domenica 26 giugno 2011

Responsabilità della Pubblica Amministrazione per danni cagionati da cose in custodia: art. 2051 c.c. ed insidia stradale nella giurisprudenza della Cassazione

19.03.2005
In tema di responsabilità civile per i danni cagionati da cose in custodia, la fattispecie di cui all'art. 2051 c.c. individua un'ipotesi di responsabilità oggettiva, essendo sufficiente per l'applicazione della stessa la sussistenza del rapporto di custodia tra il responsabile e la cosa che ha dato luogo all'evento lesivo. Pertanto non assume rilievo in sé la violazione dell'obbligo di custodire la cosa da parte del custode, la cui responsabilità è esclusa solo dal caso fortuito, fattore che attiene non ad un comportamento del responsabile, ma al profilo causale dell'evento, riconducibile in tal caso non alla cosa che ne è fonte immediata ma ad un elemento esterno.

Responsabilità della Pubblica Amministrazione per danni cagionati da cose in custodia: art. 2051 c.c. ed insidia stradale nella giurisprudenza della Cassazione
1. La responsabilità per danni da cose in custodia: riparto degli oneri probatori e natura della responsabilità. Imputazione oggettiva del danno o presunzione di colpa? Il cd. risque dans la garde. Le tipologie di caso fortuito ex art. 2051 c.c. : fatto del terzo e colpa del danneggiato. 2. Art. 2051 c.c. e Pubblica Amministrazione. Demanio Stradale. L’insidia. Casistica giurisprudenziale ed indirizzi interpretativi. Note e cenni di bibliografia.

1. Responsabilità per danni da cose in custodia: riparto degli oneri probatori e natura della responsabilità. Imputazione oggettiva del danno o presunzione di colpa? Il cd. risque dans la garde. Le tipologie di caso fortuito ex art. 2051 c.c.
Nel titolo IX del Libro IV del Codice Civile, contenente una disciplina generale dei fatti illeciti, sono rinvenibili ipotesi di responsabilità indiretta, per colpa presunta ed oggettiva, secondo le definizioni adottate in dottrina ed anche in giurisprudenza. In tale ambito si colloca la disposizione normativa ex art. 2051 c.c. che introduce una disciplina speciale per i danni arrecati dalle cose di cui si ha la custodia, (seppur il principio era già stato introdotto nel Codice del 1865 con l’art. 1153), (1). Il rapporto di specialità sussiste con riguardo alla clausola generale del neminem laedere, disciplinata dall’art. 2043 c.c. , la quale può comunque concorrere con l’art. 2051 c.c. e trovare applicazione anche in via sussidiaria, (2). Ai sensi della disposizione di cui si tratta, ciascuno è responsabile del danno cagionato dalle cose che ha in custodia, salvo che provi il caso fortuito. La norma ricavabile dalla disposizione citata ha degli effetti sostanziali e processuali importanti.
Innanzitutto, l’art. 2051 c.c. inverte l’onere della prova distribuendo gli oneri probatori in modo difforme dal modello generale ex art. 2697 c.c. (3): il danneggiato, infatti, dovrà allegare e provare il danno subito ed il nesso causale tra evento dannoso e cosa custodita, senza essere altresì onerato di dimostrare la colpevolezza del custode, secondo il riparto generale imposto dall’art. 2043 c.c. L’elemento soggettivo del danno cagionato da cose di cui si ha la custodia, infatti, perde, essenzialmente, rilevanza nella ricostruzione della fattispecie, poiché, di fatto il legislatore prevede in modo esclusivo e tassativo quale sia l’unica causa di esonero di responsabilità per il convenuto in giudizio: il casus fortuitus.
La norma, infatti, per un verso, per quanto concerne il danneggiato, impone che venga provato danno e nesso causale, per l’altro, per quanto concerne il soggetto cui imputato il fatto illecito, (rectius: comportamento illecito), richiede una esclusiva prova liberatoria, ovvero, la prova positiva del fortuito.
Nella struttura dell’illecito, il riparto degli oneri probatori, quindi, risulta disciplinato come segue:


Soggetti /
Oneri probatori
DANNEGGIATO
CUSTODE

Danno subito
Prova liberatoria: fortuito

Nesso causale cosa/ danno

( - qualità del custode)

Lo schema proposto rende evidente l’essenziale differenza tra la fattispecie ex art. 2051 c.c. e quella di cui all’art. 2043 c.c. : in quest’ultimo caso, infatti, colui che lamenta il danno dovrà dare anche prova dell’elemento soggettivo, (colpa, dolo), in quanto elemento costitutivo dell’illecito aquiliano. Tanto premesso, la fattispecie di cui si tratta viene da alcuni autori ricondotta ad una ipotesi di responsabilità per colpa presunta da altri ad una ipotesi di responsabilità oggettiva.
La differenza è importante e strutturale: nella prima ipotesi l’elemento soggettivo si ritiene necessario ma, tuttavia, solo a livello sostanziale perdendo rilevanza sul piano processuale per scelta legislativa giustificata dal principio di vicinanza della prova e dal peculiare rapporto intercorrente tra res e suo custode. La colpa, quindi, sarebbe presunta, ritenuta ex lege presente all’atto del danno casualmente riconducibile alla cosa custodita. Tale costruzione troverebbe legittimità in ragione della relazione di esercizio di un potere fisico sulla cosa propria del custode, che ha una signoria sulla res e, quindi, risponde della mancata vigilanza necessaria al fine di evitare eventi dannosi.
Elemento essenziale, dunque, diviene il dinamismo intrinseco della cosa, ovvero la pericolosità della stessa, la sua attitudine a creare un danno in modo autonomo, (seppur tale elemento abbia perso rilevanza in giurisprudenza) (4).
L’orientamento postulante una presunzione di responsabilità nel danno cagionato da cose in custodia è stato fatto proprio anche dalla Suprema Corte di Cassazione, nell’ambito di un chiaro sfavore verso forme di responsabilità oggettiva, (cfr. Cass. civ., sez. III, 26/02/1994, n. 1 947 in Mass. Giur. It., 1994), statuendo che la responsabilità ex art. 2051 c.c. ha base:
a) nell'essersi il danno verificato nell'ambito del dinamismo connaturato alla cosa o dallo sviluppo di un agente dannoso sorto nella cosa;
b) nell'esistenza di un effettivo potere fisico di un soggetto sulla cosa, al quale potere fisico inerisce il dovere di custodire la cosa stessa, cioè di vigilarla e di mantenerne il controllo, in modo da impedire che produca danni a terzi, ( in ciò sarebbe da rinvenire l’elemento soggettivo).
In presenza di questi due elementi, la norma dell'art. 2051 c. c. pone a carico del custode una presunzione iuris tantum di colpa, che può essere vinta soltanto dalla prova che il danno è derivato esclusivamente da caso fortuito, (Cass. civ., sez. III, 25/11/1988, n.6340 in Mass. Giur. It., 1988).
L’orientamento su esposto è stato fortemente criticato dalla dottrina più attenta che ne ha messo in evidenza le incongruenze e l’inesattezza in termini logico - giuridici. La responsabilità per mancata diligenza nella custodia, infatti, non trova, secondo questo indirizzo, conferma nella lettera della norma e nella struttura della fattispecie per diversi motivi:
a) innanzitutto il danno - evento non è riconducibile ad un comportamento umano del custode, (irrilevante), ma ad un dinamismo intrinseco della res, per la quale non è configurabile alcun elemento soggettivo;
b) secondariamente, la norma, quale prova liberatoria ammette esclusivamente il fortuito e non anche ulteriori prove liberatorie direttamente riconducibili ad un comportamento del custode: il non aver potuto impedire l’evento o l’aver adottato tutte le cautele possibili, (es. artt. 2046 e 2050 c.c.). Si tratterebbe, per ciò che attiene alla probatio liberatoria, alla prova di mancanza del nesso causale e non alla prova della mancanza di colpa, (ma contra altra parte della dottrina sostiene esattamente l’opposto).
La prova liberatoria richiesta, comunque, non sembra porsi sul piano soggettivo nell’illecito ma, al contrario, su quello oggettivo, essendo, il fortuito, un elemento esterno incidente sul nesso causale, interrompendo il collegamento eziologico tra fatto ed evento. Richiedere il casus fortuitus quale prova liberatoria, vuol dire, quindi, ritenere irrilevante ogni tipo di colpa soggettiva (5).
La Cassazione, più recentemente, ha aderito a questo indirizzo interpretativo, optando per una responsabilità oggettiva e non per colpa presunta: in tema di responsabilità civile per i danni cagionati da cose in custodia, la fattispecie di cui all'art. 2051 c.c. individua un'ipotesi di responsabilità oggettiva, essendo sufficiente per l'applicazione della stessa la sussistenza del rapporto di custodia tra il responsabile e la cosa che ha dato luogo all'evento lesivo. Pertanto non assume rilievo in sé la violazione dell'obbligo di custodire la cosa da parte del custode, la cui responsabilità è esclusa solo dal caso fortuito, fattore che attiene non ad un comportamento del responsabile, ma al profilo causale dell'evento, riconducibile in tal caso non alla cosa che ne è fonte immediata ma ad un elemento esterno, (Cass. civ., sez. III, 06/04/2004, n.6753 in Mass. Giur. It., 2004; così anche Cass. civ., sez. III, 20/08/2003, n.12219; Cass. civ., sez. III, 09/04/2003, n.5578; Cass. civ., sez. III, 15/01/2003, n.472 e cfr. contra Cass. civ., sez. III, 01/04/1987, n.3129).
In particolare, in Cass. civ., sez. III, 20/08/2003, n.12219, il Collegio afferma, con una ricostruzione giuridica attenta, che va affermata la natura oggettiva della responsabilità per danno da cose in custodia. Si deve parlare a tal riguardo di «rischio da custodia» (6), più che di «colpa» nella custodia, ovvero, seguendo l'orientamento della giurisprudenza francese, di «presunzione di responsabilità» e non di «presunzione di colpa». Seguendo questo l'orientamento la fattispecie di cui all'art. 2051 c.c. individua un'ipotesi di presunzione di responsabilità oggettiva e non una presunzione di colpa, (la dottrina francese parla, al riguardo di risque dans la garde).
Autorevole precedente a sostegno della presunzione di responsabilità oggettiva, deve essere considerata la sentenza 11/11/1991, n.12019 delle Sezioni Unite della Cassazione le quali, nell’occasione, hanno stabilito che il criterio di imputazione della responsabilità per i danni cagionati a terzi da cosa in custodia è la disponibilità di fatto e giuridica sulla cosa e non la colpa presunta e, quindi, la mancata vigilanza sulla res, (Cass. civ., sez. un., 11/11/1991, n.12019 in Giur. It., 1992, I,1, 2218).
Ricostruita in termini oggettivi la natura della responsabilità ex art. 2051 c.c. , la giurisprudenza si è preoccupata di rendere meno restrittiva l’esimente a favore del custode, introducendo, con interpretazione estensiva, ipotesi ulteriori di esclusione della responsabilità, da ricondurre, comunque, ad una nozione ampia di caso fortuito. Per la Cassazione, quindi, il custode non sarà responsabile qualora provi il casus fortuitus in senso stretto ovvero anche se alleghi e provi il fatto del terzo, (vis maior), o la colpa esclusiva del danneggiato, (causa autonoma ed esclusiva nella determinazione del danno).
Si pensi, a titolo di esempio: all’evento meteorologico assolutamente imprevedibile, alla manomissione dolosa del reo, alla condotta gravemente negligente del danneggiato, (la casistica giurisprudenziale è assolutamente variegata), (7).


CASO FORTUITO
tipologie
connotati necessari

CASUS FORTUITUS
In senso stretto
Fattore causale esterno, che sia sopravvenuto, preesistente o concomitante, IMPREVEDIBILE ed ECCEZIONALE, non attinente alla res

VIS MAIOR
Fatto del terzo che sia
AUTONOMO, INEVITABILE, IMPREVEDIBILE

COLPA ESCLUSIVA
Del DANNEGGIATO

Unico fattore causale causativo dell’evento


E’ opportuno precisare che i criteri su esposti per quanto concerne la responsabilità ex art. 2051 c.c. possono essere estesi, previa compatibilità, all’art. 2053 c.c. , che disciplina i danni derivanti da rovina d’edificio, introducendo un’altra ipotesi di responsabilità oggettiva.
Per ius receptum della giurisprudenza, infatti, tra art. 2051 c.c. ed art. 2053 c.c. sussiste un rapporto di genus a species.
Quanto esposto va integrato di una considerazione logica: colui che viene citato in giudizio per rispondere dei danni cagionati da una res ai sensi dell’art. 2051 c.c. potrà sempre eccepire di non essere custode della cosa stessa e quindi eccepire processualmente la carenza di legittimazione passiva, (si pensi ai danni cagionati da cose di cui si ha la comunione legale o all’esercizio di diritti reali di godimento su cosa altrui: la responsabilità ex art. 2051 c.c. discende dal potere di signoria sulla cosa, non sul titolo formale vantato su di essa).

2. Art. 2051 c.c. e Pubblica Amministrazione. Demanio stradale. L’Insidia. Casistica giurisprudenziale ed indirizzi interpretativi
Si è analizzata strutturalmente, seppur in modo sintetico, la fattispecie di cui all’art. 2051 c.c. , tacendo, tuttavia, sui soggetti che possono validamente assumere le vesti del custode in accordo alla disposizione normativa. E’ pacifico che non rilevi il titolo giuridico vantato sulla res, ma l’effettivo esercizio del potere di signoria, dovendo rispondere il soggetto che si trovava nella custodia di fatto ed effettiva al momento del verificarsi dell’evento dannoso, (cfr. in tal senso Cass. civ., sez. un., 11/11/1991, n.12019 cit. e, per alcuni profili, Cass. civ., sez. I, 08/04/2003, n.5462; cfr. anche Cass. civ., sez. II, 11/06/1998, n.5814 quanto alla detenzione illegittima).
E’ altresì pacifico che la norma, parlando di ciascuno, non ponga limiti ex ante all’individuazione del soggetto tenuto alla custodia potendo ben essere una persona fisica ma anche una persona giuridica. Il reale problema, tuttavia, è stato l’estensibilità di tale responsabilità al soggetto persona giuridica Pubblica Amministrazione.
La P.A. , infatti, agisce nel sistema giuridico in veste di ente pubblico con poteri autoritativi ma anche come soggetto privato, jure privatorum ed è, per espressa disposizione di legge, esclusiva titolare di determinati beni che, quindi, sono affidati alla sua custodia, (si pensi ai beni del demanio). La quaestio ha trovato due orientamenti opposti, ponderati da un indirizzo intermedio compromissorio.
Un orientamento giurisprudenziale ritiene che l’art. 2051 c.c. non sia applicabile alla P.A. che, pertanto, possa rispondere solo ai sensi dell’art. 2043 c.c. per un fatto ingiusto arrecato con colpa/dolo. Le motivazioni che sostengono quest’indirizzo sono di carattere prettamente logico: per i beni nella custodia della P.A. non è configurabile una relazione di signoria tra la res ed il custode, poiché l’estensione e la dimensione dei beni stessi non consentono una relazione del genere. In realtà, l’argomentazione giuridica può essere arricchita. Se si configura la responsabilità ex art. 2051 c.c. come oggettiva e non per colpa presunta, ne discende che l’elemento rilevante ai fini dell’imputazione del danno non sia la mancata diligenza nella vigilanza sulla res da parte del custode ma il potere di signoria tra oggetto custodito e custode, ovvero la configurabilità di una relazione di custodia nei sensi di cui alla norma stessa. Essendo rilevante il nesso causale e non la colpa, il Giudice avrebbe l’onere di verificare la sussistenza di un rapporto di custodia (e, ovviamente, non la culpa in vigilando): tale costruzione agevola il danneggiato se il custode è un soggetto persona fisica ma può avere l’effetto opposto nel caso delle Pubbliche amministrazioni. Per la P.A. , infatti, tale relazione di signoria è di fatto di difficile configurazione poiché il rapporto cosa custode è del tutto sproporzionato con impossibilità di fatto di esercitare un potere di signoria effettivo, sussistente solo in astratto ai fini della titolarità del bene stesso. Ciò che viene meno, quindi, è uno degli elementi costitutivi della responsabilità ex art. 2051 c.c. , a volte trascurato ma solo perché considerato in modo implicito: il rapporto di custodia, (che se contestato, è un onere processuale dell’attore).
Diverse conclusioni dovrebbero aversi in caso di configurazione dell’art. 2051 c.c. in termini di responsabilità per colpa presunta, poiché, in quel caso, la responsabilità non discende tout court dalla relazione di signoria, (oltre a danno e nesso causale), ma dall’omessa vigilanza che è data per presunta. Il punto focale si sposta dall’elemento oggettivo all’elemento soggettivo e ne dovrebbe conseguire che la responsabilità della P.A. sia possibile ex art. 2051 c.c. laddove sarebbe stata possibile un’attività di vigilanza, a prescindere dalla configurabilità di una signoria in concreto, essendo sufficiente la custodia in astratto. La differenza, sottile, discende, quindi, dalla valutazione circa il rapporto giuridico tecnico di custodia, avente ad oggetto il potere di vigilanza sulla res: in un caso, astrattamente ipotizzabile, nell’altro concretamente verificato. Peraltro, ad avviso della giurisprudenza, il concetto di custodia, presupposto dall'art. 2051 c. c., sta a significare un effettivo potere fisico del soggetto nei confronti della cosa, cioè un rapporto concreto che implichi il governo, il controllo e l'uso della cosa custodita, con il conseguente obbligo di vigilare che da questa, per sua natura o particolari condizioni, non derivi danno ad altri (8).
La distinzione esposta ha rilevanza fondamentale sul piano processuale ma perde consistenza per quell’indirizzo maggioritario in dottrina e giurisprudenza che non distingue il giudizio diagnostico in ragione della natura della responsabilità, dovendosi effettuare sempre una valutazione in concreto.

Struttura ed effetti 2051 c.c. =
Responsabilità
OGGETTIVA 2051 c.c. =
Responsabilità
PER COLPA PRESUNTA

Danneggiato deve provare
Danno e nesso causale

Danno e nesso causale

Responsabilità discende da:
Potere di signoria in concreto esercitato sulla res
Culpa in vigilando

Effetti: La responsabilità è presunta. Ma il potere di signoria deve essere accertato in concreto quale elemento costitutivo della fattispecie, poiché l’imputazione discende dalla relazione custode - res La Colpa è presunta. Il potere di signoria deve sussistere in astratto, poiché l’elemento costitutivo dell’illecito è l’omessa vigilanza nella custodia del bene. L’imputazione discende dalla colpa.

Applicabilità dell’art. 2051cc alla P.A.
Quando è configurabile in concreto un potere di signoria della P.A. sulla res
Quando è configurabile in concreto la possibilità di vigilanza sul bene

Al di là delle sfumature di cui si è accennato, la giurisprudenza ha, originariamente, sostenuto che l’art. 2051 c.c. non potesse applicarsi nei confronti delle pubbliche amministrazioni, per la natura stessa delle cose oggetto della sua custodia, trattandosi di beni la cui estensione non consente una vigilanza ed un controllo idonei ad evitare l'insorgenza di situazioni di pericolo; di conseguenza il danneggiato può agire per il risarcimento soltanto in base al diverso principio del "neminem laedere" sancito dall'art. 2043 c.c. “, (Cass. civ., sez. III, 04/12/1998, n.12314 in Appalti, urbanistica, edilizia, 2000, 287).
Tale indirizzo è stato progressivamente censurato da un orientamento opposto, convinto dell’applicabilità dell’art. 2051 c.c. anche nei confronti della P.A.; l’indirizzo, nel tempo, si è, peraltro, ponderato, ritenendo che l’applicabilità discendesse dalla possibilità, per la Pubblica amministrazione, di effettuare un concreto esercizio del proprio potere di signoria sul bene demaniale.
Sulla scorta di questa interpretazione, la Consulta è stata investita ben due volte della questione di legittimità costituzionale dell’art. 2051 c.c. nella parte in cui, per come interpretato, non prevedeva l’applicabilità della norma nei confronti della P.A. per violazione degli artt. 3, 24 e 97 cost. , (la questione più rilevante promossa con ordinanza emessa l'8 novembre 1997 dal giudice di pace di Genova (9)).
Con le sentenze n. 82/1995, (10), e n. 156/1999, la Consulta ha respinto le censure mosse alla disposizione normativa ritenendo superato il diritto vivente restrittivo su cui si fondava l’ordinanza di rimessione: Il proprietario delle cose che abbiano cagionato danno a terzi è responsabile ai sensi dell'art. 2051 cod. civ., solo in quanto ne sia custode, e dunque ove egli sia stato oggettivamente in grado di esercitare un potere di controllo e di vigilanza sulle cose stesse. alla pubblica amministrazione non é applicabile il citato articolo, allorché sul bene di sua proprietà non sia possibile - per la notevole estensione di esso e le modalità d'uso, diretto e generale, da parte dei terzi - un continuo, efficace controllo, idoneo ad impedire l'insorgenza di cause di pericolo per gli utenti. S'intende che la "notevole estensione del bene" e "l'uso generale e diretto" da parte dei terzi costituiscono meri indici dell'impossibilita' d'un concreto
esercizio del potere di controllo e vigilanza sul bene medesimo; la quale dunque potrebbe essere ritenuta, non già in virtù d'un puro e semplice riferimento alla natura demaniale e all'estensione del bene, ma solo a seguito di un'indagine condotta dal giudice con riferimento al caso singolo, e secondo criteri di normalità, (Corte Cost. 29.04.1999 n. 156).
L’indirizzo, quindi, è stato accolto ed elaborato dalla giurisprudenza di legittimità che è giunta a ritenere applicabile in astratto l’art. 2051 c.c. nei confronti della P.A. ma previa verifica, in concreto, della configurabilità di una custodia in senso tecnico - giuridico.
La quaestio ha suscitato il maggiore interesse in tema di demanio stradale, per quanto concerne, in particolare, i danni arrecati dalla omessa manutenzione delle strade o della autostrade.
Fin dalla originaria previsione dell'art. 16, lettera c), l. 20 marzo 1865 n. 2248, all. F, poi sostituito dall'art. 7, lettera c), l. 12 febbraio 1958 n. 126, da integrare con le specifiche norme del Nuovo Codice della Strada e con le norme in materia di beni demaniali di cui al codice civile, le strade e le autostrade appartengono alla pubblica amministrazione che ha l’obbligo di custodirle e di vigilare affinché anche i terzi incaricati non cagionino situazioni di pericolo o di danno. Tale premessa in diritto è stata ritenuta sufficiente a ritenere la P.A. obbligata della custodia nei sensi di cui all’art. 2051 c.c. seppur, per altro verso, la maggior parte della giurisprudenza ha ritenuto che il demanio stradale fosse troppo esteso e vasto per un utile e diligente vigilanza precauzionale.
Secondo l’interpretazione della Consulta, tuttavia, di fronte ad un danno arrecato da strade o autostrade di proprietà della P.A. , il giudice deve accertare, se adito, innanzitutto la configurabilità di una responsabilità per danno da cose in custodia, ex art. 2051 c.c. e, se questa esclusa, verificare la responsabilità residuale ex art. 2043 c.c. , (sempre su istanza della parte agente in giudizio, ovviamente).
Ancora oggi, e maggiormente, circa il primo dei punti anzidetti, sussiste un acceso contrasto giurisprudenziale, seppur appena percettibile e non clamoroso. Per un verso la Suprema Corte di Cassazione ritiene che la presunzione di responsabilità ex art. 2051 non è applicabile nei confronti della P.A. per quelle categorie di beni che sono oggetto di utilizzo generale e diretto da parte di terzi perché in questi casi non è possibile un efficace controllo ed una continua vigilanza da parte della P.A. tale da impedire l'insorgere di cause di pericolo per i cittadini: deve essere (dunque) applicato l'art. 2043 c.c., che impone l'osservanza della norma primaria del neminem laedere, (Cass. Civ. sez. III 23.2.2005 n. 3745) Per altro verso, la stessa Corte precisa che la presunzione di responsabilità di cui all'art. 2051 c.c. non opera nei confronti della p.a. per danni cagionati a terzi da beni demaniali sui quali è esercitato un uso ordinario, generale e diretto da parte dei cittadini, quando l'estensione del bene demaniale renda impossibile l'esercizio di un continuo ed efficace controllo che valga ad impedire l'insorgenza di cause di pericolo per i terzi. Tali principi sono applicabili pure nell'ambito del demanio stradale nel quale debbono intendersi comprese, oltre alla sede stradale, le zone limitrofe che siano anch'esse di proprietà della stessa p.a., (Cass. civ., sez. III, 31/07/2002, n.11366; Cass. civ., sez. III, 15/01/2003, n.488 in Guida al Diritto, 2003, 9, 43; si veda, anche Cass. civ., sez. III, 04/11/2003, n.16527).
Per un verso, l’impossibilità della custodia è ritenuta sussistente in re ipsa per determinati beni; per altro verso, per gli stessi beni, si ritiene che tale impossibilità debba essere prudentemente accertata in concreto, verificando, rebus sic stantibus, le condizioni poste all’attenzione del Giudicante.



Corte Suprema di Cassazione
Orientamento 1
restrittivo
Orientamento 2
ponderato

Demanio Stradale
beni che sono oggetto di utilizzo generale e diretto da parte di terzi
beni che sono oggetto di utilizzo generale e diretto da parte di terzi

Applicabilità art. 2051 c c nei confronti della P.A. =:
Inapplicabile
Applicabile,eccetto che quando l'estensione del bene demaniale renda impossibile l'esercizio di un continuo ed efficace controllo che valga ad impedire l'insorgenza di cause di pericolo per i terzi


Nell’ipotesi in cui non possa operare la presunzione ex art. 2051 c.c. il danneggiato sarà onerato di dover provare ex artt. 2043 (Generalklausel), 2697 c.c. anche la colpa della pubblica amministrazione, identificata, dalla giurisprudenza, nell’istituto della cd. insidia stradale, (o trabocchetto), figura giuridica di creazione giurisprudenziale ritenuta costituzionalmente legittima, (cfr. cit. Corte Cost. 156/99) (11).
La nozione d'insidia stradale viene a configurarsi come una sorta di figura sintomatica di colpa, elaborata dall'esperienza giurisprudenziale, mediante ben sperimentate tecniche di giudizio, in base ad una valutazione di normalità, col preciso fine di meglio distribuire tra le parti l'onere probatorio, secondo un criterio di "semplificazione analitica" della fattispecie generatrice della responsabilità in esame. Se e in quanto il danneggiato provi l'insidia può e deve essere affermata la responsabilità della pubblica amministrazione, salvo che questa, a sua volta, provi di non aver potuto rimuovere - adottando le misure idonee - codesta situazione di pericolo, i cui elementi costitutivi il giudice ha comunque il compito di individuare in modo specifico (fra l'altro precisando gli standards di diligenza connessi alla visibilità e prevedibilità nonché all'evitabilità del pericolo stesso, in relazione all'uso della strada), onde accertare in definitiva se ricorrano, a stregua delle peculiarità del caso, le condizioni richieste dall'art. 2043 cod. civ. , (Corte Cost. 156/99 cit.; Cass. civ., sez. III, 04/06/2004, n.10654; Cass. civ., sez. III, 03/12/2002, n.17152).



INSIDIA STRADALE
caratteri costitutivi

NON VISIBILE : cd. ELEMENTO OGGETTIVO

NON PREVEDIBILE: cd. ELEMENTO SOGGETTIVO

NON EVITABILE (pericolo occulto)
-(Oggettivamente pericolosa, Soggettivamente imprevedibile), (Cass. civ., sez. III, 03/12/2002, n.17152)

E’, a questo punto, opportuno precisare il rapporto intercorrente tra le fattispecie di cui agli artt. 2043, 2051 c.c. e il concorso del danneggiato ex art. 1227 c.c. , (concorso nel fatto ex art. 1227,I e concorso negli effetti ex art. 1227,II).
Sulla scorta degli insegnamenti della Consulta, la giurisprudenza ha ritenuto che la quantificazione dell’eventuale danno riconosciuto a carico della P.A. possa essere ridotto in ragione del concorso del soggetto leso non sussistendo incompatibilità tra la responsabilità colposa della pubblica amministrazione per danno provocato da c.d. insidia o trabocchetto stradale e la norma ex art. 1227 c.c. , (Cass. civ., sez. III, 03/12/2002, n.17152), superando, quindi, gli indirizzi opposti già esaminati (12).
Più delicata, nella casistica giurisprudenziale, l’identificazione delle insidie stradali, di volta in volta individuate, per parte lesa: nelle buche sul manto stradale, nelle chiazze di olio sulla carreggiata, nella presenza di animali o cosa sul tratto di percorrenza, nella omessa predisposizione del guard-rail, e così via.
E’ stata riconosciuta insidiosa, quindi, l’estemporanea ma spessa coltre di gelo determinatasi per incuria nella manutenzione; la lastra di ghiaccio non derivante da una precedente nevicata ma dal repentino raffreddamento di una superficie soltanto umida; l’impianto semaforico che ad un incrocio stradale segni verde per i veicoli provenienti da una data direzione di marcia e proietti luce intermittente ovvero nessuna luce per i veicoli provenienti dalla direzione di marcia perpendicolare rispetto alla prima; La presenza di un cartello non presegnalato con indicazioni luminose di direzione in ora notturna; la presenza di fanghiglia accumulatasi in avvallamento della sede stradale a causa dell'acqua piovana, con conseguente scarsa aderenza per le ruote degli autoveicoli, oggetti sporgenti ed insidiosi presenti sul tratto pedonale.
In tutte le ipotesi considerate l’insidia diviene parametro di misura della liceità del comportamento dell’amministrazione e quindi della legittimità dell’esercizio discrezionale dei suoi poteri.
E’, infatti, da condividere quell’opinione corrente che considera il principio del neminem laedere il limite alla discrezionalità della P.A. , ritenendo, quindi, la cd. insidia la cartina di tornasole in tal senso. Con attenzione, tuttavia, a discernere tra comportamento illecito e provvedimento illegittimo: ai fini dell’applicabilità dell’art. 2051 c.c. non è necessaria una eventuale pregiudiziale in sede amministrativa volta a demolire un provvedimento discrezionale, avente la norma ad oggetto diritti soggettivi non degradabili e comportamenti illeciti posti in essere dalla P.A. contra ius.
Tutto quanto esposto conduce a ritenere che la materia de quo costituisca un altro esempio di diritto vivente giurisprudenziale atto a colmare la lacuna legislativa in termini di chiarezza e puntualità. Indubbiamente, tuttavia, è auspicabile un intervento delle Sezioni Unite per ricondurre ad unità i diversi criteri interpretativi, spesso estremamente opposti, e rendere la materia più chiara, esatta e, (ci sia consentito il termine), meno insidiosa.
Giuseppe Buffone


Note

1. Già nel codice civile previgente, del 1865, il legislatore aveva introdotto una responsabilità per danni cagionati da cose in custodia, disciplinando l’istituto nel primo comma dell’art. 1153. Questa disposizione, tuttavia, era inquadrata nelle ipotesi di responsabilità per fatto altrui.
2. Si faccia attenzione, tuttavia, ai profili processuali concernenti la domanda attorea in giudizio, in quanto, a fronte di un determinato evento di danno diversa è la causa petendi dell'azione risarcitoria a seconda che l'attore adduca la responsabilità del convenuto ai sensi dell'articolo 2043 del c.c. ovvero la diversa responsabilità ex articolo 2051 stesso codice. Invocare la responsabilità del custode in grado di appello, quindi, senza averlo già fatto in primo grado, costituirà una mutatio libelli inammissibile, cfr. Cass. civ., sez. III, 06/07/2004, n.12329, Cass. civ., sez. III, 24/10/2002, n.14993
3. All’art. 2051 c.c. consegue l'inversione dell'onere della prova in ordine al nesso causale, incombendo sull'attore la prova del nesso eziologico tra la cosa e l'evento lesivo e sul convenuto la prova del caso fortuito, cfr. Cass. civ., sez. III, 06/04/2004, n .6753
4. Il cd. dinamismo intrinseco della res ha perso rilevanza in giurisprudenza anche sulla scorta delle osservazioni di autorevole dottrina che ha posto in evidenza come l’intrinseca pericolosità della cosa non sia un requisito della fattispecie. La giurisprudenza della Cassazione, tuttavia, ha fatto costantemente riferimento all’idoneità al nocumento della res, da valutare se non sul piano delle qualità delle cosa comunque su quello del nesso causale. Così in Cass. civ., sez. III, 28/03/2001, n. 4480 si statuisce che la responsabilità ex art. 2051 c.c. non richiede necessariamente che la cosa sia suscettibile di produrre danni per sua natura, cioè per suo intrinseco potere, in quanto anche in relazione alle cose prive di un proprio dinamismo il danno può verificarsi in conseguenza dell'insorgere in esse di un processo dannoso provocato da elementi esterni, (conferma l’indirizzo di Cass. civ., sez. III, 11/06/1998, n.5796; Cass. civ., sez. III, 23/10/1990, n.10277). Contra, tuttavia Cass. civ., sez. II, 25/03/1995, n.3553 che, sostiene, invece: La responsabilità presunta del custode, prevista dall'art. 2051 c.c., si applica solo ai danni cagionati dall'intrinseco dinamismo della cosa e non a quelli derivanti dall'azione dell'uomo. Così anche Cass. civ., 27/06/1984, n.3774: l'art. 2051 c. c., sulla presunzione di responsabilità per i danni cagionati da cose in custodia, trova applicazione con esclusivo riguardo ai danni che derivino dall'intrinseco dinamismo delle cose medesime, per la loro consistenza obiettiva, o per effetto di agenti che ne abbiano alterato la natura ed il comportamento, (nella specie: una gru mobile, messa dal comune a disposizione degli operatori commerciali che frequentavano il mattatoio municipale, aveva provocato danni mentre veniva azionata da uno dei detti operatori; la suprema corte, alla stregua del principio di cui sopra, ha ritenuto correttamente negata, da parte dei giudici del merito, l'invocabilità dell'indicata presunzione di responsabilità a carico del comune).
5. La quaestio va ricondotta alla generale problematica del caso fortuito nella struttura dell’illecito: per taluni verrebbe meno la colpa, per altri il nesso causale. In realtà, la prima opzione sembrerebbe smentita da tutti quei casi in cui, a fronte di una colpa indubbia dell’agente, comunque non scatti la responsabilità per il fortuito sopravvenuto, (es. grave negligenza nella manutenzione di uno stabile che, però, causa danni per un fenomeno sismico sopravvenuto). La giurisprudenza pressoché unanime riconduce il fortuito all’imputazione oggettiva e non anche a quella soggettiva, (cit. Cass. civ., sez. III, 06/04/2004, n.6753). Così Cass. civ., sez. III, 20/05/1998, n.5031: la responsabilità per i danni cagionati da una cosa in custodia stabilità dall'art. 2051 c.c. si fonda non su un comportamento o un'attività del custode, ma su una relazione di custodia intercorrente tra questi e la cosa dannosa, e poiché il limite della responsabilità risiede nell'intervento di un fattore, il caso fortuito, che attiene non ad un comportamento del responsabile ma alle modalità di causazione del danno, si deve ritenere che, in tema di ripartizione dell'onere della prova, all'attore compete provare l'esistenza del rapporto eziologico tra la cosa e l'evento lesivo, mentre il convenuto per liberarsi dovrà provare l'esistenza di un fattore, estraneo alla sua sfera soggettiva, idoneo ad interrompere quel nesso causale e, cioè, un fattore esterno. Univoca Cass. civ., sez. III, 23/11/1998, n.11861: la rilevanza del caso fortuito attiene al profilo causale.
6. Il rischio da custodia è un criterio di imputazione ibrido fatto proprio dalla dottrina francese che parla di risque dans le garde: il soggetto che assume determinate qualità nei confronti della res si assume il rischio che ne discende.
7. Si possono citare alcuni dei casi trattati più frequentemente dalla giurisprudenza della Suprema Corte. In Cass. civ., sez. III, 06/04/2004, n.6753, cit., per l’invasione di acqua piovana causata dalla occlusione di una griglia di pertinenza del condominio, la S.C. ha confermato la sentenza di merito che aveva riconosciuto la responsabilità condominiale ed escluso la sussistenza del caso fortuito, indicato nella sostituzione della porta dell'unità immobiliare invasa dall'acqua con una nuova, sprovvista di accorgimenti tecnici idonei ad evitare il fenomeno. In Cass. civ., sez. III, 02/04/2004, n.6515, la P.A. è stata ritenuta responsabile ex art. 2051 c.c. per i danni derivanti dalla rete fognaria. Cass. civ., sez. III, 04/02/2004, n.2062 non ha ritenuto configurabile la responsabilità ex art. 2051 c.c. del proprietario di un terreno situato a monte per il movimento franoso di detriti e fango che si erano riversati su alcuni terreni a valle, ritenendo che la frana si fosse verificata per l'intervento di alcuni fattori aventi il carattere del fortuito, quali la natura geomorfologica del terreno. Delle ben note carenze progettuali e costruttive in ordine alla impermeabilizzazione delle pareti condominiali, responsabili dei fenomeni di condensa,si è occupata Cass. civ., sez. III, 20/08/2003, n.12211. Controversa la responsabilità discendente dalla presenza sul manto stradale di animali o oggetti, a volte ritenuta caso fortuito tout court, altre volte reputata negligenza della P.A. (cfr. Cass. civ., sez. III, 13/01/2003, n.298). Più dettagliata la disciplina di diritto vivente in tema di danni arrecati dalle ramificazioni arboree e così, anche, dalla radici degli alberi, si ritiene, per lo più, che la P.A. non risponda dei danni arrecati dalla vegetazione e dalla fauna selvatica di sua proprietà; per il privato, invece, configurabile una custodia, la responsabilità non è esclusa, (un indirizzo dottrinario, tuttavia, richiama l’art. 896 c.c. ritenendo che sussistano delle specifiche esimenti nei rapporti di vicinato). Si tenga presente che in tema di danni cagionati dalle autostrade, il contrasto è evidente è aperto, (si confronti Cass. Civ. 12314/98 con la giurisprudenza già citata).
8. Cfr. Cass. civ., 20/01/1981, n.481
9. Non è manifestamente infondata, in riferimento agli art. 3, 24 e 97 cost., la q.l.c. degli art. 2043 c.c., ove interpretato nel senso che l'inerzia colposa della p.a. atta a creare o a non rimuovere situazioni di pericolo non è causa di responsabilità della stessa ove non si sia in presenza di una situazione di pericolo insidioso, dell'art. 2051 c.c., ove interpretato nel senso che non sia applicabile anche alla p.a. per i beni demaniali soggetti ad uso ordinario, generale e diretto da parte dei cittadini e dell'art. 1227 c.c., comma 1 ove interpretato nel senso di escludere, in presenza di una insidia, un accertamento del concorso di colpa del danneggiato e del responsabile, Giudice di pace (Ord.) Genova, 08/11/1997
10. E’ una pronuncia di inammissibilità: è inammissibile il giudizio di legittimità costituzionale se il giudice "a quo" dubita della legittimità costituzionale non già delle norme, bensì dell'interpretazione che di esse viene data dalla giurisprudenza (della cassazione), Corte cost., 06/03/1995, n.82. In realtà, anche la successiva pronuncia, (156/99), si fonda su di una interpretazione di norme, ma, questa, è ammissibile, per giurisprudenza costituzionale, allorché abbia ad oggetto uno ius receptum consolidato, un diritto vivente divenuto, di fatto, norma. Nel caso, di fatto, la pronuncia è stata reietta per motivi più specifici: è manifestamente inammissibile la questione di legittimità costituzionale, in riferimento agli art. 3, 24 e 97 cost., degli art. 2043, 2051 e 1227 comma 1 c.c. perchè prospettata in forma ipotetica ed articolata come un quesito interpretativo.
11. La conformità a Costituzione del "diritto vivente" formatosi in tema di responsabilità civile della p.a. per danni derivati da difetto di manutenzione delle strade pubbliche (e in particolare del principio secondo cui tale difetto assume rilievo, nei rapporti con i privati unicamente quando la p.a. non abbia osservato le specifiche norme e le comuni regole di prudenza e diligenza poste a tutela dell'integrità personale e patrimoniale dei terzi in violazione del principio fondamentale del neminem laedere, così superando il limite esterno della propria discrezionalità, con conseguente sua sottoposizione al regime generale di responsabilità fissato dall'art. 2043 c.c.), comporta che non è fondata - in riferimento agli art. 3, 24, 97 cost. - la q.l.c. dell'art. 2051 c.c., sollevata sotto il profilo della sua non applicabilità anche alla p.a. per i beni demaniali soggetti ad uso ordinario, generale e diretto da parte dei cittadini; dell'art. 2043 c.c., sollevata sotto il profilo della limitazione della responsabilità della p.a. per inerzia colposa nella manutenzione dei beni suddetti solo alla presenza di una situazione d'"insidia" stradale; dell'art. 1227, comma 1, c.c. sollevata sotto il profilo dell'esclusione, in presenza di un'"insidia", dell'accertamento del concorso di colpa del danneggiato e del responsabile, (Corte cost., 10/05/1999, n.156).
12. L'insidia e il addebitabili alla p.a. sono ravvisabili solamente in situazioni che escludono ogni colpa concorrente del danneggiato; pertanto anche laddove si volesse ritenere che la rottura di un guard-rail in cattive condizioni abbia avuto efficacia relativamente ai danni subiti da un'autovettura (facendola cadere nel burrone sottostante anziché trattenerla sulla strada) il giudicante non può effettuare alcuna graduazione di colpa tra la condotta del danneggiato e il comportamento della p.a., se i danni subiti dall'attore sono dovuti certamente alla condotta di guida da questi tenuta, (Trib. La Spezia, 04/01/1993 in Arch. Giur. Circolaz., 1993, 333).
13. per i riferimenti giurisprudenziali citati, in ordine di citazione: Pret. Macerata, 28/05/1992; Pret. Spoleto, 08/02/1992, Cass. civ., sez. III, 28/01/1991 e Trib. Torino, 13/04/1989, n.803; Trib. Livorno, 31/10/1990 e cfr. Cass. civ., 16/03/1982, n.1703; Trib. Forlì, 19/03/1982; App. Milano, 28/10/1980.

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