La Corte di Cassazione, V sez. penale, con sentenza 24 giugno 2011, n. 25488 ha ribadito la rilevanza del reato di stalking confermando, nei confronti di un giovane, il divieto di avvicinamento ai luoghi frequentati dall'ex ragazza convivente, vittima di atti persecutori.
In particolare l'imputato, dopo che la vittima aveva interrotto la convivenza, si era reso responsabile di continui messaggi inviati tramite il social network Facebook contenenti minacce ed ingiurie e non contento aveva violato il domicilio della vittima e percosso la stessa cagionandole lesioni.
Secondo la Suprema Corte, nel caso specifico, i messaggi inviati tramite Facebook possono integrare il reato di stalking. Inoltre la parte offesa è da ritenere attendibile non solo per l'esistenza di più certificati medici diversi da quello di cui il ricorrente lamenta l’irrilevanza, ma anche per gli apporti provenienti dalle dichiarazioni della madre della vittima sui messaggi telefonici ricevuti dalla figlia e sulla manifestata paura della stessa di uscire dall'abitazione, oltre che dalla constatazione delle effettive lesioni prodotte ai danni della ragazza.
La sentenza assume rilevanza per la puntuale configurazione del reato di stalking da parte della S.C. che viene definito dall'art. 612-bis del c.p. come quel reato commesso da "chiunque reiteratamente, con qualunque mezzo, minaccia o molesta taluno in modo tale da infliggergli un grave disagio psichico ovvero da determinare un giustificato timore per la sicurezza personale propria o di una persona vicina o comunque da pregiudicare in maniera rilevante il suo modo di vivere, è punito, a querela della persona offesa, con la reclusione da sei mesi a quattro anni".
La previsione di questo reato assume una particolare delicatezza anche alla luce dell’attuale era tecnologica. Difatti, come nel caso di specie, i temuti atti persecutori possono essere realizzati non solo con il telefono o lettere anonime, ma utilizzando le nuove tecnologie e quindi tramite i social network, per posta elettronica, con la messaggistica istantanea e strumenti affini. Inoltre la vittima può essere perseguitata controllandone i movimenti tramite la rete (si pensi a chi fa parte di un social network o ha un proprio blog o è iscritto a newsgroup, mailing list, ecc.).
Purtroppo gli strumenti del web 2.0 proprio perché dotati di una maggiore interattività che consente uno scambio di informazioni più dinamico tra gli utenti, nascondono delle insidie che possono essere sfruttate da malintenzionati ai danni di vittime del tutto inconsapevoli.
(Altalex, 12 luglio 2011. Nota di Michele Iaselli)
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SUPREMA CORTE DI CASSAZIONE
SEZIONE V PENALE
Sentenza 15 aprile - 24 giugno 2011, n. 25488
(Presidente Calabrese – Relatore Zaza)
Ritenuto in fatto
Con il provvedimento impugnato veniva parzialmente confermata l'ordinanza del Giudice per le indagini preliminari presso il Tribunale di Salerno in data 6.12.2010 laddove con la stessa veniva applicata nei confronti di C. M. la misura cautelare del divieto di avvicinamento ai luoghi frequentati dalla persona offesa per i reati di cui agli artt. 612 bis, 582 e 614 c.p., ed in particolare per aver violato il domicilio in Salerno di P. D. il 17.5.2010, per aver costantemente minacciato la P. dopo che la stessa aveva interrotto la convivenza con l’indagato, con messaggi inviati tramite il sito internet Facebook dal 3.9.2010 al 16.11.2010, e per aver infine in quest’ultima data percosso la P. cagionandole lesioni.
La sussistenza dei gravi indizi a carico del C. era ritenuta in base alle dichiarazioni della persona offesa e agli ulteriori elementi individuati a riscontro delle stesse.
Il ricorrente deduce violazione di legge, lamentando l’assunzione quali riscontri di certificati medici che per la maggior parte riportavano patologie riferite dalla stessa P., e all'inclusione fra gli stessi di un referto in data 29.5.2010 non esistente agli atti e relativo ad un periodo non contestato.
Considerato in diritto
Il ricorso è infondato.
L'ordinanza impugnata motivava invero in tema di gravità indiziaria ritenendo la parte offesa attendibile non solo per la conferma derivante da più certificati medici diversi da quello di cui il ricorrente lamenta l’irrilevanza, ma anche per gli apporti provenienti dalle dichiarazioni della madre della P., B. R. M., sui messaggi telefonici ricevuti dalla figlia e sulla manifestata paura della stessa di uscire dall'abitazione, e da quelle di C. L. sulla constatazione delle lesioni prodotte il 2.9.2010 e sull’atteggiamento aggressivo del C. nei confronti della P. nell’episodio del 27.9.2010. Detta motivazione, per la pluralità e la significatività degli elementi valutati, è logicamente inattaccabile dalle censure del ricorrente, indirizzate unicamente sui riscontri documentali, per i quali si propone peraltro una mera lettura in chiave difensiva dei relativi contenuti, e prive di specifiche doglianze sulla credibilità intrinseca della parte offesa.
Il ricorso deve pertanto essere rigettato, seguendone la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese.
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