irrilevanti, nell’ambito del sistema della responsabilità civile, le concause.
Al contrario, si afferma, che il rapporto tra l’art. 1227 I comma c.c. e l’art. 2055 c.c. non è quello di regola – eccezione ma entrambe le norme sono espressione dello stesso principio generale e, segnatamente, di quello della rilevanza delle concause. Questo orientamento propone, infatti, di intercambiare la posizione dei primi due commi dell’art. 2055 c.c. e considerare generale la regola contenuta nel II comma, ovverosia la norma per cui, sia pure in sede di regresso, la quota di risarcimento ascrivibile a ciascun dei compartecipi deve essere valutata alla stregua dell’efficienza causale di ciascuna condotta .
L’art. 1227 I comma c.c., in definitiva, altro non sarebbe se non un’applicazione di questo principio generale che trova il suo fondamento nell’esigenza che il danneggiante non debba sopportare quella parte di danno ascrivibile al comportamento colposo del danneggiato.
Che tale norma, poi, possa essere applicata anche alle fattispecie connotate da elementi di oggettività, è ormai un dato acquisito .
Ne consegue, pertanto, che l’utente del bene demaniale non potrà pretendere il risarcimento di quella parte di danno conseguente alla propria condotta ma, certamente, potrà pretendere quella che, invece, è ascrivibile ad un comportamento colposo messo in atto dalla P. A, eventualmente in concorso con una propria condotta negligente o imprudente.
Sul piano probatorio, poi, mentre sarà il danneggiato a dover dimostrare la relazione di custodia ed il nesso di causalità tra il danno e la cosa, spetterà all’ente proprietario della strada provare che l’evento dannoso si è verificato per un caso fortuito che, come si è visto, può coincidere anche con il fatto dello stesso danneggiato o di un terzo.
Il fatto del danneggiato, inoltre, potrà essere valutato non solo come causa di esclusione del nesso di causalità ma anche, forse il più delle volte, come fattore concorrente nella produzione dell’evento dannoso e come tale idoneo a determinare una riduzione del risarcimento dovuto, in ragione dell’incidenza causale di tale comportamento.
La differenza sostanziale tra l’orientamento tradizionale e quello da ultimo segnalato – che si ritiene possa acquistare, con il passare del tempo, maggiore credito in giurisprudenza per via della rinnovata concezione oggettiva della responsabilità ex art. 2051 c.c. – sta appunto nella possibilità di valutare, ai fini del quantum del risarcimento, l’efficacia eziologica del comportamento del danneggiato nella produzione dell’evento lesivo .
Certamente tale soluzione avrà come effetto di far lievitare enormemente i casi di condanna dell’ente proprietario della strada, posta la difficoltà di provare il caso fortuito, ma a ciò non corrisponderà necessariamente un aumento dell’entità dei danni da risarcire i quali potranno essere ridotti nella misura in cui l’ente riuscirà a dimostrare una concorrente responsabilità del danneggiato nella produzione dell’evento lesivo.
Paradossalmente si potrebbe, addirittura, verificare una riduzione dell’ammontare dei danni da risarcire , attraverso un’adeguata ricostruzione del nesso di causalità ed un’attenta valutazione dell’incidenza causale del comportamento negligente del danneggiato
"sprintrade network"
Insidia e Trabocchetto - scavo posto sul manto stradale - GdP Civitavecchia
Risarcimento danni - Insidia e trabocchetto - scavo posto sulla manto stradale ricoperto di terriccio - (una sentenza del giudice di pace di Civitavecchia)
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Giudice di Pace di Civitavecchia Avv. Pietro Mori
ha pronunciato la seguente
SENTENZA
della causa iscritta a ruolo n. 414 dell'anno 2002 posta in deliberazione al-l'udienza del 5 marzo 2003
TRA
- Cxxxxxxxx Rvvvvvvvvv, res. in Civitavecchia ed ivi elett.te dom.to in Via del Bxxxx n.x7, presso lo studio del Dott. Michele Panetta, che lo rappresenta e difende in virtù di delega a margine dell'atto di citazione
(attore)
E
- Comune di Civitavecchia, in persona del Dirigente dell'Ufficio Legale pro tempore, elett.te dom.to in Civitavecchia L.go Plebiscito n. 4 presso lo studio degli Avv.ti Francesco e Stefano Maliandi, che lo rappresentano e difendono in virtù di delega a margine della comparsa di risposta
(convenuto)
OGGETTO: risarcimento danni
CONCLUSIONI DELLE PARTI
Per l’attore: “Piaccia all’Ill.mo Giudice adito, contrariis rejectis: 1) accertare e confermare la responsabilità esclusiva e totale del Comune convenuto, nella produzione dell'incidente per cui è causa e, per l'effetto, condannarlo a risarcire i danni tutti subiti dall'attore in tale incidente, quantificati in €. 920,00#, per il danno alla moto, ed in €. 1.440,00 per il danno fisico (solo temporanea) per complessivi €. 2.360,00#; ovvero la somma diversa che risulterà in esito al giudizio, comunque, nell'ambito di €. 2.528,00#. Con vittoria di spese, competenze ed onorari”.
Per l'Amministrazione convenuta: “Piaccia all'Ecc.mo Giudice di Pace adito, rigettare la domanda perchè infondata in fatto e diritto. Con vittoria di spese, competenze ed onorari”.
FATTO
Con atto notificato il 18/09/2002 il sig. Roberto Cxxxxxxx ha convenuto in giudizio il Comune di Civitavecchia per sentirlo dichiarare responsabile del sin-stro avvenuto l'11/04/2002 in Civitavecchia, Via Don Milani, direzione nord - sud, nella misura di €. 920,00# per danni alla moto ed €. 1.440,00 per il danno fisico (solo invalidità temporanea), con gli interessi e rivalutazione dalla domanda e vittoria di spese.
Allegava il Cxxxxxxx che il giorno 11/04/2002, alla guida della propria moto Suzuki Burgman 400 tg. AZ 39485, percorreva Via don Milani, direzione nord – sud, allorquando, giunto al termine della strada, all'altezza del civico 1, cadeva a causa di uno scavo posto sul manto stradale, ricoperto di terriccio, che determinava un avvallamento del piano stradale, provocandosi danni alla moto per €. 920,00 e danni fisici per €. 1.440,00 pari all'invalidità temporanea.
Deduceva, inoltre, che la responsabilità dell'evento doveva ascriversi al Comune convenuto per non avere adeguatamente coperto lo scavo e per non avere in alcun modo posto segnali di pericolo e/o transenne.
Si costituiva in giudizio il Comune convenuto che contestava la domanda, deducendo l'insussistenza dell'insidia stradale, difettando il requisito della non visibilità del pericolo, considerate l'ampiezza del “taglio trasversale” posto in essere dai tecnici comunali sul tratto rettilineo del manto stradale di Via don Milani e le condizioni di estrema visibilità che sussistevano alle h. 15,40 del giorno 11 aprile 2002.
All'udienza di prima comparizione, stante la contumacia del Comune - co-stituitosi in prosieguo - veniva ammessa, ai sensi dell'art. 320 c.p.c, la pro-va articolata dall'attore, successivamente veniva depositato il preventivo dei danni alla moto e, ai sensi dell'art. 213 c.p.c, l'ordinanza sindacale rego-lante la circolazione di Via don Milani e la planimetria relativa.
Terminata l'istruttoria, le parti concludevano riportandosi ai rispettivi atti, come da verbale, e la causa veniva trattenuta per la decisione.
MOTIVI DELLA DECISIONE
Osserva il Giudicante che i testi escussi hanno riferito che sul tratto di Via Don Milani all'altezza del civico 1, ove è avvenuto il sinistro, l'11/04/2002, vi era un avvallamento coperto da terriccio, più alto rispetto al manto stradale, (testi Di Felice e Moretti) a causa di lavori effettuati dai tecnici co-munali. Inoltre è stato accertato che le condizioni di tempo e di visibilità erano buone e che l'attore abita nella stessa via don Milani a circa 500 metri dal civico 1. Il teste Spuri, infine, ha riferito di avere visto cadere l'at-tore, di averlo soccorso e di essersi allontanato dal teatro dell'incidente al sopraggiungere della Polizia Municipale.
Il Comune, proprietario della strada, non ha provato di avere posto in essere tutti gli accorgimenti necessari per evitare i pericoli alla circolazione.
In presenza della descritta situazione di fatto può affermarsi che proprio il terriccio posto a copertura dell'avvallamento, non segnalato, più che l'av-vallamento in quanto tale, ha fatto perdere aderenza alla moto, costituendo l'insidia alla circolazione che ha provocato il sinistro per cui è causa, tan-to più che dalla documentazione fotografica in atti si ricava anche l'ampia visibilità di tutta la strada, e, quindi, anche dell’avvallamento ricoperto.
Sussiste, pertanto, la responsabilità colposa del Comune convenuto per non avere adeguatamente posto in essere i rimedi necessari ad evitare l'in-sidia alla circolazione.
Tale responsabilità trova fondamento nella clausola generale di cui all'art. 2043 c.c..
In corso di causa è stato anche accertato che l'attore abita nella stessa Via don Milani per cui era a conoscenza dello stato dei luoghi, circostanza non smentita.
Inoltre dalla planimetria in atti e dalla ordinanza comunale in atti è agevole desumere che la circolazione su detta via, ad andamento rettilineo, è regolata in modo puntuale e che su di essa vi sono vari limiti, imposti anche dalla presenza di una scuola, fra cui quello di velocità a 30 km. orari.
L'attore, pertanto, proprio perchè a conoscenza dello stato dei luoghi, a maggior ragione avrebbe dovuto adeguare la condotta di guida alle ridotte condizioni di fruibilità della strada, tanto più che il dissesto stradale, ubicato all’altezza del civico n. 1 di Via Don Milani, come affermato dalla difesa con-venuta e dichiarato dai testi, era posto “poco prima del segnale stradale di STOP” sito al punto d'intersezione con la Via A. Montanucci”, come riscon-trato anche dalla planimetria in atti.
Nulla è stato provato in proposito.
Non avere tenuto questo comportamento viene valutato come violazione dell'art. 1227 1° comma c.c., per il quale “ Se il fatto colposo del creditore ha concorso a cagionare il danno, il risarcimento è diminuito secondo la gravità della colpa e l'entità delle conseguenze che ne sono derivate”.
Infatti, quando il comportamento colposo del soggetto danneggiato non sia stato tale da interrompere il nesso di causalità tra il fatto del terzo e l'e-vento dannoso, ma abbia solo concorso nella produzione dell'evento, come nel caso in esame, la fattispecie è regolata dall'art. 1227, c.1, c.c., che afferma il principio secondo cui il danno che taluno arreca a sé medesimo non può essere posto a carico dell'autore della causa concorrente (Cass. 28 marzo 1997, n. 2763).
Pertanto, “una volta recuperata all'insidia stradale la sola funzione di figura sintomatica della colpa della p.a. riportando la fattispecie nell'ambito dell'art. 2043 c.c. ed una volta riconosciuto all'art. 1227, c. 1 c.c., la fun-zione di regolare, ai fini della causalità di fatto, l'efficienza causale del fatto colposo del leso, con conseguenze sulla determinazione dell'entità del risarcimento (causalità giuridica), ne deriva che ben può concorrere nella produzione del danno all'utente stradale sia il fatto colposo della p.a., poi-ché la specifica anomalia stradale, rivestendo i caratteri dell'insidia, si pre-sume, colposa, sia il fatto colposo del leso, che abbia avuto carattere ef-ficiente dell'evento dannoso, determinando - in buona sostanza - un con-corso di cause”. (Cass. Civ., Sez. III, 03-12-2002, n. 17152).
Né può tacersi che nell’ipotesi di fatto colposo del creditore che abbia con-corso al verificarsi dell'evento dannoso (art. 1227 comma primo cod. civ.) “il giudice deve proporsi d'ufficio l'indagine in ordine al concorso di colpa del danneggiato (sempre che risultino prospettati gli elementi di fatto dai quali sia ricavabile la colpa concorrente, sul piano causale, di quegli)...” (Cass. civ., sez. III, 26-02-2003, n. 2868). Le prospettazioni della P.A. convenuta soddisfano a parere di questo Giudice, detta esigenza
Per quanto precede, quindi, può ritenersi che l'apporto causale dell'attore al verificarsi dell'evento per cui è causa, sia equitativamente valutabile nella misura del 30%.
La domanda, pertanto, viene accolta nei limiti anzi detti.
L'attore ha provato un danno alla moto di circa €. 1.000,00# producendo due preventivi uno di €.920,00# e l’altro di €. 1.091,00# non contestati dall'amministrazione convenuta.
Nella sostanziale concordanza dei documenti prodotti ed in assenza di pro-va contraria, può ritenersi provato un danno alla moto di €. 920,00#.
L’attore, inoltre, ha provato un danno da invalidità temporanea, riscontra-bile dalla documentazione medica in atti, per le lesioni procuratesi a se-guito della caduta di €. 1.401,00#, anch'esso non contestato.
L'attore ha altresì precisato di avere chiesto soltanto il danno per inabilità temporanea totale e parziale nella misura risultante dai certificati prodotti, per cui ritenendosi i giorni d’invalidità compatibili con il tempo necessario alla guarigione e liquidandosi tale voce di danno sulla base d’indennità pre-fissate, per economia di giudizio non si è disposta la C.T.U.. Nulla essendo stato argomentato e provato in contrario, il danno da invalidità temporanea appare provato e la richiesta di €. 1.121,00 misura appare congrua in relazione alle lesioni.
Per quanto riguarda la domanda di liquidazione del danno morale si osserva che per tale titolo nulla è dovuto, perché l’attore nulla ha argomentato e provato, né per quanto riguarda gli aspetti civilistici riferibili al patimento sofferto a causa della caduta e alle conseguenze della forzata inabilità, né per quanto riguarda gli aspetti di carattere penale come conseguenza di reato, non essendo stata allegata neppure quale sia la fattispecie riconducibile al reato, né individuato chi lo avrebbe commesso, identicicazione, tanto più necessaria, essendo convenuta la P.A. e la responsabilità penale personale.
Il danno patito dall'attore, pertanto, ammonta a complessivi €. 2.041,00#.
Detto importo va ridotto del 30% in applicazione dell'art. 1227 1° comma c.c. per cui all'attore va liquidata la minor somma di €. 1.428,70#, con gli interessi dall'evento al soddisfo. Nulla per rivalutazione, in quanto ricompresa negli interessi, essendo il sinistro dell’11/04/2002.
Le spese di giudizio seguono la parziale soccombenza e vengono liquidate come da dispositivo.
P.Q.M.
Il Giudice di Pace definitivamente pronunciando nel contraddittorio delle parti, ogni contraria istanza ed eccezione disattesa in parziale accoglimento della domanda dichiara il Comune di Civitavecchia responsabile del sinistro avvenuto l'11/04/2002, con apporto causale dell'attore nella produzione dell'evento nella misura del 30%, ai sensi dell'art. 1227 1° comma c.c..
Condanna il Comune di Civitavecchia, in persona del Sindaco pro tempore al risarcimento del danno nella misura di €.1.428,70#, con gli interessi dall'evento al soddisfo.
Condanna il Comune di Civitavecchia al pagamento delle spese di giudizio che si liquidano nella misura di €. 1.100,50#, di cui 182,00#, per spese e €. 835,00# per diritti ed onorario di praticante avvocato, che compensa fra le parti nella misura del 30% oltre CPA ed IVA.
Così deciso in Civitavecchia addì 28/05/2003
Il Cancelliere Il Giudice di Pace
Avv. Pietro Mori
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Giudice di Pace di Civitavecchia Avv. Pietro Mori
ha pronunciato la seguente
SENTENZA
della causa iscritta a ruolo n. 414 dell'anno 2002 posta in deliberazione al-l'udienza del 5 marzo 2003
TRA
- Cxxxxxxxx Rvvvvvvvvv, res. in Civitavecchia ed ivi elett.te dom.to in Via del Bxxxx n.x7, presso lo studio del Dott. Michele Panetta, che lo rappresenta e difende in virtù di delega a margine dell'atto di citazione
(attore)
E
- Comune di Civitavecchia, in persona del Dirigente dell'Ufficio Legale pro tempore, elett.te dom.to in Civitavecchia L.go Plebiscito n. 4 presso lo studio degli Avv.ti Francesco e Stefano Maliandi, che lo rappresentano e difendono in virtù di delega a margine della comparsa di risposta
(convenuto)
OGGETTO: risarcimento danni
CONCLUSIONI DELLE PARTI
Per l’attore: “Piaccia all’Ill.mo Giudice adito, contrariis rejectis: 1) accertare e confermare la responsabilità esclusiva e totale del Comune convenuto, nella produzione dell'incidente per cui è causa e, per l'effetto, condannarlo a risarcire i danni tutti subiti dall'attore in tale incidente, quantificati in €. 920,00#, per il danno alla moto, ed in €. 1.440,00 per il danno fisico (solo temporanea) per complessivi €. 2.360,00#; ovvero la somma diversa che risulterà in esito al giudizio, comunque, nell'ambito di €. 2.528,00#. Con vittoria di spese, competenze ed onorari”.
Per l'Amministrazione convenuta: “Piaccia all'Ecc.mo Giudice di Pace adito, rigettare la domanda perchè infondata in fatto e diritto. Con vittoria di spese, competenze ed onorari”.
FATTO
Con atto notificato il 18/09/2002 il sig. Roberto Cxxxxxxx ha convenuto in giudizio il Comune di Civitavecchia per sentirlo dichiarare responsabile del sin-stro avvenuto l'11/04/2002 in Civitavecchia, Via Don Milani, direzione nord - sud, nella misura di €. 920,00# per danni alla moto ed €. 1.440,00 per il danno fisico (solo invalidità temporanea), con gli interessi e rivalutazione dalla domanda e vittoria di spese.
Allegava il Cxxxxxxx che il giorno 11/04/2002, alla guida della propria moto Suzuki Burgman 400 tg. AZ 39485, percorreva Via don Milani, direzione nord – sud, allorquando, giunto al termine della strada, all'altezza del civico 1, cadeva a causa di uno scavo posto sul manto stradale, ricoperto di terriccio, che determinava un avvallamento del piano stradale, provocandosi danni alla moto per €. 920,00 e danni fisici per €. 1.440,00 pari all'invalidità temporanea.
Deduceva, inoltre, che la responsabilità dell'evento doveva ascriversi al Comune convenuto per non avere adeguatamente coperto lo scavo e per non avere in alcun modo posto segnali di pericolo e/o transenne.
Si costituiva in giudizio il Comune convenuto che contestava la domanda, deducendo l'insussistenza dell'insidia stradale, difettando il requisito della non visibilità del pericolo, considerate l'ampiezza del “taglio trasversale” posto in essere dai tecnici comunali sul tratto rettilineo del manto stradale di Via don Milani e le condizioni di estrema visibilità che sussistevano alle h. 15,40 del giorno 11 aprile 2002.
All'udienza di prima comparizione, stante la contumacia del Comune - co-stituitosi in prosieguo - veniva ammessa, ai sensi dell'art. 320 c.p.c, la pro-va articolata dall'attore, successivamente veniva depositato il preventivo dei danni alla moto e, ai sensi dell'art. 213 c.p.c, l'ordinanza sindacale rego-lante la circolazione di Via don Milani e la planimetria relativa.
Terminata l'istruttoria, le parti concludevano riportandosi ai rispettivi atti, come da verbale, e la causa veniva trattenuta per la decisione.
MOTIVI DELLA DECISIONE
Osserva il Giudicante che i testi escussi hanno riferito che sul tratto di Via Don Milani all'altezza del civico 1, ove è avvenuto il sinistro, l'11/04/2002, vi era un avvallamento coperto da terriccio, più alto rispetto al manto stradale, (testi Di Felice e Moretti) a causa di lavori effettuati dai tecnici co-munali. Inoltre è stato accertato che le condizioni di tempo e di visibilità erano buone e che l'attore abita nella stessa via don Milani a circa 500 metri dal civico 1. Il teste Spuri, infine, ha riferito di avere visto cadere l'at-tore, di averlo soccorso e di essersi allontanato dal teatro dell'incidente al sopraggiungere della Polizia Municipale.
Il Comune, proprietario della strada, non ha provato di avere posto in essere tutti gli accorgimenti necessari per evitare i pericoli alla circolazione.
In presenza della descritta situazione di fatto può affermarsi che proprio il terriccio posto a copertura dell'avvallamento, non segnalato, più che l'av-vallamento in quanto tale, ha fatto perdere aderenza alla moto, costituendo l'insidia alla circolazione che ha provocato il sinistro per cui è causa, tan-to più che dalla documentazione fotografica in atti si ricava anche l'ampia visibilità di tutta la strada, e, quindi, anche dell’avvallamento ricoperto.
Sussiste, pertanto, la responsabilità colposa del Comune convenuto per non avere adeguatamente posto in essere i rimedi necessari ad evitare l'in-sidia alla circolazione.
Tale responsabilità trova fondamento nella clausola generale di cui all'art. 2043 c.c..
In corso di causa è stato anche accertato che l'attore abita nella stessa Via don Milani per cui era a conoscenza dello stato dei luoghi, circostanza non smentita.
Inoltre dalla planimetria in atti e dalla ordinanza comunale in atti è agevole desumere che la circolazione su detta via, ad andamento rettilineo, è regolata in modo puntuale e che su di essa vi sono vari limiti, imposti anche dalla presenza di una scuola, fra cui quello di velocità a 30 km. orari.
L'attore, pertanto, proprio perchè a conoscenza dello stato dei luoghi, a maggior ragione avrebbe dovuto adeguare la condotta di guida alle ridotte condizioni di fruibilità della strada, tanto più che il dissesto stradale, ubicato all’altezza del civico n. 1 di Via Don Milani, come affermato dalla difesa con-venuta e dichiarato dai testi, era posto “poco prima del segnale stradale di STOP” sito al punto d'intersezione con la Via A. Montanucci”, come riscon-trato anche dalla planimetria in atti.
Nulla è stato provato in proposito.
Non avere tenuto questo comportamento viene valutato come violazione dell'art. 1227 1° comma c.c., per il quale “ Se il fatto colposo del creditore ha concorso a cagionare il danno, il risarcimento è diminuito secondo la gravità della colpa e l'entità delle conseguenze che ne sono derivate”.
Infatti, quando il comportamento colposo del soggetto danneggiato non sia stato tale da interrompere il nesso di causalità tra il fatto del terzo e l'e-vento dannoso, ma abbia solo concorso nella produzione dell'evento, come nel caso in esame, la fattispecie è regolata dall'art. 1227, c.1, c.c., che afferma il principio secondo cui il danno che taluno arreca a sé medesimo non può essere posto a carico dell'autore della causa concorrente (Cass. 28 marzo 1997, n. 2763).
Pertanto, “una volta recuperata all'insidia stradale la sola funzione di figura sintomatica della colpa della p.a. riportando la fattispecie nell'ambito dell'art. 2043 c.c. ed una volta riconosciuto all'art. 1227, c. 1 c.c., la fun-zione di regolare, ai fini della causalità di fatto, l'efficienza causale del fatto colposo del leso, con conseguenze sulla determinazione dell'entità del risarcimento (causalità giuridica), ne deriva che ben può concorrere nella produzione del danno all'utente stradale sia il fatto colposo della p.a., poi-ché la specifica anomalia stradale, rivestendo i caratteri dell'insidia, si pre-sume, colposa, sia il fatto colposo del leso, che abbia avuto carattere ef-ficiente dell'evento dannoso, determinando - in buona sostanza - un con-corso di cause”. (Cass. Civ., Sez. III, 03-12-2002, n. 17152).
Né può tacersi che nell’ipotesi di fatto colposo del creditore che abbia con-corso al verificarsi dell'evento dannoso (art. 1227 comma primo cod. civ.) “il giudice deve proporsi d'ufficio l'indagine in ordine al concorso di colpa del danneggiato (sempre che risultino prospettati gli elementi di fatto dai quali sia ricavabile la colpa concorrente, sul piano causale, di quegli)...” (Cass. civ., sez. III, 26-02-2003, n. 2868). Le prospettazioni della P.A. convenuta soddisfano a parere di questo Giudice, detta esigenza
Per quanto precede, quindi, può ritenersi che l'apporto causale dell'attore al verificarsi dell'evento per cui è causa, sia equitativamente valutabile nella misura del 30%.
La domanda, pertanto, viene accolta nei limiti anzi detti.
L'attore ha provato un danno alla moto di circa €. 1.000,00# producendo due preventivi uno di €.920,00# e l’altro di €. 1.091,00# non contestati dall'amministrazione convenuta.
Nella sostanziale concordanza dei documenti prodotti ed in assenza di pro-va contraria, può ritenersi provato un danno alla moto di €. 920,00#.
L’attore, inoltre, ha provato un danno da invalidità temporanea, riscontra-bile dalla documentazione medica in atti, per le lesioni procuratesi a se-guito della caduta di €. 1.401,00#, anch'esso non contestato.
L'attore ha altresì precisato di avere chiesto soltanto il danno per inabilità temporanea totale e parziale nella misura risultante dai certificati prodotti, per cui ritenendosi i giorni d’invalidità compatibili con il tempo necessario alla guarigione e liquidandosi tale voce di danno sulla base d’indennità pre-fissate, per economia di giudizio non si è disposta la C.T.U.. Nulla essendo stato argomentato e provato in contrario, il danno da invalidità temporanea appare provato e la richiesta di €. 1.121,00 misura appare congrua in relazione alle lesioni.
Per quanto riguarda la domanda di liquidazione del danno morale si osserva che per tale titolo nulla è dovuto, perché l’attore nulla ha argomentato e provato, né per quanto riguarda gli aspetti civilistici riferibili al patimento sofferto a causa della caduta e alle conseguenze della forzata inabilità, né per quanto riguarda gli aspetti di carattere penale come conseguenza di reato, non essendo stata allegata neppure quale sia la fattispecie riconducibile al reato, né individuato chi lo avrebbe commesso, identicicazione, tanto più necessaria, essendo convenuta la P.A. e la responsabilità penale personale.
Il danno patito dall'attore, pertanto, ammonta a complessivi €. 2.041,00#.
Detto importo va ridotto del 30% in applicazione dell'art. 1227 1° comma c.c. per cui all'attore va liquidata la minor somma di €. 1.428,70#, con gli interessi dall'evento al soddisfo. Nulla per rivalutazione, in quanto ricompresa negli interessi, essendo il sinistro dell’11/04/2002.
Le spese di giudizio seguono la parziale soccombenza e vengono liquidate come da dispositivo.
P.Q.M.
Il Giudice di Pace definitivamente pronunciando nel contraddittorio delle parti, ogni contraria istanza ed eccezione disattesa in parziale accoglimento della domanda dichiara il Comune di Civitavecchia responsabile del sinistro avvenuto l'11/04/2002, con apporto causale dell'attore nella produzione dell'evento nella misura del 30%, ai sensi dell'art. 1227 1° comma c.c..
Condanna il Comune di Civitavecchia, in persona del Sindaco pro tempore al risarcimento del danno nella misura di €.1.428,70#, con gli interessi dall'evento al soddisfo.
Condanna il Comune di Civitavecchia al pagamento delle spese di giudizio che si liquidano nella misura di €. 1.100,50#, di cui 182,00#, per spese e €. 835,00# per diritti ed onorario di praticante avvocato, che compensa fra le parti nella misura del 30% oltre CPA ed IVA.
Così deciso in Civitavecchia addì 28/05/2003
Il Cancelliere Il Giudice di Pace
Avv. Pietro Mori
Iscriviti a:
Commenti (Atom)